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MAPPAMONDO. PAESI SCONOSCIUTI

L’OMAN
(5 Agosto 2023)

BREVE PREMESSA

Nel mondo, in questo momento, ci sono più di 220 Paesi: molti son indipendenti, altri sotto tutela d’altri; alcuni, non son riconosciuti dalla comunità internazionale, ma questo non impedisce loro d’esistere. Della maggior parte di essi non parla quasi nessuno, perché non vi accadono quegli avvenimenti che attirano l’attenzione della grande stampa internazionale.

Son sicuro che nessuno di voi saprebbe dirmi qualcosa su Nauru, le isole Tuvalu o Kiribati, ma il discorso vale anche per certi Stati dei Caraibi o dell’Africa sub-sahariana.

Anni fa, m’imbattei in un articolo che parlava del Buthan, regno himalayano dove pare che la gente sia molto più felice di noi,
perché son state adottate norme a tutela dell’ambiente e si fa tutto il possibile per evitare l’invasione del turismo di massa che da un lato porta tanto denaro, ma dall’altro induce a costruire grandi alberghi e gigantesche infrastrutture che magari modificano irreversibilmente l’ambiente naturale e umano.

Perciò, ho deciso di documentarmi su questi Stati, generalmente medio-piccoli, e di scrivere qualche pezzo su di loro.

Fortunatamente il web ci fornisce delle risorse, come articoli di giornale o schede informative con dati statistici.

Per questo viaggio, ho deciso di partire dall’Oman, sultanato situato nella penisola arabica a due passi dagli Emirati Arabi Uniti, di cui, a differenza del vicino, si sa pochissimo.

Ho scelto questo stato come punto di partenza incuriosito da un articolo apparso poche settimane fa su Internazionale, la pregiata rivista settimanale che traduce e diffonde inchieste anche su posti “dimenticati”. Nel pezzo si raccontava che in Oman si usan da secoli delle tecniche per ridurre al minimo lo spreco d’acqua dolce, elemento importante dappertutto, ma particolarmente prezioso in un luogo dove il deserto la fa da padrone.

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L’OMAN

GEOGRAFIA

«L’Oman – si legge sul sito della BBC – è il più antico stato indipendente del mondo arabo. È strategicamente posizionato alla fine del Golfo persico, all’angolo sudorientale della penisola arabica.» La costa, lunga 2.500 km, offre migliori condizioni climatiche: d’estate vi arrivano le piogge monsoniche e questofavorisce l’agricoltura e l’insediamento umano.

Il regno occupa una superficie di 309.500 kmq ed ha una popolazione di 4,5 milioni d’abitanti.

La Capitale si chiama Mascate.

La lingua prevalente è l’arabo, ma si parlano anche baluchi, urdu e inglese; la religione prevalente è l’islam ibadita, ma vi sono minoranze sciite, indù e cristiane.

Lo Stato è una monarchia semiassoluta, il sultano concentra nelle proprie mani tutti i poteri, legislativo ed esecutivo, anche se è stato creato, come vedremo, un consiglio consultivo, costituito da persone, uomini e donne, eletti su liste apartitiche.

La legge, infatti, non riconosce l’esistenza di nessun partito organizzato.

Il territorio è suddiviso in 59 governatorati.

Non è garantita la libertà di parola: il ministero delle informazioni esercita un forte controllo sui media.

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CENNI STORICI

Nel XVII secolo, l’Oman era un impero che si estendeva, soprattutto nell’800, attraverso lo Stretto di Hormuz, fin all’Iran e al Pakistan e lungo la costa orientale africana, fin a Zanzibar, luogo d’arrivo dei suoi mercanti
che trafficavano anche in schiavi.

Per lungo tempo la sua marineria ha tenuto testa a britannici e portoghesi nell’Oceano indiano e nel Golfo persico.

Nel 1913 il paese si divide in due: l’interno è governato da imam ibaditi e le zone costiere dal sultano. Sette anni dopo, in base a un accordo mediato dagli inglesi, questi riconosce l’autonomia delle regioni interne.

