MAPPAMONDO
PAESI DIMENTICATI
HAITI
(2 Settembre 2023)
Sei mesi fa, il Papa, nel dopo Angelus, invitò chi l’ascoltava ad interessarsi di Haiti: «Cercate – disse – notizie su questo paese!»
In questi mesi abbiam seguito il suggerimento ed abbiam perciò raccolto una cospicua documentazione.
Ciò ci permette di inquadrare meglio la situazione di questo paese che è, secondo noi, il “malato d’America”: malgoverno, diffusa corruzione, violenza, aggravano gli effetti di epidemie e disastri naturali che periodicamente lo colpiscono.
Proviamo allora, con lo strumento della ricostruzione storica, di capire qualcosa in più su Haiti.
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GEOGRAFIA
La Repubblica di Haiti è uno stato dei Caraibi: occupa la parte occidentale dell’isola di Hispaniola, la seconda in estensione delle Grandi Antille. Confina ad est con la Repubblica Dominicana.
Due catene montuose principali si dispongono secondo un asse est – ovest, delineando le due penisole dei nord e del sud. Nel mezzo, le colline e i bacini dei fiumi formano il centro. Le montagne che si innalzano a nord e ad est proteggono le pianure dagli umidi venti alisei. Il caffè è il principale prodotto d’esportazione. Lo sfruttamento del rame è cessato nel 1976 e i giacimenti di bauxite sono quasi esauriti. La costa settentrionale riceve più piogge ed è la più sviluppata del paese, ma le sue terre sono soggette ad un grave processo d’erosione.
Meno del 2% del territorio è coperto da foreste.
Il nome che porta le fu dato da Jean-Jacques Dessalines, suo primo capo di Stato, in ossequio alla popolazione degli arauachi, abitatori originari del Paese, estintisi nel XVI secolo: costoro la chiamavano Ayiti, ossia “aspro”, riferendosi alla natura dura del territorio.
La superficie è pari a 27.750 km² e la popolazione ammonta a 10,9 milioni d’abitanti: la capitale è Port-au-Prince.
Il 98% degli haitiani discendono dagli schiavi neri importati tra XVII e XVIII secolo dall’Africa; la lingua ufficiale è il francese, ma la più parlata è il creolo haitiano (kreyòl ayisyen), una lingua che fonde termini d’un francese antico con espressioni derivanti da lingue africane oltre che da spagnolo e inglese.
Religione più diffusa è il cattolicesimo, tuttavia il 20% aderisce a confessioni protestanti.
E’ diffuso il voudou, un rito di discendenza africana che vien mescolato con credenze cattoliche.
Migliaia di haitiani hanno lasciato il loro paese emigrando verso Colombia, Venezuela, Stati Uniti e Canada: le loro rimesse contribuiscono a sostenere un’economia per altri versi vacillante.
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STORIA
L’isola di Haiti, o Quisqueya, come la chiamavano gli arawak (aruachi) e i taino, fu “scoperta” da Cristoforo Colombo nel dicembre 1492, durante il primo viaggio in America.
I marinai, sbarcandovi, vi diffonderanno malattie che presto faran scomparire le popolazioni native, per cui sarà obbligatorio importare manodopera da altri posti: la Spagna però perderà presto interesse per questo luogo perché scarsamente provvisto d’oro ed argento.
Così, vi approderanno pirati ed avventurieri d’origine francese, olandese ed inglese.
In particolare, son proprio i francesi ad interessarsi molto a Santo Domingo, com’era stata ribattezzata l’isola dai missionari domenicani, per coltivarvi canna da zucchero e cacao.
Nel 700 in Europa vi è grande richiesta di questi prodotti e molti speran d’arricchirsi facilmente.
Così, col trattato di Ryswick (1697), Madrid cede alla Francia la parte occidentale di Hispaniola, altro nome dato all’isola, mentre trattiene per sé la parte orientale.
I coloni attuano un controllo ferreo della manodopera schiavile, costituita soprattutto da africani: ogni accenno di ribellione è represso senza pietà, anche con metodi efferati.
le navi negriere trasportano dall’Africa non meno di 20 mila persone all’anno. Cresce anche la popolazione meticcia, che più avanti diverrà l’élite dominante.
