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NIGER. NUOVO GOLPE MILITARE
(31 Luglio 2023)

NIAMEY. Ecco, l’hanno fatto: i militari nigerini, come quelli maliani e burkinabé prima di loro, si son ribellati contro il potere legittimo ed han rovesciato senza spargimento di sangue il Presidente della Repubblica in carica da appena due anni.

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I FATTI

«All’inizio – scrive Repubblica.it[1] – sembrava l’ammutinamento di un piccolo gruppo di ufficiali», poi è divenuto chiaro col trascorrer delle ore che si era di fronte ad un colpo di Stato vero e proprio.

se n’è avuta conferma mercoledì 26 luglio, a tarda ora, quando la TV ha diffuso un comunicato, letto da un alto ufficiale, affiancato da altri nove suoi pari, che annunciava la deposizione del Presidente Mohamed Bazoum, lo scioglimento delle istituzioni rappresentative, la chiusura delle frontiere, il coprifuoco notturno… insomma, tutto il complesso di provvedimenti che solitamente vengon adottati da militari in rivolta.

La presa di potere, spiegano i militari, è stata causata dal deterioramento della situazione della sicurezza e dalla scarsa governance economica e sociale».

Il 27 Luglio, con un altro comunicato, il capo di Stato maggiore delle Forze armate del Niger (Fan) Abdou Sidikou Issa, dichiara: «Sottoscriviamo la dichiarazione del colonnello Abdramane. Annunciamo anche noi la fine del regime del presidente Mohamed Bazoum, rapito da membri della guardia presidenziale».

Il 28, in un discorso radiotelevisivo, colui che appare l’uomo forte della nuova giunta, Abdarahamane Omar Tchiani, capo della guardia presidenziale, spiega:

«Stavamo rischiando di assistere alla scomparsa graduale e inevitabile del nostro Paese».

Riferendosi poi alle relazioni internazionali del Niger col resto del mondo aggiunge:

«Il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (l’organismo che ha assunto tutti i poteri in seguito al putsch, [NDR]) ribadisce la volontà di rispettare tutti gli impegni internazionali. Il Consiglio, attraverso la mia voce, chiede ai partner e agli amici del Niger, in questa fase cruciale per la vita del nostro Paese, di fidarsi delle nostre forze di difesa e di sicurezza, garanti dell’unità nazionale, dell’integrità territoriale e dei superiori interessi della nostra nazione.»[2]

«Ufficiale dell’esercito fin da ragazzo – scrive Matteo Fraschini Koffi[3] – Tchiani, 62 anni, ha guidato la guardia presidenziale da quando l’ex presidente, Mahamadou Issoufou, era stato eletto nel 2011. Nel marzo di dieci anni dopo, il generale avrebbe, invece, evitato un altro golpe organizzato da un gruppo di militari poche ore prima dell’insediamento di Bazoum. Di recente, però, i rapporti fra i due si erano deteriorati: l’ormai deposto presidente ne aveva deciso la rimozione in seguito a un cambiamento nelle forze di sicurezza. Discreto e temuto dai suoi colleghi, Tchiani è originario della regione sudoccidentale di Tillaberi, vicina al confine con il Mali, teatro di gran parte degli attacchi jihadisti lanciati negli ultimi anni.»

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LE REAZIONI

I partner di Niamey però han rifiutato di riconoscere le nuove autorità: da Washington a Bruxelles e perfino da Mosca, han chiesto il ripristino della situazione preesistente, la liberazione del Presidente e il rientro dei golpisti nelle caserme.

L’UE ha minacciato il blocco delle diverse linee di finanziamento che permettono al Niger di sopravvivere e la Comunità Economica dell’Africa occidentale, che il 30 luglio ad Abuja ha tenuto un vertice ai massimi livelli, ha lanciato un ultimatum: se entro una settimana la situazione in Niger non tornerà alla normalità vi sarà un intervento armato dell’ECOWAS-CEDEAO.

Anche la Francia, partner privilegiato di Niamey ha minacciato d’intervenire direttamente sulla scena della crisi qualora i suoi interessi e le sue strutture fossero danneggiate.

Nel paese però sono comparsi anche dei supporter della nuova giunta militare: nei giorni scorsi sedi del partito di Bazoum son state devastate mentre l’ambasciata francese è stata oggetto d’attacchi, al grido “viva la Russia, abbasso Parigi”.

Insomma, uno dei paesi più poveri del mondo, 189o nella graduatoria mondiale dell’indice di sviluppo umano, sembra sull’orlo d’un collasso generalizzato, coinvolto nella crisi generale che investe ormai da anni tutta l’Africa centrosettentrionale, area di conflitto tra gruppi armati jihadisti e mercenari della società Wagner, che estende ormai i suoi tentacoli dal Sudan al Mali.

