MALI. COLPO DI STATO: IBK DEPOSTO, LA FOLLA ESULTA
(24 Agosto 2020)
BAMAKO. Il 18 agosto, incruento colpo di Stato militare in Mali: «Dopo una giornata di caos – ha scritto su Avvenire Matteo Fraschini Koffi – un ammutinamento dei militari alla caserma di Kati, a 15 chilometri dalla capitale […] ha portato all’arresto del presidente, Ibrahim Boubacar Keïta (IBK), e del primo ministro Boubou Cissé. Con loro in manette anche diversi funzionari del governo.»
«Possiamo confermarvi – ha affermato un ufficiale coinvolto nell’operazione – che il Presidente e il Primo Ministro sono sotto il nostro controllo. Li abbiamo trovati a casa del presidente e ora sono in un nostro veicolo blindato diretti alla città di Kati».
Poi, sugli schermi della TV di stato ORTM vengono da un lato rivendicata l’azione e dall’altro annunciate le dimissioni del Primo cittadino e lo scioglimento dell’assemblea nazionale appena eletta.
«Noi, forze patriottiche raggruppate in seno al Comitato Nazionale per la Salvezza del Popolo (CNSP) – dichiara un loro portavoce – abbiamo deciso di prenderci le nostre responsabilità dinanzi al popolo e alla storia»: promette che i militari non desiderano tenersi il potere a lungo, anzi giura che sarà avviata una fase transitoria al termine della quale vi saranno nuove elezioni a tutti i livelli; chiede alla popolazione di tornare alle proprie occupazioni e garantisce che i servizi pubblici saranno assicurati; ai partner stranieri notifica che tutti gli accordi internazionali saranno rispettati: la Minusma (Forze delle Nazioni Unite operanti nel Paese), Barkhane, il G5 Sahel e Takuba, tutti progetti in atto per assicurare la stabilità potranno continuare, così come non saranno annullati gli accordi di Algeri del 2015.
Dal canto suo, il Presidente deposto dichiara con un videomessaggio diffuso a mezzanotte di non aver scelta: «Mi sottometto, perché non voglio che venga versato sangue affinché io rimanga Presidente. Per questo motivo voglio comunicarvi la mia decisione di lasciare le mie funzioni, tutte quante da questo momento, con tutte le conseguenze legali: l’Assemblea Nazionale ed il governo sono sciolti», conclude.
Consolidatasi in carica col favore della popolazione, la nuova giunta militare che ha imposto il coprifuoco notturno dalle 21:00 alle 5:00, si è presentata alla stampa.
Assimi Goita, 37 anni, il nuovo capo del Comitato Nazionale per la Salvezza del Popolo (CNSP) presentandosi dinanzi ai corrispondenti, sembra intenzionato a far passi veloci per ripristinare la democrazia. La situazione per il momento è calma, anche se SONO avvenuti saccheggi e devastazioni ed i militari hanno faticato a ristabilire l’ordine.
«Siamo molto più interessati alla stabilità del Paese che al potere – dice Goita – Vogliamo supervisionare questa transizione politica per arrivare in tempi ragionevoli a elezioni generali giuste e credibili».
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CHI SONO I RIBELLI?
Oltre che il Colonnello-Maggiore Ismaël Wagué, colui che nelle ore successive al golpe ne ha fornito le ragioni in TV, tra gli ammutinati spiccano il colonnello Malick Diaw, capo della 3a Divisione militare di Kati. Questi è uno dei cervelli del colpo di forza: addestrato in Russia, ha giocato un ruolo chiave in una congiura cui hanno preso parte elementi di polizia, gendarmeria, aviazione ed esercito.
«E’ dunque un colpo di Stato di ufficiali superiori», chiosa Serge Daniel, corrispondente RFI dal Mali, che sottolinea che tra i primi Paesi che hanno preso contatto con la nuova leadership vi è la russia, attraverso propri diplomatici.
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LE REAZIONI.
Tutti i principali attori della scena internazionale condannano il golpe. Emmanuel Macron, Presidente francese, dichiara: «Sostengo gli sforzi di mediazione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO) e «Seguo da vicino la situazione e condanno qualsiasi cambiamento di governo eseguito senza una mediazione pacifica».