In poco tempo, lo zucchero diviene il principale prodotto d’esportazione, al punto che Haiti è il possedimento francese più importante di tutto il continente americano.
Quando nel 1789 scoppia la rivoluzione francese, gli schiavi neri sono circa mezzo milione, i mulatti e gli uomini di colore liberi, 60 mila, i bianchi, 20 mila.
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LA RIBELLIONE DI L’OUVERTURE
Influenzati dal movimento rivoluzionario che Ha preso il via nella metropoli, gli haitiani, guidati dall’ex schiavo Toussaint L’Ouverture, intraprendono una guerra rivoluzionaria che durerà complessivamente 12 anni (1791-1803).
La lotta può dividersi in diversi momenti:
Nel primo, grandi proprietari terrieri, schiavi, commercianti e bianchi poveri – chiamati petits blancs – solidarizzan col movimento rivoluzionario sorto a Parigi: forman un’assemblea locale, che rivendica la fine del regime coloniale.
Nel secondo, i mulatti liberi cominciano ad appoggiare la rivoluzione, credendo in questo modo di ottener dai bianchi residenti nella colonia la piena uguaglianza nei diritti con gli uomini liberi, indipendentemente dal color della pelle. Tuttavia, nel 1790 i proprietari terrieri d’origine europea reprimono ferocemente le rivendicazioni dei “liberti”.
Costoro, pertanto, comprendon di non aver scelta: l’anno seguente s’allean con gli schiavi ribelli chiamati marrons.
A questo punto, L’Ouverture crea le condizioni per una coalizione più ampia: così, avendo come rivendicazione la “libertà generale per tutti”, i diversi movimenti divengon un esercito forte e disciplinato.
Il 4 febbraio 1794, il leader ottiene dalla Convenzione Nazionale l’abolizione della schiavitù e la nomina a generale.
Dopo il colpo di stato del 18 brumaio 1799, Napoleone Bonaparte però vuol ristabilire il controllo francese sulla lontana isola, perciò invia oltremare una colossale spedizione navale col compito d’eliminare la ribellione di L’Ouverture.
Questi risponde con un’insurrezione generalizzata, ma è tradito, consegnato agli invasori, deportato in Alta Savoia dove muore nel 1803. Tuttavia, chi gli succede non accetta la minaccia del ristabilimento della colonizzazione e della schiavitù: Jean-Jacques Dessalines, assistito da Henri Christophe e dal mulatto Alexandre Pétion, prendon il comando dell’esercito, mantenendone intatta l’unità. Dopo una serie di battaglie vittoriose il 28 Novembre 1803 la Francia capitola.
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RIVALITA’ PERSONALI
Ottenuta l’indipendenza, presto scoppian rivalità personali tra i tre leader della lotta antifrancese: Dessalines, Governatore di Haiti e più tardi imperatore col nome di Jacques I, dà al suo governo una forte impronta nazionalista, ma al contempo prova a concentrare nelle proprie mani tutto il potere.
nel 1806 è assassinato durante una rivolta.
Christophe e Pétion fondano due stati personali che resistono fin alla loro morte.
Nel 1820, Jean Pierre Boyer diventa presidente della Repubblica e sotto il suo mandato Haiti riconquista l’est dell’isola che otterrà però la sua definitiva indipendenza col nome di Repubblica Dominicana nel 1844.
Dopo un nuovo periodo monarchico, sotto il regno di Faustin I (1849-1859), Haiti sarà lacerata da continui contrasti nell’élite dirigente che provocherà guerre, colpi di stato, fragili regimi transitori, fin ad arrivare all’occupazione americana nel 1915.
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IL DOPPIO DEBITO
Sotto la presidenza Boyer prende forma il “doppio debito” che di fatto blocca le prospettive di sviluppo di Haiti fin dall’inizio.
Come ha rivelato di recente il New York Times in una sua lunghissima inchiesta, sulla nazione caraibica pesa fin da subito un’importante ipoteca.