Una crisi che rischia d’investire anche gli Stati del Golfo di Guinea, come Togo, Benin, Nigeria, Camerun retti o da fragili istituzioni o da vecchi patriarchi abbarbicati al loro potere ultradecennale.

Non è un caso che gli eventi di Niamey si siano verificati mentre a S. Pietroburgo era in corso il vertice Russia-Africa, cui han partecipato 49 delegazioni di governi del continente in cerca d’aiuto e sostegno alle loro fragili economie.

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GLI SCENARI

Detto che in Niger sono presenti 1.500 soldati francesi e militari di altri paesi, tra cui l’Italia nell’ambito della MISIN, lì confluiti per aiutare l’esercito nigerino nella lotta contro il jihadismo, al paese del Sahel è stato affidato anche il ruolo di “filtro” delle correnti migratorie che dall’Africa sub-sahariana giungono in Libia. L’Unione europea, nell’ambito della sua politica antimigratoria ha assegnato a Niamey un ruolo simile a quello che per l’ambito orientale è stato affidato alla Turchia. Ad entrambi i paesi son state versate ingenti somme affinché impediscano ai migranti di giungere sulle nostre coste.

Il paese, inoltre, è il 5o produttore mondiale d’uranio: finora il monopolio dell’estrazione era detenuto dalla francese Orano, (la leggendaria ex Areva). Accanto a questo minerale, fondamentale per far funzionare le centrali termonucleari che Parigi ha sul proprio territorio e che forniscono l’80% dell’elettricità che si consuma nell’esagono e nei paesi vicini, ci sono altre commodities come oro, carbone, petrolio, fosfati e altro ancora.

Il Sahel è anche meta di traffici di cocaina proveniente dall’America Latina e destinata ai mercati europei.

Quali sono allora gli scenari che si profilano?

diamo la parola a Luca Raineri che sulle colonne di Repubblica ne formula almeno tre:

«A) un prolungato stallo rischierebbe di precipitare il Paese in un cruento conflitto civile fra lealisti e ribelli, non dissimile da quanto sta avvenendo in Sudan. Le conseguenze per la popolazione sarebbero drammatiche, e l’onda lunga della destabilizzazione regionale non tarderebbe ad abbattersi sulle coste del Mediterraneo;

B) il rapido successo del golpe priva i partner occidentali di un interlocutore affidabile e innesca il ritiro del supporto militare per manifesta divergenza strategica.
Privi di sostegno, e preoccupati della perpetuazione del proprio potere, non è improbabile che i golpisti nigerini finiranno per domandare ai colleghi maliani che li hanno preceduti il numero di telefono di Evgenij Prigozhin;

C) la cristallizzazione del golpe convince i partner occidentali ad adottare un approccio “pragmatico”.
Si mandano in soffitta le pregiudiziali democratiche – su cui ci impuntiamo a Kiev, sempre meno in Africa – e si imbastisce un rapporto cooperativo con le nuove autorità nigerine ispirato al copione tunisino: avrete il nostro aiuto, purché Mosca resti lontana da voi e i migranti lontani da noi!.»[4]

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PERCHE’ TANTI GOLPE IN AFRICA?

Dopo che per qualche decennio è sembrato fuori moda risolvere le crisi politiche mediante l’intervento diretto delle forze armate, addirittura dagli anni Novanta si è affermato
nel continente, con diversi esiti, il multipartitismo, (in precedenza prevaleva quasi ovunque il partito unico di stato), ora sembra che la scorciatoia del putsch militare stia tornando in auge.

Dal 2019 in qua ve ne sono stati due in Mali, altrettanti in Burkina Faso e Sudan, uno in Guinea ed in Ciad. Tentativi di rovesciamento del governo son avvenuti senza successo in Guinea Bissau, Gambia, Sao Tomé e Principe, oltre che nello stesso Niger.

Secondo uno studio realizzato negli Stati Uniti da Jonathan Powell (Università della Florida centrale) e Clayton Thyne (Università del Kentucky), i tentativi di colpo di stato in Africa sono stati oltre 200 dal 1952 ad oggi: circa la metà ha avuto successo e il Sudan è lo stato che ne ha registrati di più, 16. La Nigeria ne ha subìiti 8, tra riusciti e falliti, il Dahomey-Benin e il Ghana 5, il Congo Brazzaville 4. Diversi presidenti sono stati ammazzati: il primo (13 Gennaio 1963) fu Sylvanus Olympio (Togo), mentre molti altri o son riusciti a fuggire o inviati in esilio all’estero.

Non sono mancate nemmeno le guerre
interne come quella del Biafra (1967-70) o il recente conflitto tra stato etiope e provincia del Tigray.

Perché tanta instabilità?