Parole simili giungono da responsabili della Comunità dell’Africa occidentale, l’Unione Africana, le Nazioni Unite, l’Unione europea e gli Stati Uniti: il mali sembra precipitare in un pericoloso isolamento internazionale.
Tuttavia, i diplomatici della CEDEAO hanno già preso contatto sia con la giunta che col vecchio presidente per tracciare il futuro: circola voce che i golpisti propongano una transizione di tre anni prima di giungere a nuove elezioni. La Comunità degli Stati ovest-africani chiede anche la liberazione del Presidente e del Premier deposti e la nomina d’un Capo di stato ad interim.
La popolazione dal canto suo ora festeggia: la mattina del golpe gente di bamako ha scortato i soldati nel loro viaggio verso la casa del Presidente e venerdì 21 Agosto a sera le vie della capitale erano piene di persone che inneggiavano alla caduta di IBK.
Per settimane, quasi quotidianamente le vie di Bamako
sono state percorse da manifestazioni di protesta che chiedevano le dimissioni del Presidente e la convocazione di nuove elezioni pulite ed oneste: il portavoce del Movimento 5 Giugno (M5RFP), a seguito del putsch, definisce l’intervento dei militari una sollevazione popolare non un golpe.
Eppure è evidente che senza l’intervento degli uomini in divisa l’M5RFP difficilmente sarebbe riuscito a far dimettere il Capo dello Stato.
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L’IRA DELLA SOCIETA’ CIVILE.
«IBK VATTENE!» stava scritto anche questo su uno dei cartelli che la folla ha portato con sé per settimane di protesta per le vie della capitale: l’insurrezione popolare è montata dopo che le elezioni legislative, tenutesi tra marzo ed aprile, sono state contestate dalle opposizioni che hanno denunciato brogli in 30 circoscrizioni.
Al primo turno, infatti, è chiaro che il partito di governo Rassemblement pour le Mali (RPM) è uscito praticamente battuto, ma poi miracolosamente recupera terreno al ballottaggio: evidentemente, dicono i detrattori del Presidente, le autorità sono riuscite ad “aggiustare il voto” in modo da riconsegnare il potere ad IBK ed al suo clan, con la complicità della corte costituzionale che avalla l’esito dello scrutinio.
Di qui, la reazione del Movimento 5 giugno: per settimane manifestazioni di protesta, scontri con la polizia, arresti, feriti e morti (almeno 26 nei soli scontri accaduti tra il 10 e il 13 luglio).
Se all’inizio la richiesta è semplicemente quella di ripetere il voto nelle 30 circoscrizioni contestate, successivamente il conflitto si radicalizza, perché le prospettive per un accordo tra le parti sfumano.
Consapevole che la situazione sta sfuggendogli di mano, agl’inizi d’agosto Ibrahim Boubacar Keita scioglie la controversa Corte Costituzionale e ne nomina un’altra, provvedimento che la CEDEAO, preoccupata per la piega che stanno prendendo gli eventi si è permessa di consigliare.
Si dice che ciò permetterà la revisione dei risultati delle legislative e forse la loro ripetizione, ma il Presidente da quest’orecchio non ci sente proprio: così, malgrado la mediazione dell’ex leader nigeriano Goodluck Jonathan, la crisi politico-istituzionale è in stallo.
Leader indiscusso dei moti è l’Imam conservatore Mahmoud Dicko che unisce intorno a sé marxisti e liberali, socialisti e religiosi, tutti desiderosi di voltar pagina rispetto ad un regime accusato di corruzione, favoritismi e ripetute violazioni della legalità.
Colpo di Stato annunciato allora? Si può dire che col loro intervento le forze armate maliane hanno sciolto un nodo aggrovigliato, ma hanno anche dimostrato che senza di loro nessuno nel Paese può realmente detenere il potere.
I militari, poi, hanno un conto aperto col governo appena deposto: da anni pagano un alto prezzo in vite umane nei frequenti scontri che li oppongono alle diverse guerriglie che operano nel paese: solo dall’inizio dell’anno sono morti 200 soldati e quattro hanno perso la vita in questi giorni per un ordigno esploso quando la loro automobile è passata lungo una strada nella regione di Koro al confine col Burkina Faso.
Oltre alla pluridecennale guerra contro i Tuareg che rivendicano la secessione delle regioni da loro abitate, il Paese è anche soggetto alle incursioni delle diverse milizie jihadiste che attaccano la popolazione civile, creando un clima di crescente insicurezza.