Pur ritirandosi, Parigi non riconosce il nuovo stato e nel 1825 Re Carlo X, appena salito al trono, ordina che una flottiglia francese navighi alla volta dell’isola ribelle.
Sbarcando, il 3 luglio 1825, al porto della capitale, il barone di Mackau minaccia le autorità di bombardare la città se il governo non versa 150 milioni di franchi a mo’ d’indennizzo per le proprietà perse dai coloni in seguito all’indipendenza.
(da notare che la Francia ha venduto nel 1803 la Louisiana, un territorio vastissimo dai confini incerti al governo degli Stati Uniti per 90 milioni).
Boyer, temendo una guerra con la Francia, paga ciò che può ed invia a Parigi tre diplomatici con l’incarico di negoziar un prestito di 30 milioni su cui presto graveranno degli onerosissimi interessi.
Ecco quindi il “doppio debito”: da una parte ci son i soldi rivendicati dalla Francia, dall’altra i prestiti chiesti alle banche coi relativi interessi: si mette così in moto il meccanismo infernale che successivamente diverrà universalmente noto quando negli anni 80 del XX secolo emergerà il problema dell’indebitamento dei Paesi del Terzo mondo.
Si ritiene che complessivamente Haiti abbia pagato oltre 21 miliardi di dollari, parola di Jean Bertrand Aristide, confermata dal New York Times.
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L’OCCUPAZIONE AMERICANA
Nel 1915, dunque, i Marines statunitensi sbarcano ad Haiti (l’anno dopo faran lo stesso a Santo Domingo), depongono il governo in carica, v’instaurano un regime fantoccio e s’approprian dei beni conservati nella banca centrale: il paese sarà un possedimento nordamericano fin al 1934, quando il Presidente Sténio Vincent ottiene da Washington il ritiro delle truppe d’occupazione.
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LA TIRANNIA DUVALIER
Nella letteratura latinoamericana esiste il mito del caudillo, del despota che si impadronisce di uno Stato e per un tempo lunghissimo ne fa ciò che vuole.
Negli anni della “guerra fredda”, gli Stati Uniti, invece d’incoraggiare la democrazia, per timore che, come dirà più tardi l’ambasciatrice di Reagan alle Nazioni Unite, Jane Kirkpatrick, «le elezioni le vincano anche i comunisti», sostengono ad oltranza diversi tiranni in America Centrale e nei Caraibi.
Il Nicaragua, per esempio, per decenni è sotto la dinastia Somoza, Santo Domingo controllato da Rafael Leónidas Trujillo, Haiti è una proprietà della famiglia Duvalier.
Per trent’anni François, detto “papa doc” e Jean-claude, “baby doc”, rispettivamente padre e figlio, fan di Haiti ciò che vogliono.
Divenuto Presidente dopo regolari elezioni, François Duvalier accentra nelle sue mani un potere crescente, finché non si fa proclamare capo dello stato a vita (1964): alla sua morte (22 apprile 1971), il potere passa al figlio che lo tiene fin al 1986.
Per garantirsi l’obbedienza della popolazione è creata la milizia dei Tonton Macoutes, una polizia segreta che rapisce gli oppositori veri o presunti e, dopo terribili torture, li fa sparir nel nulla.
Negli anni dei Duvalier, tutto è di loro proprietà.
Il sistema di potere comincia a sgretolarsi quando nel 1983 giunge in visita Giovanni Paolo II. Partendo da Haiti il Papa dice: «le cose qui devono cambiare!»
Ciò dà il via al movimento che entro tre anni pone fine alla tirannia.
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LA RIVOLUZIONE DELL’86
Col 1984 prende gradualmente forma un movimento sociale che di protesta in protesta, pagando un prezzo altissimo in termini di arresti, torture ed eccidi porta alla caduta del regime. Il movimento cresce, finché è chiaro che il regime non è più in grado di farvi fronte. Per di più, l’intera area dell’America Centrale e dei Caraibi è in piena ebollizione.
Dopo la rivoluzione cubana del ’59, nel 1979 cade in Nicaragua l’ultradecennale dittatura dei Somoza, in El Salvador divampa la guerra civile… nell’83 gli Stati Uniti intervengon militarmente sull’isola di Grenada dove è andato al potere un partito dichiaratamente comunista.
