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MAPPAMONDO.

PAESI DIMENTICATI

ZANZIBAR
(11 Agosto 2023).

«Vorrei comprar il bazar di Zanzibar» cantava negli anni 30 Oscar Carboni: a quel tempo, l’arcipelago dell’Oceano indiano al largo della costa orientale africana era un protettorato britannico. Sul trono c’era un sultano che gestiva gli affari interni, mentre il Regno Unito, attraverso i suoi funzionari, ne supervisionava l’operato.

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STORIA

La storia plurisecolare di questo territorio che ha vissuto un’effimera indipendenza tra il dicembre 1963 e l’aprile ’64, è assai interessante perché richiama l’esistenza d’una civiltà, quella Swahili, che ebbe diversi momenti di gloria.

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IL PASSATO

LA CULTURA ZANDJ

«La costa orientale dell’Africa a sud del “corno” somalo – scrive Guida del mondo[1] –
era nota ai navigatori del Mediterraneo fin dall’antichità, ma fu solo tra il IV e il V secolo d.C. che nella regione iniziò a svilupparsi il commercio. Dal VII secolo in poi l’attività mercantile assunse dimensioni significative, in funzione dei legami stabiliti prima con l’Arabia e in seguito con la Persia.

Per ragioni politiche o religiose, si verificarono delle ondate migratorie numericamente ridotte di dissidenti arabi che abbandonarono le loro terre per stabilirsi in questa zona: nel 695 d.C. il principe Hanza dell’Oman giunse a Zanzibar con un manipolo di seguaci; nel 740 d.C. dei fuggitivi provenienti dalla Mecca fondarono Muqdisho (Mogadiscio); nell’834 d.C. i ribelli sconfitti di Basrah (Bassora) divennero ricchi pirati con base a Socotra; nel 920 d.C. un gruppo di omaniti conquistò Mogadiscio obbligando i suoi fondatori a trasformarsi in carovanieri e spostarsi verso l’interno; infine, intorno al 975 d.C. Alì Ibn Sultan al Hassan, principe di Shiraz scacciato dal suo paese, si rifugiò con la famiglia in Africa, dove fondò i porti di Kilwa, Pemba, Manisa (in seguito denominata Mombasa) e Sofala (vicino all’attuale Beira in Mozambico). I suoi discendenti – e per estensione tutta la popolazione meticcia della costa – si chiamarono “shirazi”, denominazione generica tuttora utilizzata.»

Gli arabi chiamarono tutta la regione “paese degli zandj” o paese dei neri, (Zanzibar, di cui parleremo più oltre, deriva il proprio nome infatti da “zandj bar” che significa costa dei neri) in quanto la minoranza bianca si fuse totalmente coi popoli somali o bantu della costa. Il contributo di questa popolazione fu fondamentale dal punto di vista sia economico che culturale: essi introdussero una scrittura che, unita alla lingua kiswahili era destinata a dare un’unità culturale a tutta la costa compresa tra Mogadiscio e Sofala, fornendo alle sue popolazioni accesso alla civiltà araba e sbocchi commerciali adatti ai prodotti della regione.

Fu così stabilito un attivo scambio diretto: prima con l’Arabia e la Persia e in un secondo momento con l’India, il Siam e addirittura la Cina, come dimostra il fatto che, nel 1415, un’ambasceria di Malindi ritornò nello Zandj scortata da una flotta al comando del primo ammiraglio dell’impero dei Ming. I principali prodotti esportati dall’Africa erano l’eccellente acciaio di Malindi e Mombasa, che veniva lavorato in Siria o in India (le famose spade di Damasco erano realizzate proprio con questo acciaio); l’avorio, che essendo qualitativamente migliore di quello indiano era apprezzato anche in Cina; le pelli della savana; l’oro dello Zimbabwe attraverso Sofala e naturalmente gli schiavi.
Questi prodotti venivano scambiati con tessuti, libri, gioielli, perle e porcellane. Ancor oggi gli archeologi si stupiscono della quantità di ceramiche cinesi ritrovate nella regione.
Questa catena di città portuali indipendenti ma unite da un forte volume di scambi e da una stretta collaborazione, costruite con pietra o blocchi di corallo in stile arabo, con grandi piazze dove i poeti e menestrelli recitavano le epopee e le poesie d’amore alla presenza di grandi folle, diede origine a una cultura comune che, sebbene arabizzata, conservava forti radici locali ed acquisì una personalità propria anche nel campo delle creazioni artistiche ed intellettuali più sofisticate.
Quando, nel 1498, i portoghesi si fermarono nello Zandj sulla rotta per l’India, essi furono profondamente colpiti dalle dimensioni e dalla pulizia delle città, dalla qualità delle case, dalle loro lussuose ed artistiche decorazioni e dalla bellezza ed eleganza delle donne che partecipavano alla vita sociale.
Tuttavia, poiché il loro interesse primario era il commercio con l’India e poi il monopolio del traffico mercantile, essi videro nelle città zandj temibili concorrenti da eliminare: nel 1500 attaccarono e distrussero il Mozambico e continuarono la loro opera con tale crudeltà che in 50 anni riuscirono a radere al suolo tutte le città della costa orientale. Il loro obiettivo era trasferire tutto questo vitale commercio verso i loro centri mercantili.