Le ragioni sono molteplici: in primo luogo lo stato nato dopo la decolonizzazione ha strutture molto fragili e non raramente chi lo dirige, per averne il controllo, ricorre agli strumenti tipici dell’autoritarismo, collegati ad una corruzione diffusa, tendente a fidelizzare al regime tutti coloro che in qualche misura potrebbero aspirare a prendere il potere.

In molti paesi africani i governi han distribuito prebende ed hanno incoraggiato il facile autoarricchimento d’una cleptocrazia vieppiù vorace.

In secondo luogo, si è spesso favorito l’area d’origine del Presidente a scapito delle altre in modo da crearsi una coalizione di forze lealiste che al momento buono possono resistere all’avanzata degli avversari.

In terzo, le difficoltà socioeconomiche hanno impedito il raggiungimento dei risultati politico programmatici che le leadership si eran prefisse prima d’arrivare al potere.

«Negli ultimi anni però – scrive ilpost.it[5] – i golpe militari sembrano essere stati favoriti, o quantomeno non frenati, da un sempre maggiore “immobilismo” della cosiddetta comunità internazionale: spesso invece che intervenire in maniera decisa, si è limitata a isolare i nuovi regimi, senza però adottare misure più incisive (come le sanzioni).»

La pandemia e la contrazione di risorse già scarse, aggiungiamo noi, favorite anche dai cambiamenti climatici in atto che spesso impoveriscono l’agricoltura, diminuendo la disponibilità di beni alimentari, unitamente ai conflitti tra agricoltori e pastori in diverse zone del Sahel han spinto le popolazioni a dare il benvenuto alle nuove autorità militari sperando che riescano dove le istituzioni democratiche han fallito.

Nei giorni scorsi, su RFI, un ascoltatore nigerino, intervenendo in un dibattito inerente al golpe in atto a Niamey, si dicharava convinto che la nuova giunta militare salita al potere da pochi giorni possa garantire quella sicurezza e quella prosperità che erano mancate durante gli anni della democrazia e del multipartitismo.

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NIGER

GEOGRAFIA

La Repubblica del Niger, situata nell’Africa occidentale: ha un territorio privo di sbocco al mare. Confina a nord con l’Algeria e la Libia, a est con il Ciad, a sud con la Nigeria e il Benin e a ovest con il Burkina Faso e il Mali: deve il suo nome al fiume Niger che l’attraversa. La capitale è Niamey, a sud-ovest del Paese. Gli abitanti prendono il nome di nigerini (i nigeriani sono invece gli abitanti della Nigeria).

Il paese occupa una superficie di 1,3 kmq. ed è popolato da 22,7 milioni d’abitanti, appartenenti a diverse etnie: le più diffuse sono gli Hausa e i Djerme-Songai, stanziali, ma vi sono anche i Tuareg e i pastori Peul, seminomadi.

La religione prevalente è l’islam sunnita.

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STORIA

Indipendente dal 3 Agosto 1960, faceva parte dell’Africa occidentale francese (AOF). Il suo primo presidente Hamani Diori fu rovesciato dal primo golpe il 15 aprile 1974.

Dopo di ciò è tutto un susseguirsi di colpi di stato, regimi militari, transizioni verso la democrazia più o meno riuscite. Nel 1999 è redatta una nuova costituzione che istituisce uno stato a regime presidenziale, ma le forze armate rimangono l’istituzione più importante e in grado di decidere chi deve governare e chi no.

Nel 2021 Mohamed Bazoum vince col 56% dei voti le ultime presidenziali, ma molti prevedono che la sua leadership durerà poco: già la notte precedente il suo insediamento, 2 aprile 2021, s’odono colpi d’arma da fuoco. Sembra l’inizio d’un ennesimo ammutinamento che tuttavia non impedisce il giuramento del nuovo leader. Ora però la sollevazione è andata a segno e le sorti di questo “gigante di sabbia”, ricco di minerali, sono al centro dell’attenzione internazionale.

Si vedrà se la nuova giunta consoliderà il proprio potere o se dovrà cedere il passo ad un restaurato regime a guida civile.

PIER LUIGI GIACOMONI

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NOTE:

[1] L. Martinelli, Niger, Bazoum resiste ma l’esercito si unisce ai golpisti, repubblica.it, 28 Luglio 2023;
[2] Le Monde avec AFP, Au Niger, le général Tchiani se déclare à la tête du coup d’Etat en cours, la France « ne reconnaît pas les autorités » issues du putsch, lemonde.fr, 28 luglio 2023
la traduzione dal francese è mia.
[3] M. Fraschini Koffi, Il generale golpista si prende il Niger Cade l’ultimo baluardo occidentale, avvenire.it, 29 luglio 2023)
[4] L. Raineri, Se vacilla il Niger, repubblica.it, 29 Luglio 2023;
[5] ilpost.it, Perché in Africa centro-occidentale ci sono così tanti colpi di stato, 29 Luglio 2023.

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