IL MONDO SECONDO DONALD J. TRUMP
(16 agosto 2016).
WASHINGTON. Il messaggio che Donald J. Trump lancia tutte le volte che interviene sulla politica estera è
intervenire solamente dove gli Stati Uniti possano guadagnarci, disimpegnarsi dai teatri più caldi, dare più
responsabilità agli alleati, secondo Trump, troppo “coccolati”.
Questo è il canovaccio dentro cui si muove l’uomo che ha sbancato il Grand Old Party e che spera di divenire il
prossimo Presidente degli stati Uniti d’America.
Questo ha fatto dire a qualche commentatore e, come vedremo, anche ad alcuni super esperti, CHE DJT non ha una
visione di politica estera e che, se eletto, non saprebbe che pesci pigliare nel momento in cui si trovasse a
prendere decisioni importanti sia per l’America che per i suoi alleati.
A noi, detto con modestia, pare invece che il leader repubblicano abbia una visione piuttosto chiara del ruolo
degli Stati Uniti nel XXI secolo.
Ciò non significa che la sua strategia di politica internazionale non sia pericolosa e non possa arrecar danno alla
comunità umana, ma una sua più completa comprensione è indispensabile, soprattutto nel caso in cui l’uomo di New
York diventi il prossimo inquilino della Casa Bianca.
Prima, però, d’esaminare com’è il mondo oggi, secondo Donald Trump, ci paiono doverose alcune premesse:
1. Ricordiamoci sempre che siamo in piena campagna elettorale: una campagna lunga e massacrante che dura ormai da
più d’un anno e che richiede ormai una programmazione di lungo periodo.
In campagna elettorale è molto più importante far passare degli slogan che “buchino lo schermo” che formulare dei
ragionamenti complessi che non raccoglierebbero nessuna audience.
2. In periodo elettorale è anche molto importante far leva sull’orgoglio nazionale, sul concetto che l’America è un
grande Paese, che è il centro del mondo. E’ altresì molto importante, per galvanizzare i propri suporter
sottolineare che se si vincerà le cose cambieranno rispetto all’oggi.
Naturalmente non è affatto detto, ma è normale che sia così, che una volta vinte le elezioni tutto quanto è stato
promesso venga messo in pratica, se non altro perché la sua realizzazione pone degli ostacoli invalicabili.
3. La linea di pensiero di Donald Trump si iscrive nel più classico filone ideologico dell’isolazionismo americano e nella
convinzione jeffersoniana che lo stato deve costare il meno possibile e deve pesare sulle spalle del cittadino lo
stretto indispensabile.
Questa duplice linea di pensiero costituisce l’armamentario ideologico e propagandistico di numerosi presidenti
americani, sia democratici che repubblicani, anche se poi, soprattutto dal 1941 in avanti è stato quasi impossibile
per Washington isolarsi dal contesto mondiale, com’era accaduto nell’Ottocento e nel primo Novecento.
4. Per l’americano medio che più o meno legge i giornali e guarda la televisione il mondo è una cosa piccola nella
quale al centro ci sono gli Stati Uniti ed un gruppo assai limitato di altri Paesi.
Naturalmente, ci sono gli amici, cioè gli Alleati (l’Europa occidentale, Israele, il Giappone, l’Australia…), i
nemici (la Cina, il mondo arabo-islamico, la Russia) e le nazioni da cui ci si possono attendere sgradevoli
sorprese, come l’America Latina.
6. Da ultimo, occorre anche ricordarsi che, contrariamente a quanto è accaduto in Europa, devastata nel XX secolo
dalla Prima e, soprattutto, dalla Seconda guerra mondiale, il territorio degli Stati Uniti non è stato coinvolto in
conflitti dalla guerra di secessione (1861-1865) e ciò contribuisce a fomentare la condizione psicologica di essere
una specie di “isola felice” o, se si preferisce, di “fortezza inattaccabile” da tutti i possibili avversari
presenti e futuri.
Detto ciò, proviamo a tratteggiare come dev’essere il mondo secondo Donald Trump.
Prima di tutto, il candidato repubblicano ha promesso che gli Stati Uniti, sotto la sua presidenza, non firmeranno
alcun trattato commerciale internazionale che vada contro gli interessi dell’America, come se gli accordi di libero
scambio, firmati in questi decenni, fossero stati tutti dannosi per il Paese.