Nel ’59, però, aiutato dall’esercito britannico e da una Campagna di bombardamenti della RAF, il sultano Said bin Taimur riprende il controllo anche del territorio perso decenni prima: poco dopo (1964) son scoperte importanti riserve di gas e petrolio, ma solo tre anni dopo inizia il loro sfruttamento.

Nel 1965 esplode nell’Oman meridionale una rivolta, passata alla storia come ribellione del Dhofar, che apre una grave crisi in un regime caratterizzato da una gestione assolutistica da parte del sovrano.

I combattimenti tra forze governative e rivoltosi dureranno dieci anni: lo stato farà ricorso a a un vasto repertorio di misure repressive per schiacciare l’insurrezione di sinistra, ma è solo grazie all’intervento di Gran Bretagna, Iran, Giordania ed Emirati Arabi Uniti se Mascate riesce a vincere sui ribelli.

1970, luglio: L’anziano sultano è deposto dal figlio durante una congiura di palazzo: Qabus bin Said governerà per i successivi 50 anni, avviando un programma di liberalizzazioni e modernizzazioni.

Solo, però in seguito alle proteste popolari che nel 2011 chiedono anche qui, come nel resto del mondo arabo la democrazia, Qabus convoca un consiglio consultivo con poteri limitati.

Nel gennaio 2020, in seguito alla morte dell’anziano monarca, sale al trono
Haitham bin Tariq Al Said. Secondo la BBC, il nuovo sovrano, laureato a Oxford proseguirà sulla linea tracciata dal suo predecessore: neutralità nelle relazioni internazionali, anche se l’Oman è uno dei membri fondatori del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) insieme ad Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar.

Inoltre, dovrebbe proseguire nelle riforme economiche e sociali: in qualità di capo dell’iniziativa Vision 2040 dell’Oman, Sultan Haitham è stato fortemente coinvolto negli sforzi per rendere il paese meno dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas.

L’Oman è un Paese estremamente diseguale: sono diffuse povertà e disoccupazione edun recente rapporto denuncia maltrattamenti nei confronti degli immigrati stranieri.

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MIGRANTI SFRUTTATI

Come denuncia un articolo apparso mesi fa sul Guardian, le colf d’origine africana che lavorano nelle case dei ricchi omanesi sono oggetto d’un enorme sfruttamento (fin a 20 ore giornaliere di lavoro) e subiscono angherie d’ogni tipo, anche abusi sessuali.

Do Bold, un’organizzazione che lavora per assistere e rimpatriare i migranti intrappolati nel Golfo, ha redatto un voluminoso rapporto basato su 469 interviste fatte ad altrettante collaboratrici familiari.

Il quadro che emerge è agghiacciante: tutte le donne, tranne una, eran vittime di lavoro forzato ed avevan raggiunto l’Oman con l’inganno.

I recultatori avevan fatto creder loro che le avrebbero portate in un luogo dove avrebbero potuto studiare o imparare un mestiere qualificato.

Invece, una volta arrivate, son state mandate nelle case a far i lavori domestici, alla mercé dei loro padroni.

In Oman è diffusa la pratica della Kafala, che lega il lavoratore al suo datore.

Se il dipendente rompe unilateralmente il contratto o se ne va dal luogo d’impiego per sottrarsi ad eventuali abusi, è passibile d’incriminazione con conseguente arresto.

Adama, una collaboratrice domestica di 20 anni, sierraleonese, ad esempio, racconta che un giorno si è rivolta alla polizia per denunciare i maltrattamenti cui era sottoposta: temeva infatti per la sua sopravvivenza.

Gli agenti si son recati a casa del suo padrone, han visto i segni delle botte e delle frustate, han parlato con la famiglia, poi se ne son andati senza portarla in salvo.

I padroni allora, per punirla, l’han rinchiusa in uno stanzino, lasciandola senza cibo.

PIER LUIGI GIACOMONI

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