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MATTARELLUM, PORCELLUM, ITALICUM: PERCHE’ NON POSSIAMO VOTARE SUBITO?
(15 Dicembre 2016)

ROMA. Dopo il voto del 4 dicembre scorso tutti, almeno a parole,vogliono votare subito perché sostengono che la
XVII legislatura è sostanzialmente finita.

Eppure un conto son le parole,un altro è la realtà.

Intanto, in Italia, solo il Presidente della repubblica può disporre lo scioglimento anticipato di una o di
entrambe le Camere (art. 88, cost. it.) ed il Capo dello Stato prende questa decisione solo se non vi sono
alternative possibili.

Inoltre, Tra l’emanazione dei decreti di scioglimento e la data elettorale devono trascorrere da 45 a 70 giorni,
durante i quali si devono allestire le liste, metter in piedi la macchina elettorale e garantire che dappertutto,
dalle Alpi a Pantelleria sia effettivamente possibile votare.

al momento, però, vi è un ostacolo in più: la confusione della legislazione elettorale.

In questo momento sussistono due leggi elettorali per la Camera dei Deputati (l’Italicum) ed una per il Senato
della Repubblica (quanto resta del Porcellum dopo le sforbiciate della corte costituzionale [sentenza n. 1/2014]).

«Alla Camera – scrive Roberto D’Alimonte – è in vigore un sistema elettorale maggioritario di lista a due turni,
l’Italicum. Chi arriva primo con il 40% dei voti prende il 54% dei seggi. Se nessuno arriva a quella soglia i due
partiti più votati vanno al ballottaggio e chi vince si prende il 54% dei seggi. Per avere seggi basta arrivare al
3% dei voti. Insomma, con questo sistema elettorale in un turno o in due turni si sceglie un vincitore che forma il
governo. In gergo, è un sistema majority assuring, cioè garantisce una maggioranza assoluta di seggi. Allo stesso
tempo, con una soglia così bassa (in Germania è il 5%) anche i piccoli partiti possono essere rappresentati.

Al Senato invece l’Italicum non c’è. C’è un sistema elettorale proporzionale disegnato dalla Corte costituzionale
con la famosa sentenza del gennaio 2014 che ha cancellato il famigerato Porcellum. Allora la Corte decise di
abolire i premi di maggioranza che erano previsti a livello regionale sulla falsariga del premio esistente alla
Camera. Lasciò però in piedi le soglie di sbarramento a livello regionale che sono un po’ particolari. Per i
partiti che preferiscono presentarsi da soli la soglia è piuttosto elevata, l’8 per cento. Per quelli che fanno
alleanze c’è uno sconto sostanziale. Infatti si passa dall’8 al 3 per cento. Non male. Ma lo sconto richiede che
sia soddisfatta una condizione. La coalizione deve arrivare al 20% dei voti. Quindi una coalizione di piccoli
partiti potrebbe non farcela. È la ragione per cui Monti nel 2013 si presentò al Senato con una lista unica, mentre
alla Camera con regole diverse potè presentarsi con una coalizione di liste.

In sostanza, queste soglie mettono i piccoli partiti alla mercé dei più grandi che sono i soli con i quali i
piccoli possono sperare di arrivare al 20 per cento. Questa dipendenza è il risultato dell’abolizione del premio.
Con il premio il rapporto tra partiti piccoli e partiti medio-grandi era più equilibrato. I piccoli avevano bisogno
dei grandi per avere lo sconto, ma i grandi avevano bisogno dei piccoli per conquistare il premio. L’intervento
della Consulta ha squilibrato questo rapporto mettendo i piccoli alla mercé dei grandi. In questo modo sono i
grandi a decidere chi entra in parlamento e chi no.»
***
Il nodo di fondo. Per stabilire una legge elettorale univoca occorre sciogliere un nodo: si vuole una legge che
stabilisca fin dal giorno del voto chi governa o una che fotografa il quadro politico esistente delegando poi alle
forze in campo la formazione della maggioranza?

Nella cosiddetta “prima repubblica” si seguì il secondo criterio: le camere venivano elette con due sistemi
diversi, ma il risultato politico finale era che l’una era la fotocopia dell’altra. In più il sistema politico era
fondato sulla centralità della Democrazia Cristiana che di volta in volta sceglieva i partner di governo in un
ventaglio di piccoli partiti. La destra e la sinistra erano sistematicamente all’opposizione e, per diverse
ragioni, anche legate alla situazione internazionale ed alla posizione geopolitica dell’Italia, non avevano serie
prospettive di governo.

Crollato il sistema di Yalta e travolto il pentapartito dalle inchieste di “mani pulite” si è passati ad un assetto
politico bipolare e poi tripolare. Le leggi elettorali emanate in questo ventennio hanno teso ad affidare
all’elettore l’indicazione su chi,dopo il voto, deve governare.

solo che il bicameralismo paritario, la diversità di corpi elettorali tra una camera e l’altra ha sbilanciato il
sistema.
***
Il Mattarellum. La legge nota col nome di Mattarellum, perché scritta da Sergio Mattarella nel 1993-94, istituì i
collegi uninominali ad un turno per il 75% dei seggi in palio.