Ora si vedrà se le nuove autorità al potere a Bamako saranno in grado d’assicurare maggiore protezione in un territorio sterminato di cui l’ultimo governo aveva pressoché perso il controllo.
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STORIA DEL MALI.
Le pitture e le sculture rupestri rinvenute nelle regioni di Gao e Timbuctu fanno ritenere che il Mali settentrionale sia stato abitato fin dal 50.000 a.C., quando il Sahara, contrariamente ad oggi, era una fertile distesa di praterie che ospitavano una ricca fauna. Nel 5000 a. C. nel paese si praticava l’agricoltura, e attorno al 500 a.C. si cominciò a utilizzare il ferro. Verso il 300 a.C. si erano ormai sviluppati grandi insediamenti organizzati, in particolare a Djenné. Nel VI secolo d.C. era già stato avviato il proficuo commercio trans-sahariano dell’oro, del sale e degli schiavi, che favorì l’ascesa dei tre grandi imperi del Mali.
L’impero del Ghana (che non ha alcun rapporto con l’attuale stato del Ghana) occupava gran parte del territorio oggi corrispondente al Mali e al Senegal e durò fino all’XI secolo. Seguì il grande impero del Mali, che nel XIV secolo si estendeva dall’Oceano Atlantico all’odierna Nigeria e sotto il quale Timbuctu divenne un grande centro dei commerci e della cultura islamica. Fu poi la volta dell’impero dei songhaï, che aveva come capitale Gao, e che venne distrutto da armate mercenarie marocchine alla fine del XVI secolo.
All’incirca nello stesso periodo, le navi europee iniziarono a giungere lungo la costa dell’Africa occidentale, aggirando le rotte commerciali trans-sahariane e spezzando così il monopolio e il potere dei regni del Sahel e delle città del nord.
Più tardi, l’impero di Ségou, dei bambara, si affermò per un breve periodo, arrivando a controllare vaste aree del Mali prima di essere spazzato via per due volte dalla jihad islamica dei fula. La seconda jihad era partita dall’impero dei Tukulor, nel Senegal settentrionale, e i Tukulor erano ancora nell’area quando la Francia iniziò a espandersi verso est fino al Mali, attorno alla metà del XIX secolo.
Alla fine dell’Ottocento, il Mali faceva ormai parte dell’Africa Occidentale Francese (AOF). Fra le cose che sono rimaste di quest’epoca coloniale vi sono la vastissima rete di irrigazione dell’Office du Niger, vicino a Ségou, e la linea ferroviaria di 1200 km. Dakar-Bamako, la più lunga dell’Africa occidentale, entrambe realizzate da prigionieri ai lavori forzati. Nonostante queste imponenti opere infrastrutturali, il Mali rimase il vicino povero del Senegal e della Costa d’Avorio, poiché il principale interesse della Francia era quello di «sviluppare» nel territorio le monoculture di riso e cotone destinate all’esportazione.
Durante la prima guerra mondiale i giovani maliani furono inclusi nelle truppe francesi impegnate nei combattimenti in Europa e ciò gettò le basi per la nascita d’un movimento indipendentista.
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VERSO L’INDIPENDENZA.
Dopo la seconda guerra mondiale tutti i territori d’oltremare francesi furono coinvolti nella stesura delle costituzioni della quarta Repubblica. A Parigi furono approvate leggi che abolirono il lavoro forzato nelle colonie ed a Bamako si costituì l’RDA prima formazione politica autoctona che estendeva la propria influenza a tutto il territorio dell’AOF.
Dopo l’emanazione nel ’56 della legge quadro promossa dal Ministro delle colonie Gaston Defferre nel 1958 anche i maliani furono chiamati a decidere mediante referendum se ottenere subito l’indipendenza,come decise la Guinea, o se entrare a far parte della Communauté Française.
Uno dei leader indipendentisti del Mali era Modibo Keita (1915 – 1977): convinto panafricanista, spinge per la creazione d’una federazione tra Senegal e Mali che tuttavia presto abortisce per volontà di Dakar che se ne stacca il 20 Agosto 1960.
Di conseguenza, il 22 Settembre 1960 il Mali proclama la sua piena indipendenza nazionale.