Ronald Reagan dichiara in un discorso che tutte queste insurrezioni antiamericane devon esser represse.
In questo contesto, il regime Duvalier è abbandonato al suo destino per evitare l’avvento del comunismo a Port-au-Prince.
Così, il 7 Febbraio 1986, Jean-Claude Duvalier e la sua famiglia abbandonan Haiti a bordo d’un aereo militare statunitense. Successivamente, saran ospitati in Francia in un esilio dorato.
Il potere è assunto da un Consiglio Nazionale di transizione, presieduto dal generale Henri Nanphy: l’ala più radicale del movimento rivoluzionario ritiene però che questa soluzione favorisca il riemergere dell’oligarchia da sempre sostenitrice del despota.
In questo modo comincia una lotta tra le diverse fazioni che vede in diversi momenti susseguirsi deboli governi a guida civile e giunte militari.
Nel 1990, col 67% dei voti, un ex prete salesiano, Jean Bertrand Aristide, famoso per aver lavorato a lungo nei quartieri poveri, è eletto alla Presidenza della Repubblica.
Sostenitore della “teologia della liberazione”, vuol lottare contro la corruzione e il narcotraffico, alfabetizzare la popolazione; far uscire dalla povertà chi abita nelle baraccopoli.
Col cruento colpo di stato del 30 settembre ’91, l’élite dimostra di voler bloccar sul nascere la realizzazione dei progetti annunciati dal Presidente.
Il generale Raoul Cedras,uomo forte della dittatura, impone un regime di terrore molto simile a quello dei Duvalier.
Tre anni più tardi, il 15 ottobre ’94, dopo che i golpisti son andati in esilio, Aristide torna alla presidenza per completare il suo mandato, ma è un leader indebolito perché prima di tornare a Port-au-Prince ha firmato degli accordi coi golpisti e l’amministrazione Clinton che ridimensionano la radicalità del suo programma originario.
Per di più, il Fondo Monetario Internazionale, per concedere un prestito di cui Haiti ha estremamente bisogno, impone severe misure, come tagli all’istruzione,alla sanità ed all’assistenza sociale, che colpiscono principalmente chi vive nelle bidonville.
Nel frattempo, per Haiti, la dittatura militare ha comportato costi enormi: le sanzioni adottate contro la giunta non han danneggiato l’élite, ma la popolazione che spesso ha cercato d’emigrare all’estero per sfuggire agli squadroni della morte: si stima che non meno di 40.000 haitiani abbian cercato in quegli anni con ogni mezzo di sfuggire al terrore, spesso ricacciati indietro dalla guardia costiera statunitense.
Nel dicembre ’95, René Préval, vicino ad Aristide, è eletto alla presidenza della Repubblica, ma durante i cinque anni della sua amministrazione la violenza non cessa, malgrado la presenza d’una forza multinazionale che ha il compito di ristabilire la legalità.
Nel 2001 torna al potere Aristide, ma il 29 febbraio 2004 un nuovo golpe lo depone costringendolo all’esilio: il Presidente, poco prima d’esser rovesciato, chiede senza mezzi termini che le banche francesi ed americane restituiscan i soldi estorti illecitamente durante l’epoca del “doppio debito”. In una successiva intervista l’ambasciatore francese a Port-au-Prince ammette che il golpe è stato ispirato da Francia ed USA che non desideran in alcun modo che torni a galla la vicenda del folle indebitamento imposto ad Haiti tra Otto e Novecento.
Sempre nel 2004, un terribile uragano devasta il Paese, provocando morte e distruzioni.
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IL TERREMOTO
Il 12 gennaio 2010, la terra trema a Port-au-Prince: si tratta d’un sisma di magnitudo 7, seguito da molte altre scosse di magnitudo 5.
Le vittime sono numerosissime, forse mezzo milione: altrettanto gravi le devastazioni.
i quattro ospedali della città, il Palazzo Nazionale, quello del parlamento, la cattedrale, il quartier generale della missione delle Nazioni Unite sono distrutti o gravemente danneggiati.
