MESSICO. ELEZIONI IN DODICI STATI.
(7 giugno 2016).
CITTA’ DEL MESSICO. Domenica scorsa, 5 giugno 2016, elezioni in 12 dei 31 Stati messicani, gli elettori sono stati chiamati alle urne per rinnovare i poteri locali.
concretamente, si votava in Aguascalientes, Chihuahua, Durango, Hidalgo, Oaxaca, Puebla, Quintana Roo, Sinaloa, Tamaulipas, Tlaxcala, Veracruz e Zacatecas: in questi territori si trattava di eleggere i governatori ed i legislativi locali.
Il voto si situa a due anni esatti dalle elezioni presidenziali del giugno 2018 quando il colosso centro-americano sarà chiamato ad eleggere il successore di Enrique Peña Nieto, non immediatamente rieleggibile per un altro mandato di sei anni.
IL PRI. Il voto di domenica si configurava come un vero e proprio test di popolarità per il PRI (Partido Revolucionario Institucional), la formazione politica di cui Peña Nieto è il leader e che dominò la scena politica messicana dal 1929 al 2000.
L’ex partito-Stato ha visto il suo consenso sfaldarsi in quasi tutti gli Stati interessati al voto: ha vinto in cinque, ma ha perso il controllo di Veracruz e Tamaulipas, strategicamente importanti tanto per la posizione geografica (entrambi si affacciano sul Golfo del Messico), quanto per l’alta concentrazione di giacimenti di petrolio e gas naturale.
E’ riuscito, però, a difendere lo Zacatecas, maggior produttore nazionale d’oro, d’argento, di piombo e di altre importanti materie prime.
I media locali hanno definito “storica” la sconfitta del PRI: un risultato nettamente peggiore rispetto a quanto previsto dai sondaggi della vigilia.
Ciò considerato, ci si può immaginare che ora inizi la resa dei conti all’interno del partito di governo in vista dell’inizio della campagna per le presidenziali del 2018.
In particolare, l’attenzione si focalizzerà sul candidato da proporre: al momento paiono in lizza
Manlio Fabio Beltrones, presidente del partito e Miguel Ángel Osorio Chong, attualmente Ministro federale degl’interni. Quest’ultimo, però è al centro di roventi critiche per gli insuccessi governativi nel campo della sicurezza nazionale: in diverse regioni del Paese continuano a crescere gli omicidi, dovuti sia ai conflitti interni tra le bande dei narcotrafficanti, sia al tentativo d’imbavagliare la stampa ed impedirle di scoprire i rapporti spesso inconfessabili che intercorrono tra esponenti della politica e la criminalità organizzata.
IL PAN. Il Partido de Accion Nacional, di centro-destra, uscito distrutto dalle non esaltanti esperienze governative delle amministrazioni di Vicente Fox (2000 – 2006) e Felipe Calderon (2006 – 2012), attualmente all’opposizione, pare risorto dalle sue ceneri: ha registrato, infatti, una sensibile crescita tra gli elettori, vincendo in sette stati, tra cui il Quintana Roo – importante meta turistica perché sul suo territorio si trovano i resort di Cancun e Playa del Carmen, meta di un flusso incessante di visitatori per dieci mesi all’anno.
Ora il PAN si candida a rientrare nell’agone politico e potrebbe divenire un serio rivale del PRI al momento delle già citate presidenziali.
LA SINISTRA. Oltre al PAN, indubbiamente il vincitore assoluto di questa tornata elettorale, la giornata di domenica è stata un trionfo anche per Andrés Manuel López Obrador, figura centrale della sinistra istituzionale messicana ed ora presidente del Movimento di Rigenerazione Nazionale (MORENA), che a Città del Messico ha ottenuto il maggior numero di voti nelle elezioni per l’Assemblea costituente, superando anche il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), dal quale si staccò nel 2014.
Dopo aver sfiorato la vittoria nelle presidenziali del 2006 e del 2012, AMLO, come lo chiamano i suoi sostenitori, ha annunciato di voler correre anche nel 2018.
I detrattori, tuttavia, lo accusano di eccessiva mania di protagonismo e di incapacità di coalizzarsi con altre forze politiche, creando quindi le condizioni per un’ennesima sconfitta.
Dal canto suo, il PRD, (Partido Revolucionario Democratico), di centro-sinistra, non ha guadagnato granché da queste elezioni: nonostante l’alleanza col PAN l’abbia portato alla vittoria negli importanti stati di Veracruz e Quintana Roo, senza tuttavia ottenere alcuna carica governatoriale, non è riuscito né a sconfiggere il PRI nello stato di Oaxaca, dove nei mesi scorsi si sono svolte violente manifestazioni contro le riforme scolastiche volute dal governo federale, né ad imporsi su una forza minore come MORENA nella progressista Città del Messico.
Si può, quindi, immaginare che questa forza di centro-sinistra possa divenire d’importanza marginale nell’imminente corsa presidenziale, diversamente da quanto avvenne negli anni Novanta.
LA VIOLENZA. Nella giornata elettorale non sono mancati episodi di violenza: oltre a minacce a diversi candidati per indurli a ritirarsi dalla competizione, sono avvenute aggressioni a militanti politici ed elettori, per convincerli ad astenersi dal voto.
Nei pressi di un seggio elettorale nello stato di Veracruz, celebre per i suoi numerosi assassini di giornalisti ritenuti scomodi dal potere, è stata addirittura ritrovata, ad esempio, una testa mozzata, e frequenti sono stati i lanci di materiale esplosivo contro le sedi dei partiti.
Alcune persone sono state arrestate dalle polizie locali affinché non potessero votare, mentre diversi giornalisti sono stati fatti oggetto di pestaggi.
Il Messico è certamente un Paese democratico, perché le elezioni si tengono con regolarità, ma è anche un Paese dove la violenza politica fa da sfondo alle battaglie elettorali. Questo rumore sinistro di fondo non accenna a smorzarsi, anzi in qualche caso impedisce un naturale e pacato confronto tra punti di vista diversi.
L’essere, secondo alcuni osservatori, un Paese di transito degli stupefacenti tra l’america Latina e gli Stati Uniti, rischia d’esser un cancro capace di metter in discussione le stesse istituzioni democratiche e trasformarlo in un vero e proprio narcostato.
PIER LUIGI GIACOMONI