Non vi riuscirono pienamente: la loro aggressione però causò una lunga fase di declino economico e culturale che fu interrotta solo alla fine del XVII secolo quando l’Oman allargò il proprio impero fin all’Est Africa.

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LA CONQUISTA OMANITA

Alla fine del Seicento, dunque, il sultanato di Oman avviò un vasto programma d’espansione sulla costa africana dell’oceano indiano, soppiantando gradualmente i portoghesi in fase calante. Zanzibar divenne parte del sultanato nel 1698 e sotto il dominio omanita tornò ad acquistare un importante ruolo commerciale, in particolare relativamente al traffico d’avorio, spezie e soprattutto di schiavi. I più ricchi e potenti mercanti di schiavi zanzibaresi, come Tippu Tip, disponevano di veri e propri eserciti e controllavano militarmente buona parte dell’entroterra, sin alla regione dei Grandi laghi. L’importanza dell’isola divenne tale che nel 1840 la capitale del sultanato omanita fu spostata da Mascate all’odierna Stone Town. Nel 1861, in seguito a una lotta di successione interna alla dinastia regnante, Zanzibar e Oman si separarono.

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DALL’INDIPENDENZA AL PROTETTORATO

Mentre il sultanato prosperava grazie alle piantagioni di chiodo di garofano e alla tratta degli schiavi, il Regno Unito e la Germania iniziarono a intensificare la propria presenza nell’area: la stessa Zanzibar fu oggetto di contesa. Il trattato di Heligoland-Zanzibar, stipulato nel 1890 fra le due potenze, assegnò agli inglesi il controllo dell’arcipelago che divenne un loro protettorato.

Il sultano rimase formalmente a capo dello Stato, ma era di fatto sottoposto ai visir (consiglieri) britannici (in seguito chiamati “residenti”). Gli inglesi (che avevano condotto in tutta l’Africa un’imponente campagna contro la tratta) gl’imposero l’abolizione della schiavitù.

Un tentativo della dinastia omanita di imporre un sultano non gradito ai britannici sfociò nella breve guerra anglo-zanzibarese del 1896, risoltasi con la resa del pretendente al trono dopo 45 minuti di bombardamento navale ad opera della marina di Sua Maestà.

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VERSO LA SECONDA INDIPENDENZA

Zanzibar rimase sotto il controllo britannico fino al 10 Dicembre 1963, quando, sotto la spinta del processo di decolonizzazione di tutto il continente, Londra concesse al territorio la piena indipendenza che divenne per breve tempo una monarchia costituzionale.

Il 12 gennaio ’64, però, la rivoluzione di Zanzibar portò alla proclamazione della Repubblica Popolare, governata dall’Afro-Shirazi Party, (ASP). Pochi mesi dopo, il 26 aprile, con un referendum la popolazione scelse d’unire l’arcipelago al Tanganika formando la Repubblica Unita di Tanzania, sotto la presidenza di Julius Nyerere.

Zanzibar rimase in ogni caso, per molti versi, una realtà distinta dal Tanganika, sia per la cultura più marcatamente araba, sia perché l’arcipelago (e soprattutto l’isola di Unguja) era l’area più sviluppata e relativamente più ricca del paese.

Sotto traccia, sopravvissero le spinte indipendentiste d’una parte degli zanzibaresi, mentre non mancarono scontri tra abitanti dell’isola principale e quelli di Pemba.

In più, negli anni Settanta,col crollo della produzione ed esportazione di spezie, venne meno una delle principali fonti di reddito del territorio.

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LO STATUTO DI ZANZIBAR

Col citato plebiscito del ’64, Tanganika e Zanzibar costituirono uno stato federale:
l’arcipelago avrebbe goduto d’uno statuto speciale: un governo, un parlamento e dei tribunali autonomi. Dar-Es-Salaam riconosceva agli isolani l’autogoverno interno, disciplinato però dall’esistenza d’un partito unico di Stato (Chama Cha Mapinduzi) che concentrava nelle proprie mani tutto il potere.