Keita, primo Presidente della Repubblica introduce una politica ispirata ad un modello di “socialismo reale” monopartitico: tutti i settori dell’economia sono in mano ad enti statali, ma presto risulta evidente
l’inadeguatezza delle strutture.
solo l’industria del cotone riesce a fare reddito: prende forma così una grave crisi economica che costringe lo Stato a rivedere i propri ambiziosi piani di sviluppo. Keita è costretto a chiedere alla Francia, ex potenza coloniale con cui erano stati rotti i rapporti, di sostenere il franco maliano, una misura quanto mai umiliante per un paese che si era fieramente sbarazzato dei legami e dei simboli del colonialismo, come il Franco CFA.
Alla fine, il 19 Novembre 1968, le forze armate depongono Keita: il potere è assunto dal generale Moussa Traoré (1936) che rimarrà al potere fino al 1991.
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IL REGIME TRAORE’ (1968-1991)
L’ideologia dominante del nuovo regime è simile a quella dell’epoca Keita: i militari non vogliono la proprietà privata ed impongono che tutto rimanga nelle mani dello Stato, ma, anche a causa delle frequenti carestie, provocate da lunghi periodi di siccità, le promesse di benessere sono per anni una vuota chimera.
Conseguenza: scioperi e manifestazioni di protesta promosse soprattutto dagli studenti universitari che denunciano la corruzione del regime ed il suo autoritarismo, mentre fra il 1970 ed il ’90 in ben cinque occasioni si verificano sollevazioni militari che puntano a toglier di mezzo Moussa Traoré e la sua dittatura.
Le prigioni si riempiono di detenuti politici ed il governo fa ampio uso di tutti gli strumenti repressivi di cui dispone per soffocare la crescente protesta popolare.
Si deve attendere il 1987 per avere piogge abbondanti, raccolti sufficienti e la liberalizzazione dei commerci che permette l’afflusso sui mercati di cibo sufficiente per sfamare la popolazione.
Il tempo per Traoré, però, sta per scadere: nel 1989 crollano i regimi comunisti dell’Europa orientale e François Mitterrand spinge perché anche nei paesi satelliti della Francia si passi dal monopartitismo al pluralismo politico.
Anche il Mali si deve adeguare, ma il passaggio dal dispotismo alla democrazia non sarà incruento.
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LE GIORNATE DI MARZO.
Mentre al Nord i Tuareg insorgono contro Bamako (primi mesi 1990) nella capitale scattano manifestazioni che contestano il regime.
Si arriva a cortei cui partecipano circa 30.000 persone che scandiscono slogan contro il Presidente: il 17 marzo 1991 le forze di sicurezza perdono la testa ed aprono il fuoco sui dimostranti. Per tre giorni a Bamako è il bagno di sangue. Bilancio: almeno 150 morti, per non parlare di quanti finiscono nelle prigioni.
Le proteste della società civile alla fine spingono l’esercito, comandato dal generale Amadou Toumani Touré (o General ATT, come viene chiamato), a voltar le spalle a Moussa Traoré che viene rovesciato con un colpo di Stato (26 marzo 1991).
Traoré è arrestato e circa 60 alti funzionari governativi giustiziati.
Touré (1948) istituisce un’amministrazione transitoria che rimane in carica fino alle elezioni presidenziali e legislative del 1992: il generale ATT si guadagna la stima dell’opinione pubblica quando annuncia che non correrà per la massima carica dello Stato.
Al suo posto sarà eletto alpha Oumar Konaré (1946).
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IL DECENNIO KONARE’ (1992-2002).
Il nuovo presidente è uno scienziato e scrittore, che dimostra nei difficili anni di governo capacità di dialogo e sincero desiderio d’instaurare una solida democrazia in un Paese che non l’ha mai conosciuta.
Nel ’92, insieme al suo partito, l’Alleanza per la Democrazia in Mali (Adema), conquista una larga maggioranza di seggi nell’Assemblea Nazionale. Pur essendo un leader capace e rispettato, è messo in difficoltà dai problemi strutturali del paese: fra l’altro, la svalutazione del 50% del Franco CFA fa aumentare i prezzi dei prodotti di prima necessità e fa deflagrare nuove proteste di massa contro la carenza di cibo ed il carovita.