Pochi mesi dopo, il colera miete moltissime vittime: oltre a ciò dilaga l’HIV, in parte favorito dalla frequentazione dei bordelli da parte dei caschi blu dell’ONU.
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L’ANARCHIA
Oggi Haiti è uno stato completamente allo sbando: senza un presidente, un parlamento, una magistratura, una polizia: l’80% di Port-au-Prince è controllato da bande criminali che fan il bello e il cattivo tempo.
Dal 7 luglio 2021, giorno della morte dell’ultimo Presidente, Jovenel Moïse, assassinato notte tempo nella propria villa da un commando di sicari, probabilmente al soldo dei narcotrafficanti colombiani, le cose non han fatto altro che peggiorare.
Il primo ministro in carica, Ariel Henry, nominato da Moïse due giorni prima di morire, è asserragliato insieme ai suoi ministri nel palazzo presidenziale, privo di poteri.
Fuori da lì, è l’anarchia e non passa giorno Che non avvengan nuovi lutti e nuove disgrazie: secondo l’ONU son più di mille le persone rapite dai banditi per ottenere un riscatto e quasi 2.500 le vittime degli omicidi che vengon perpetrati. Nelle ultime settimane si son manifestate in diversi quartieri della capitale forme organizzate d’opposizione alle bande armate: dietro questo movimento ci sono le chiese, sia cattolica che protestanti.
Ciò ha determinato la brutale reazione della criminalità organizzata che ha cercato d’imporre la legge del terrore.
Il sito ayibopost.org, in ogni caso, denuncia in uno dei suoi ultimi articoli l’enorme diffusione delle armi in tutta Port-au-Prince.
Migliaia di haitiani cercano in tutti i modi di scappare all’estero, ma i vicini stan chiudendo le porte: anzi, a Santo Domingo, dove il prossimo anno ci saranno le presidenziali, c’è chi sostiene che nel paese vi sono troppi haitiani ed altri penetrano illegalmente soprattutto di notte.
Gli Stati Uniti, rivela aljazeera.com, han iniziato un programma di rimpatrio di migranti provenienti da questo paese, organizzando voli dalla Louisiana e dal Texas.
Tutti i paesi delle Antille sono preoccupati per la piega che stan prendendo gli eventi ad Haiti, dove fra l’altro pare che manci il cibo, in particolare il riso, alimento base soprattutto dei poveri, come documenta alterpresse.org.
Da settimane, si sta discutendo a livello internazionale, anche su iniziativa del segretario generale dell’ONU António Gutérres, sull’invio d’una forza multinazionale che rristabilisca l’ordine e prepari il ripristino della legalità: il Kenya si è detto disponibile ad inviare 10.000 uomini, ora sembra che il 15 Settembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite discuterà una risoluzione che potrebbe dar il via all’operazione,cui potrebbero aderire anche paesi caraibici.
(va ricordato che nel Consiglio di sicurezza cinque paesi han diritto di veto sulle risoluzioni proposte: tra essi vi è la Russia finora piuttosto scettica sull’invio di caschi blu in quel paese).
Qui, per adesso, finisce il nostro triste viaggio ad Haiti, uno dei posti più infelici della terra, dove accanto ai poveri ed ai diseredati di Cité Soleil e delle altre bidonville operan da anni volontari sia laici che religiosi.
Chissà se sorgerà mai un giorno dove in questa nazione non si piange un morto ammazzato dall’ingiustizia e dall’oppressione, mentre invece si festeggia la riapertura d’una scuola o d’un ospedale.
La vicenda di Haiti, primo stato nato dalla ribellione degli schiavi neri d’America è comunque il paradigma dell’oppressione operata senza scrupoli dai Paesi più sviluppati verso altri che, se messi nelle giuste condizioni, avrebbero potuto svilupparsi.
Haiti ne aveva duecento anni fa le possibilità, ma l’insipienza d’una classe dirigente avida e facilmente corruttibile e l’arroganza dei padroni spodestati l’han impoverita fin ai nostri giorni con le conseguenze che son sotto i nostri occhi.
PIER LUIGI GIACOMONI