Rimaneva un 25% di seggi che venivano attribuiti a scrutinio proporzionale per le liste che superavano il 3%
(diritto di tribuna).

Questo sistema elettorale fu utilizzato nelle elezioni politiche del 1994 ’96 e 2001.

Nel 1994 e nel ’01 vinse il centro-destra, nel ’96 il centro-sinistra.

Sembrava si fosse trovata la risposta giusta a tre problemi:
1. si riusciva a garantire l’alternanza tra blocchi politici contrapposti;
2. c’era un rapporto relativamente stretto tra eletti ed elettori;
3. si riusciva a garantire che il governo avesse la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento.

Oggi, però,nessun partito, per diverse ragioni, vuole la risurrezione di questa legge, perché essa era figlia d’uno
schema politico bipolare, mentre ora siamo in epoca tripolare.

Infatti potrebbe anche accadere che in diversi collegi uninominali arrivi al primo posto, venendo eletto,un
candidato del Movimento 5 Stelle a spese del centro-destra e del centro-sinistra. Inoltre non è detto che si
finirebbe per avere una maggioranza chiara ed univoca in entrambe le Camere.
***
Il Porcellum. Nel 2005, però, il governo di centro-destra, temendo di perdere le elezioni politiche del 2006
ridisegnò la legge elettorale: si passò dal Mattarellum al Porcellum.

per la Camera dei Deputati si passò dal collegio uninominale a dei maxi collegi a base regionale o subregionale,
furono abolite le preferenze, si permise ai candidati di presentarsi dappertutto, salvo poi rinunciare, permettendo
l’elezione dei primi subentranti.

Si assegnò al partito più votato un premio di maggioranza di 340 seggi su 630.

Per il Senato si introdussero tanti premi di maggioranza per ognuna delle regioni.

Risultato: nelle elezioni politiche del 2006 le coalizioni di centro-destra e centro-sinistra sostanzialmente
pareggiarono nelle elezioni del Senato,mentre alla Camera prevalse il centro-sinistra.

La stessa legge fu applicata nelle elezioni del 2008 (vittoria larga del centro-destra) e del 2013 (passaggio dal
bipolarismo al tripolarismo con l’esplosione del fenomeno 5 stelle).
***
L’Italicum. In questa legislatura si è tornati a metter mano alla legge elettorale con l’approvazione dell’Italicum
che però vale solo per la Camera dei Deputati ed è soggetta al vaglio della corte Costituzionale che renderà noto
il proprio verdetto il 24 gennaio 2017.

Quasi tutti gli osservatori ritengono probabile che la Corte Costituzionale dichiarerà inammissibili il premio di
maggioranza, il ballottaggio e le candidature bloccate dei capilista.

In questo modo la consulta ridisegnerà un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale con uno sbarramento al
3%.

Vi è chi ritiene che con queste sentenze definite autoapplicanti si possa andare a votare perché in pratica si
svincolano i partiti dal costruire delle alleanze o dei cartelli elettorali prima del voto.

Rimarrebbe però irrisolto il problema della difformità degli sbarramenti tra camera e Senato: a Montecitorio, come
detto, ve n’è uno al 3%, a Palazzo Madama è fissato all’8%.
Ecco, allora,che è necessario un intervento del Parlamento che armonizzi le due legislazioni.
***
Conclusioni per forza provvisorie. Si torna a quello che abbiamo definito all’inizio “il nodo di fondo”:
• vogliamo costruire un sistema elettorale che fotografi l’esistente e che rinvii al dopo voto la costruzione delle
maggioranze parlamentari o vogliamo un sistema elettorale che attribuisca all’elettore anche la facoltà di indicare
da chi vuol esser governato?

• Vogliamo, in sostanza, governi dalla vita breve od esecutivi che si reggano in piedi per una legislatura e poi
vengan giudicati al momento del voto?

• I populisti che ogni giorno c’impartiscono non richieste lezioni di democrazia e ci richiamano continuamente al
rispetto quasi sacrale della volontà popolare,soprattutto quando questa conferma i loro deisiderata, vogliono
davvero passare da un assetto istituzionale che sostanzialmente affidava al popolo l’elezione del governo ad uno
che invece l’affida completamente alle trattative tra i gruppi parlamentari?

• Soprattutto, la classe politica pensa davvero che il nostro Paese possa permettersi il lusso di periodi di crisi
politica lunghi come quelli vissuti negli ultimi anni da Belgio (540 giorni), Spagna (300 giorni) ed Irlanda (64
giorni)?

PIER LUIGI GIACOMONI

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