In realtà, queste parole non corrispondono alla verità dei fatti, perché, come ad esempio nel caso dei trattati di
libero commercio stipulati negli anni scorsi coi Paesi del Pacifico chi ne ha tratto finora maggior beneficio sono
stati proprio gli Stati Uniti e la loro economia.
La stessa cosa, non pochi temono, accadrà col TTIP, in avanzata fase di negoziazione con l’unione Europea.
NATO ed Europa. L’Europa, per Trump, si riduce a quattro stati da considerare: Germania, Francia, Italia e Gran
Bretagna. Ovvero l’ossatura dell’Alleanza. La NATO, secondo “The Donald”, è un affare a perdere, troppo l’impegno
economico Usa, spesso a senso unico. Nazioni come Italia, Germania e Francia devono dare e fare di più, anche se
per gli Inglesi il discorso è diverso, sono alleati privilegiati e sopratutto impegnati in prima istanza dai tempi
della Guerra Fredda.
Questa tesi non è nuova: già altre amministrazioni repubblicane in precedenza hanno detto cose simili. Sia Bush
padre che figlio hanno più volte accusato l’Europa di comportarsi sempre come il gregario dell’America. Washington
vorrebbe, almeno in teoria, che i principali paesi europei spendessero di più per la propria difesa e vorrebbero
che se si creassero dei teatri di crisi in una qualche area prossima al “vecchio continente”, intervenissero
direttamente senz’attendere le forze armate americane.
Stati baltici e Russia. Su quest’aspetto Trump è chiarissimo: in caso d’invasione russa dei Paesi baltici non sarà
automatico un intervento americano al fianco della Nato, come sancito dall’articolo 5 del trattato d’alleanza degli
stati dell’Atlantico settentrionale che Lettonia, Estonia e Lituania hanno sottoscritto dopo la loro uscita
dall’Unione Sovietica.
Inoltre Donald Trump è pronto a riconoscere l’acquisizione della penisola di Crimea, strappata nel 2015 dai russi
all’Ucraina. In questo caso sarebbero annullate le sanzioni che UE ed USA hanno decretato l’anno scorso nei
confronti di Mosca.
Nei fatti, per Trump, la NATO dovrebbe disinteressarsi di ciò che accade nello scacchiere ex sovietico, lasciando
campo libero all’espansionismo di Putin.
Il Kremlino non fa mistero d’apprezzare la linea sostenuta dal miliardario repubblicano e spera in una sua vittoria
l’8 novembre.
Giappone, Cina ed Asia. Per gli Stati Uniti, dal 1945, il Giappone non è considerato Asia ma appendice occidentale.
Motivo per cui Trump non avrebbe difficoltà a dotare i giapponesi di deterrenza nucleare per contrastare la Cina e
bilanciare gli equilibri con Pechino. I trattati di non proliferazione nucleare non sono un problema per il magnate
newyorchese, che in linea di principio non è contrario nemmeno all’ atomica nord-coreana. Chiunque vinca le
elezioni americane avrà come obiettivo primario il contenimento cinese, motivo per cui la Us Navy ha già in
cantiere le nuovissime super portaerei nucleari. La Cina per gli Usa sarà nel prossimo quadriennio il competitor
principale. I Cinesi hanno dimostrato di non essere ancora all’altezza come super potenza, molte le crepe nelle
quali gli Usa contano d’inserirsi. La Cina attualmente si comporta come grande potenza regionale, tollera l’India,
bisticcia col Giappone, non è sempre in linea con Mosca e soprattutto non ha una visione strategica globale e
lungimirante. Gli americani proveranno ad approfittarne cercando di mettere sotto pressione Pechino nei rapporti
con vicini ingombranti come India e Pakistan. Il Giappone in questo scenario si doterebbe d’armi atomiche a corto e
medio raggio, rappresentando una vera e propria spina nel fianco per il Dragone cinese.