Si verifica anche un tentativo non riuscito di golpe. Nel ’97, poi, in occasione delle nuove elezioni, diverse forze d’opposizione decidono di boicottare il voto denunciando irregolarità.
Konaré però cerca d’intavolare un dialogo coi suoi critici e vara un governo d’unità nazionale.
Nel 2002, forse a malincuore, decide di non presentarsi candidato per un terzo mandato, dal momento che la Costituzione, cui lui stesso ha dato un rilevante contributo, prevede l’immediata non rieleggibilità per un Presidente che abbia esercitato due mandati consecutivi.
Risulta eletto Amadou Toumani Touré, l’eroe del 1991.
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I DIECI ANNI DI ATT (2002-2012).
Assume così la Presidenza l’ex generale Amadou Toumani Touré (ATT), che forma un nuovo esecutivo d’unità nazionale che regge fin al 2004.
Come il suo predecessore, deve far fronte all’emergenza alimentare: le perduranti siccità e la corruzione fanno mancare il cibo sui mercati provocando anche l’aumento dei prezzi.
Inoltre, oltre all’endemica guerriglia dei tuareg, il territorio comincia ad esser interessato dalle incursioni delle milizie islamiche. Tuttavia Nell’aprile ’07 ATT è rieletto a larga maggioranza.
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IL GOLPE DEL MARZO 2012.
La crisi generale si aggrava nel marzo 2012: il 21 marzo di quell’anno, poco prima che terminasse il secondo quinquennato di Amadou Toumani Touré, un gruppo di militari lo depone: motivo del putsch, non esser in grado di soffocare l’insurrezione organizzata nel gennaio precedente dai Tuareg.
Allora, come il 18 Agosto 2020, la sollevazione militare parte dalla base di Kati e porta alla formazione di un Comitato Nazionale per il Ripristino della Democrazia e dello Stato (CNRDR), mentre i lealisti fedeli a Touré – sulle cui sorti sono circolate poche e contraddittorie notizie – iniziano a mobilitarsi per organizzare un controgolpe. Il 10 aprile, dopo una complessa trattativa tra la giunta militare e la CEDEAO, la Corte costituzionale designa come Presidente provvisorio della Repubblica Dioncounda Traoré che fin a quel momento guidava l’assemblea Nazionale.
Pochi giorni dopo, i militari e i rappresentanti dei partiti politici nominano capo del governo transitorio Cheick Modibo Diarra, che tuttavia a dicembre, dopo esser stato arrestato dai golpisti, rassegna le dimissioni.
Nel gennaio ’13, per affrontare la complessa situazione militare nelle province settentrionali, il Capo provvisorio dello Stato Traoré chiede ed ottiene aiuto aereo dalla Francia, in accordo con la CEDEAO.
Ciò permette alle forze governative di guadagnare terreno riconquistando il controllo di territori ormai sfuggiti a Bamako.
Le consultazioni presidenziali tenutesi nell’agosto dello stesso anno, vedono il successo di Ibrahim Boubacar Keita (1945), eletto al secondo turno col 77,61% dei voti contro il 22,39% dello sfidante Soumaïla Cissé, rapito nel marzo scorso e mai più riapparso in pubblico.
Moussa Mara, nell’aprile ’14, diventa presidente del consiglio e questa nomina sembra contribuire a consolidare il progetto d’una pacificazione generale del Paese. Bamako è affiancata in questo sforzo, a partire dall’agosto 2014 dalla missione militare antiterrorismo a guida francese Barkhane, che ha l’obiettivo di contrastare le milizie jihadiste che operano indisturbate nella fascia Sahel-sahara, contando sulla debolezza degli Stati e sulla porosità delle frontiere.
Nel febbraio 2015 è stipulato ad Algeri un armistizio con la guerriglia Tuareg che prevede una tregua immediata delle ostilità, la liberazione dei prigionieri e la partecipazione a un comitato per la sicurezza e la protezione dei civili.
Rimane irrisolta la questione della presenza degli integralisti islamici che compiono attentati contro la popolazione civile e la presenza straniera nel Paese, come l’attentato del ’15 contro l’hotel Radisson Blu di Bamako. Ibrahim Boubacar Keita, per dividere il fronte jihadista, consapevole che le guerre non si vincono solo con le armi, aveva avviato un dialogo con gli emiri di Al Qaeda nel Maghreb islamico, islamisti meno radicalizzati e feroci di quelli dell’Isis. «L’apertura dell’ex presidente – dichiara a Repubblica l’islamologo statunitense Alexander Thurston – è coincisa con una controffensiva di Al Qaeda, in particolare nell’Africa occidentale e in particolare in Mali.