Abolito negli anni 90 il monopartitismo, sono riemerse nelle isole le rivendicazioni indipendentiste, cui si è già fatto cenno.

In particolare, in occasione delle diverse elezioni che si tengono ogni cinque anni tanto per le istituzioni nazionali,quanto per quelle isolane, emergono periodiche accuse di brogli effettuati per favorire il successo di candidati graditi all’amministrazione centrale.

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GEOGRAFIA

L’arcipelago di Zanzibar si compone di due isole principali, Unguja (Zanzibar) e Pemba, e una quarantina di isole minori, tutte separate dal continente dal canale omonimo, ampio 40 km.

Occupa una superficie di 2.461 km² ed ospita una popolazione di 1,3 milioni d’abitanti (2012).

Le lingue parlate sono inglese, ki-swahili (ufficiali), arabo e somalo; le religioni più diffuse Islam ibadita (97%) e minoranze di cristiani.

La popolazione è perloppiù costituita di bantu, mentre la comunità indiana, assai numerosa ai tempi della colonizzazione britannica, si è estinta. Gli indiani infatti sono fuggiti dall’isola per sfuggire alla dura repressione attuata dal governo locale dopo la deposizione dell’ultimo sultano.

L’economia si regge soprattutto sul turismo internazionale.

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IL KISWAHILI

«Watu wote wamezaliwa huru, hadhi na haki zao ni sawa. Wote wamejaliwa akili na dhamiri, hivyo yapasa watendeane kindugu.»[2]

Il Kiswahili è una lingua bantu diffusa in gran parte dell’Africa orientale, centrale e meridionale. Secondo stime del 2022, è parlata da 71,4 milioni di persone.

È lingua ufficiale in Tanzania, Kenya, Uganda e Ruanda, nonché una delle sei lingue ufficiali dell’Unione Africana e della Comunità economica dell’Africa Orientale.

La sua diffusione, anche al di fuori dell’area est africana è dovuta al suo ruolo di lingua degli scambi commerciali in una vasta regione del continente: è compresa anche in Burundi, nella Repubblica Democratica del Congo, soprattutto nelle province orientali, in Mozambico e in diverse isole dell’Oceano indiano.

Il nome “swahili” deriva dall’aggettivo arabo sawahili, “costiero” o dal persiano sahel “costa”: quest’aggettivo indica sia le popolazioni che vivono sulla costa est dell’Africa, bagnata dall’Oceano indiano, sia la lingua da loro usata.

Come in molte lingue bantu alla radice Swahili si aggiungono dei prefissi:

• ki-swahili indica il nome della lingua;
• m-swahili, indica la gente swahili;
• u-swahili è la cultura swahili, o la regione abitata dai popoli che parlano questa lingua.
(abbiamo inserito un trattino per separare il prefisso dalla radice).

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STORIA DEL KISWAHILI

Il Kiswahili si sviluppò come lingua di interscambio sulle rotte commerciali che univano l’Africa all’Asia, e che costituivano una rete estremamente ampia e attiva che aveva uno dei suoi maggiori centri a Zanzibar. Tali scambi, di cui si ha notizia almeno a partire dal I secolo a.C., influenzarono profondamente le culture della costa orientale dell’Africa, che acquisirono elementi bantu, arabi, indiani, persiani e via dicendo. In questo contesto, svolgeva la funzione di lingua franca, paragonabile all’inglese ai nostri giorni.

È difficile stabilire con precisione da quanto tempo il kiswahili esista come lingua distinta; molto probabilmente il nucleo del linguaggio si sviluppò a Zanzibar, per poi diffondersi lungo le rotte commerciali, a partire da 1500 anni fa. Uno dei primi documenti scritti in questa lingua pervenutici è un poema epico (trascritto in alfabeto arabo) intitolato Utenzi wa Tambuka (“La storia di Tambuka”), del 1728.

Di questa parlata, suddivisa in dialetti relativi a più aree geografiche (Congo, Mozambico, Comore, Mayotte, Somalia…), esiste una varietà standard prestigiosa, cioè la “kiunguja”, basata sulla parlata della città di Zanzibar. I libri che insegnano il kiswahili standard (o che partono da questa varietà per poi aprire una finestra sulle altre) si basano su questa varietà.

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LESSICO, ALFABETO, PRONUNCIA

Questa sua natura di lingua commerciale e multiculturale si riflette nella straordinaria abbondanza di prestiti linguistici che la caratterizzano: ha assorbito termini dall’arabo (per esempio waziri, “ministro”), dal persiano (serikali, “governo”) e dall’hindi (chandarua, “zanzariera”).

Con l’arrivo degli europei fece suoi alcuni termini del portoghese (pesa, “denaro” o meza, “tavolo”), del tedesco (shule, “scuola”) o dellinglese (basi per “autobus” o gari per “automobile”).