Turchia E Medio Oriente. Trump apprezza Erdogan, lo ha dimostrato anche dopo il fallito colpo di Stato del 15
luglio scorso. Una Turchia forte militarmente, alleata degli Usa, è nei piani dell’amministrazione repubblicana
quanto di quella democratica. I Turchi fungono da “ tappo” con l’oriente, possiedono un buon esercito ed hanno gli
upgrade dei propri armamenti a tutto guadagno statunitense. Trump (ed in questo caso anche la Clinton) non si
priverebbe mai del “perfetto stato cliente”. Iraq, Siria e Nord Africa invece rappresentano per il candidato
repubblicano una scocciatura, per giunta costosa. Aerei, truppe e navi impegnati tra Golfo Persico e Mesopotamia
hanno un costo, la soluzione ottimale sarebbe dotare dell’atomica i sauditi ed ovviamente anche l’Iran. In questo
modo si verrebbe a creare un equilibrio da deterrenza nucleare, una sorta di Guerra Fredda in seno al mondo arabo.
Scenario rischiosissimo, ma presente nell’agenda del candidato repubblicano.
Donald Trump, in sostanza, delinea approcci globali definibili nella “strategia dell’equilibrio delle macro aree”. Il
mutamento del contesto strategico è il seguente: creare equilibrio nelle macro aree con deterrenza nucleare, in
pratica, armando gli stati regionali più significativi ed in contrapposizione si verrebbe a creare un regime
d’equilibrio che garantirebbe un blocco d’iniziativa quasi totale, come appunto successe durante la Guerra Fredda.
Potrebbero avviarsi piccoli conflitti localizzati, ma il rischio di “mutua distruzione” bloccherebbe qualsiasi
tentativo di movimento strategico.
In questo quadro, gli Stati Uniti risparmierebbero miliardi di dollari, non avendo più truppe in loco e fornendo
armi nucleari, ormai obsolete, ma dall’enorme deterrenza per le zone trattate.
Questa strategia è rischiosissima e va contro la linea comune pluridecennale intrapresa dai governi dei grandi
Paesi, anche durante la “guerra fredda”, che hanno sempre cercato di limitare la proliferazione nucleare che sul
medio e lungo periodo potrebbe innescare delle reazioni a catena difficilmente controllabili.
si ha l’impressione che DJT ed i suoi consiglieri abbiano perso la consapevolezza del danno che arrecherebbe
all’intera umanità l’uso indiscriminato dell’ordigno nucleare, allo stesso tempo traspare da questa visione uno
spirito ruvidamente commerciale condotto innanzi senza scrupoli, mirante esclusivamente a realizzare un guadagno
anche a spese della sicurezza globale del pianeta e dell’intera comunità umana.
America Latina ed Africa subsahariana. Sono aree del pianeta completamente assenti dalla visione di Trump che, come
altre amministrazioni repubblicane del passato, tenderebbe a disinteressarsi di questi Paesi, salvo che proclamare
ai quattro venti che se sarà eletto Presidente, farà costruire un muro al confine col Messico, per ostacolare
l’immigrazione ed espellerebbe tutti i Musulmani dal territorio nordamericano.
In realtà, un muro tra Messico e stati Uniti esiste già da anni, ma l’economia statunitense ha bisogno della
manodopera latinoamericana, tant’è vero che nel Paese vi sono oltre 12 milioni di sans papier che vivono e
lavorano.
Difficile pensare che il repubblicano possa cacciarli,una volta eletto, più facile immaginare che non verrà
regolarizzata la loro posizione, come del resto ha deciso più volte in questi anni il congresso a maggioranza GOP.
Il parere degli esperti. «Donald Trump potrebbe essere il presidente più avventato della storia americana»: lo
hanno scritto in una lettera aperta apparsa sul New York Times, cinquanta superesperti in politica estera e
sicurezza nazionale d’orientamento repubblicano.
tutta gente che ha lavorato nelle amministrazioni Bush senior e junior: tra loro ci sono ex consiglieri
presidenziali, ex capi della sicurezza interna, nonché dirigenti dell’intelligence ed ex segretari alla sicurezza
nazionale.
Costoro si dicono «convinti che sarebbe un presidente pericoloso e che metterebbe a rischio la sicurezza e il
benessere nazionale del nostro Paese.»
«Non ha il carattere, non ha i valori e l’esperienza per essere presidente”, dimostra “un’allarmante ignoranza di
fatti fondamentali in politica internazionale», scrivono.
Pur essendo un documento importante che getta una luce fosca sulla figura di donald J. Trump, temiamo che conti
relativamente poco nella scelta che farà a novembre l’elettorato nordamericano che pensa poco alla geopolitica e
vuole soprattutto credere che esista un mondo in cui l’America ordina e gli altri eseguono senza protestare.
PIERLUIGI GIACOMONI