Una controffensiva non solo militare, ma soprattutto politica»
Di fatto, l’iniziativa di Keita ha spaccato in due il fronte jihadista, perché l’aviazione di Parigi s’è concentrata sui battaglioni dello Stato islamico, il quale ha accusato di tradimento i confratelli qaedisti. Questa decisione di accettare negoziati diretti con lo Stato del Mali ha così segnato un importante punto di svolta», conclude Thurston. .
Per fronteggiare la situazione si è costituito il G5 Sahel di cui fanno parte anche Burkina Faso, Ciad, Mauritania e Niger: la coalizione, nata il 16 febbraio 2014, ha l’obiettivo di sostenere gli sforzi degli Stati della regione colpiti dalla presenza di milizie islamiche come AQIM, MUJWA, Al-Mourabitoun, Boko Haram le cui aggressioni colpiscono ormai le popolazioni in un’area che va dal Lago Ciad alla costa atlantica dell’Africa.
Si tratta d’una situazione che preoccupa tutte le autorità della regione per ché tende ad estendere la propria influenza e si fa forte della debolezza dei regimi al potere. E’ anche per questo che tutti gli Stati dell’Africa occidentale hanno condannato il colpo di stato del 18 Agosto perché temono un possibile effetto domino, considerato anche che presto vi saranno cruciali elezioni in Costa d’Avorio, Burkina Faso, Niger, Guinea, Nigeria e Benin dove la tensione va rapidamente aumentando.
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IL MALI.
La Repubblica del Mali è situata nell’Africa occidentale, nella regione del Sahel: senza sbocco al mare, occupa una superficie di 1,25 kmq. ed è abitata da 18,5 milioni di persone.
Oltre al francese, eredità coloniale, si parlano Bambara, Berbero, Arabo ed altre lingue locali; le religioni maggiormente diffuse sono l’Islam e credi autoctoni.
Il Mali confina a nord con l’Algeria, ad est col Niger, a sud col Burkina Faso e la Costa d’Avorio, a sud-ovest con la Guinea e ad ovest col Senegal e la Mauritania.
Il suo territorio, per la maggior parte pianeggiante, è costituito al nord dal deserto, al sud dalla savana.
le regioni meridionali sono interessate dal corso del fiume Niger (1.800 km. in territorio maliano) e dal Senegal.
Il Niger, proveniente come il Senegal dal massiccio del Fouta Djalon in Guinea, entra in territorio maliano con un percorso orientato da sud-ovest a nord-est, formando un’ampia ansa paludosa prima di mutare direzione verso sud-est. Si possono distinguere tre tratti caratterizzati da un diverso regime delle piene: uno a monte fino a Ségou, il grande delta interno nelle regioni di Macina e Mopti e il tratto a valle del delta.
La vasta area, irrigata dal delta interno, rappresenta una felice eccezione nell’inaridita realtà saheliana e consente un notevole sfruttamento agricolo e pastorale.
Sul piano istituzionale il Paese è una repubblica semipresidenziale: il Capo dello Stato è eletto a suffragio universale ogni cinque anni, mediante un sistema di voto a doppio turno simile a quello in vigore in Francia.
Parallelamente, un’Assemblea Nazionale composta di 147 membri, scelti in collegi uninominali con due turni di votazione, come avviene a Parigi, svolge il potere legislativo e controlla il Governo.
I maliani della diaspora hanno diritto a designare 13 deputati in più.
Il Presidente della Repubblica nomina un Primo Ministro che è incaricato di formare il Consiglio dei Ministri.
Il territorio è suddiviso in otto regioni più il distretto della capitale, 49 circondari e 703 comuni.
Le forze armate si suddividono in forze terrestri ed aeree, nonché i paramilitari della Gendarmeria e della Guardia Repubblicana, che sono tutti sotto il controllo del Ministero per la Difesa ed i Veterani guidato da un civile.