La maggioranza dei suoi vocaboli deriva però da lingue bantu, cosicché la sua diffusione in vaste aree dell’Africa non è stata ostacolata in alcun modo: la gente infatti l’ha fatta propria inserendo termini conosciuti con quelli che venivano gradualmente assorbiti.

I primi documenti scritti risalgono ad un periodo compreso tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700 ed utilizzavano l’alfabeto arabo; l’attuale forma scritta, d’uso corrente, utilizza l’alfabeto latino.

Quanto alla fonetica, le parole swahili sono quasi tutte piane, cioè l’accento cade sempre sulla penultima sillaba. In genere, questo implica che sia accentata la penultima vocale della parola; tuttavia, ci sono casi in cui può essere “accentata” una consonante. Questo vale per esempio per mbwa (“cane”), in cui si enfatizza la m, o nne (“quattro”) in cui si enfatizza la prima n. Vocali e consonanti si pronunciano in genere in modo abbastanza simile all’italiano.

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A RISCHIO DI CONTAGIO ISLAMISTA?

«Latte e menta, i colori della bassa marea, un alternarsi di trasparenze smeraldine e lingue di sabbia candida, tempestata di conchiglie. Le foreste rigogliose, gli animali esotici, il profumo della frutta matura che inebria i sensi, mentre il pungente sentore delle spezie li risveglia dolcemente: “pole, pole” come dicono i locali, “piano, piano”, è il ritornello di una vacanza perfetta»[3], è il quadro oleografico dipinto da un depliant turistico scritto per invogliarci ad andare subito a Zanzibar.

In realtà, sotto la superficie,cova il fuoco dell’estremismo islamico che sta interessando tutta l’Africa orientale, dalla Somalia al Mozambico, passando proprio per l’isola delle sabbie bianche, del latte e menta.

«Gli han fatto il lavaggio del cervello”: i giovani stan scomparendo da Zanzibar. La colpa è degli estremisti?»[4]

Con questo titolo ad effetto il Guardian del 15 Dicembre 2022 denunciava la scomparsa di 20 giovani uomini dal territorio zanzibarese.

Rapiti? No, fuggiti per unirsi ai combattenti islamisti che operano sul continente.

«Alle 10 del mattino del 16 agosto 2022 – narra il quotidiano britannico – la polizia di Zanzibar riceve la denuncia dell’improvvisa scomparsa d’un individuo dal suo domicilio per una “destinazione sconosciuta”. Era la prima di sette denunce che sarebbero arrivate alle autorità in quel mese: uomini di età compresa tra i 19 i 36 anni misteriosamente svaniti nel nulla.»

Le successive indagini chiariranno che prima di partire, tutti eran diventati più solitari, intransigenti, preoccupati per la
crescente “indecenza morale” sull’isola e devoti seguaci di Aboud Rogo Mohammed, un predicatore islamista radicale, ucciso nel 2012.

Rogo, d’origine kenyana, aveva acquisito un ampio seguito di fedeli in tutta l’Africa orientale: per le Nazioni Unite la sua predicazione si collega con quanto sostengono gli al Shabaab che operano tra la Somalia e il Kenya nordorientale.

Le famiglie d’origine degli scomparsi
credono che i loro congiunti abbiano raggiunto gruppi jihadisti per “combattere per la fede”.

Quindi Zanzibar può diventare il nuobo brodo di coltura dell’estremismo islamico?

I governanti e la società civile sembrano tenere per il momento un profilo basso: poche informazioni sui media, denunce limitate alla polizia sull’attività degli estremisti nei quartieri poveri, dove può annidarsi la militanza fondamentalista.

Però sullo sfondo ci son le inquietudini provocate tanto dalla guerra interna in Somalia, quanto dagli attacchi condotti dagli al Shabaab mozambicani che operano a Cabo Delgado contro le forze di difesa tanzaniane.

Vedremo se in futuro l’isola dei chiodi di garofano, dello zenzero e luogo di nascita del Kiswahili diverrà fonte di nuove preoccupazioni per l’est Africa e il resto del mondo.

PIER LUIGI GIACOMONI

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NOTE:

[1] Autori vari, guida del mondo, EMI, Bologna, 1999, P. 551;
[2] Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, art. 1 in kiswahili
https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_swahili
[3] Zanzibar, relax al ritmo delle maree, ilfattoquotidiano.it, 4 agosto 2023;
[4] C. Kimeu e N. Omar ‘He was brainwashed’: young men are disappearing from Zanzibar. Are extremists to blame?, theguardian.com, 15 Dicembre 2022.
La traduzione dall’inglese è mia.

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