I militari sono sottopagati, male equipaggiati ed incontrano notevoli difficoltà nei frequenti scontri con le diverse guerriglie tuttora attive nelle aree di confine.
L’economia si fonda principalmente sull’agricoltura, sia di sussistenza che d’esportazione, e sulla pastorizia.
I cereali asciutti (miglio, sorgo e mais) rappresentano il 56% della produzione: essi garantiscono l’alimentazione della popolazione, mentre per l’esportazione si producono cotone, arachidi, riso, ortaggi, patate, canna da zucchero e tè.
L’allevamento è diffuso in tutto il paese, ma il grosso del bestiame si trova nella zona saheliana.
L’industria garantisce il 26% delle entrate, ma presenta ancora segni di arretratezza ed è molto legata al settore primario. Le fabbriche sono concentrate quasi esclusivamente nelle vicinanze della capitale, Bamako, e comprendono i settori della chimica, del tessile, dei diamanti e del cemento, oltre all’agroalimentare.
Dal sottosuolo si ricavano fosfati, oro, uranio, ferro, bauxite, manganese e sale: sono presenti anche giacimenti di diamanti.
Il turismo è attratto dalla presenza di numerose vestigia del passato, dai parchi naturali e fluviali, dall’accentuato sviluppo delle arti figurative e da una ricca tradizione musicale e letteraria.
Purtroppo i conflitti e le tensioni di questi anni hanno pregiudicato il progresso di questo settore che potrebbe dare molto reddito ad un Paese notevolmente impoverito.
Il panorama dei media è – secondo Freedom House – relativamente libero, tuttavia la presenza di milizie nel Nord mette a rischio il lavoro dei giornalisti.
Reporters senza Frontiere (RSF) evidenzia che la mancanza di denaro potrebbe determinare la chiusura di diverse fonti d’informazione.
La Radio è il mezzo di comunicazione più diffuso: ci sono centinaia di stazioni attive, anche emittenti comunitarie. A Bamako è possibile ascoltare i programmi della BBC e di RFI sulla modulazione di frequenza.
la TV è meno diffusa.
Tutti i quotidiani ed i periodici si pubblicano nella capitale, ma il numero dei lettori è molto basso.
Secondo InternetWorldStats.com a metà 2019 12.5 milioni di maliani (il 63%della popolazione) sono connessi ad Internet: le reti sociali più diffuse, frequentate in prevalenza da giovani urbanizzati, sono Facebook ed Instagram.
Le autorità talvolta hanno bloccato l’accesso ai nuovi media nel tentativo di soffocare manifestazioni di protesta della società civile.
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CONCLUSIONI.
L’agenda politica della nuova giunta militare salita al potere il 18 agosto scorso è molto piena di questioni da risolvere rapidamente:
– le guerriglie che interessano diverse regioni del Mali col loro corollario di eccidi della popolazione civile.
La Minusma, la forza delle Nazioni Unite dislocata nel paese per stabilizzarlo, ha denunciato almeno 650 violazioni dei diritti umani tra febbraio e giugno.
Amnesty Internazional in un rapporto pubblicato il 10 giugno denuncia esecuzioni di massa e fosse comuni nelle aree desertiche del Nord.
– La pressione degli imam radicali, che hanno guidato il movimento di protesta contro IBK, che non di rado predicano contro presunti progetti di liberalizzazione dell’omosessualità e proibizione delle mutilazioni genitali femminili, tutte misure che per essi, allontanano il Paese dal vero Islam.
– L’urgente richiesta dei partner per il ritorno dei militari nelle caserme e l’instaurazione d’un governo civile.
Si vedrà se i nuovi responsabili di uno dei Paesi più economicamente poveri dell’Africa riusciranno a far fronte alle numerose emergenze o se ricadranno, come qualcuno teme, nel vecchio vezzo delle forze armate che salgono al potere, promettendo che lo terranno per un periodo transitorio per poi innamorarsi dei privilegi ad esso connessi e rinviare a lungo la data per il ristabilimento d’un governo eletto dalla volontà popolare.
Gli europei ed in particolare gli italiani dovrebbero osservare da vicino quanto accade nel sahel perché di recente abbiamo inviato un corpo di spedizione in Niger per controllare i traffici di esseri umani che turbano i sonni di molti uomini politici ed anche dell’opinione pubblica.
PIER LUIGI GIACOMONI