MACEDONIA. BUONA LA TERZA
(14 Dicembre 2016).
SKOPJE. I cittadini della Repubblica di Macedonia sono stati chiamati domenica 11 dicembre per la terza volta in
meno d’un anno alle urne per le elezioni legislative.
Su iniziativa della Commissione elettorale centrale, che tra l’altro ha reso noto che le liste dei candidati non
presentavano irregolarità o nominativi di persone non ammissibili perché interdette dai pubblici uffici, il 21
novembre scorso i leader dei partiti che avevano intenzione di partecipare alle elezioni hanno firmato un codice
per un processo elettorale giusto e democratico.
Ciò ha dato il via alle procedure per lo svolgimento della consultazione popolare.
Dopo mesi di proteste, complicati negoziati tra le forze politiche e le componenti etniche e due consultazioni
annullate nel 2016, questa è stata la volta buona.
Lo scrutinio, riferiscono i media locali, si è svolto nella calma e nell’ordine.
Ora si spera che la nuova Assemblea Nazionale sia in grado di porre fine alla crisi politica ed istituzionale in
atto dall’inizio 2015.
Un risultato però difficile da ottenere solo attraverso il processo elettorale, perché a risanare il clima politico
e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni dovrebbe pensarci la giustizia, e in modo particolare l’Ufficio della
procura speciale (UPS), creato per fare chiarezza sullo scandalo delle intercettazioni che ha dato vita all’attuale
prolungata crisi. Perché il lavoro della procura possa essere portato a termine, è certamente di grande importanza
sapere chi costituirà il nuovo governo a urne chiuse.
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Le origini della crisi. In Macedonia assistiamo a quello che potremmo definire un vero e proprio “sequestro dello
Stato”, compiuto da un governo che mostra atteggiamenti autoritari, guidato da élites insicure che schiacciano le
opposizioni ed interessi privati che influenzano il processo decisionale delle istituzioni, attraverso meccanismi
che spesso superano i confini della legalità.
Dopo dieci anni al potere, dal 2006 al 2016, la VMRO-DPMNE (Organizzazione Rivoluzionaria interna macedone-Partito
Democratico per l’Unità Nazionale Macedone) si è assicurata il controllo su ogni segmento delle istituzioni.
Nel frattempo l’opposizione, appesantita dagli scandali che l’hanno coinvolta quand’era al potere e dall’insuccesso
nel superare le dispute coi vicini, in particolare la Grecia, che hanno bloccato l’integrazione euro-atlantica di
Skopje, ha creato il terreno fertile perché Nikola Gruevski e i suoi alleati piantassero i semi del clientelismo
che caratterizza la scena politica attuale.
Le contraddizioni sono esplose ad inizio 2015 quando Zoran Zaev, leader dell’opposizione socialdemocratica, ha reso
pubbliche una serie di intercettazioni registrate: secondo Zaev i materiali, ottenuti attraverso canali mai
rivelati, dimostrano una serie di gravissimi crimini commessi dal governo, tra cui l’intercettazione illegale di
20.000 cittadini per almeno quattro anni.
Mesi di proteste e negoziati sono sfociati nei cosiddetti “accordi di Przhino, che prevedevano nuove elezioni
anticipate, dopo la creazione delle condizioni minime per una competizione elettorale democratica e corretta, che
ponesse fine alla crisi.
Nonostante gli sforzi fatti, però, la campagna elettorale appena conclusa non ha mostrato significative differenze
rispetto a quelle che l’hanno preceduta: oggi, come allora, al centro della sfida restano i tentativi di
demonizzare l’avversario.
In più, anche l’UPS e la sua titolare Katica Janeva sono finiti nella polemica.
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La procura speciale. Costituita l’anno scorso, dopo lo scandalo intercettazioni illegali, la procura speciale ha
come suo unico obiettivo indagare le presunte malefatte del governo emerse dal contenuto delle comunicazioni
intercettate illegalmente.
Come comunicato dall’Ufficio stesso nella sua seconda relazione, sono in corso 38 indagini preliminari: 16 basate
su registrazioni audio diffuse pubblicamente e 22 su intercettazioni inedite e sconosciute al pubblico. Le indagini
riguardano intercettazioni illegali, finanziamento illecito dei mezzi di comunicazione, svariate violazioni della
procedura di appalto pubblico, evasione fiscale, riciclaggio di denaro, vari casi di corruzione e abuso d’ufficio e
autorizzazioni ufficiali, operazioni finanziarie, illegalità nelle procedure relative a lavori di costruzione e
così via.
«Tuttavia, nonostante l’obbligo legale, l’UPS… ha incontrato alcune difficoltà dal punto di vista della
cooperazione inter-istituzionale, e molte istituzioni hanno mostrato mancanza di rispetto per le richieste
presentate sulla base di autorizzazioni e diritti previsti dalla legge», sottolinea la relazione.
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L’UPS e la campagna elettorale. La polemica elettorale tra le forze politiche in lizza non ha risparmiato, come
dicevamo, la procuratrice speciale Janeva.
Per i media filo-governativi e il partito al governo è divenuto abituale diffamare l’UPS ed in particolare il suo
procuratore capo.
In un comunicato, VMRO-DPMNE ha accusato Janeva di aver cospirato con il leader del partito d’opposizione SDSM,
Zoran Zaev ed aver avviato una campagna politica. «Sarebbe stato più corretto nei confronti dei cittadini se Janeva
si fosse candidata ufficialmente nelle liste del SDSM, invece di abusare la propria posizione ufficiale», si legge.
In un altro attacco, il quotidiano filogovernativo Vecer ha pubblicato una presunta copia della quota di adesione
versata all’SDSM, sostenendo che Janeva fosse già membro dell’opposizione prima di essere eletta Procuratore
speciale. La Procura, in un comunicato apparso sul proprio sito web, ha respinto le accuse sostenendo che il
documento pubblicato dal quotidiano non è originale.
In una serie di azioni che Balkan Insight ha definito un'”azione coordinata”, la Procura ordinaria e la Corte
penale di Skopje hanno messo sotto attacco Janeva e il suo team, con calunnie dai toni e tempistiche analoghe alle
aggressioni della maggioranza. In entrambi i casi, lunghe lettere anonime accusavano Janeva di disinformazione e
grave mancanza di professionalità che starebbe danneggiando la categoria dei procuratori.
Una delle poche organizzazioni che si sono espresse a sostegno dell’UPS è stata lo Helsinki Committee for Human
Rights della Macedonia, che attraverso un comunicato scritto ha condannato i continui attacchi provenienti da
diversi rami delle istituzioni statali, sottolineando che “se la Procura ordinaria fosse stata professionale,
rispettando l’ordinamento e creando un clima di rispetto per la legge, non ci sarebbe stato alcun bisogno di
formare l’UPS”. Il riferimento è alla relazione 2015 dell’UE, che sottolineava la regressione del sistema
giudiziario del paese. Si chiede inoltre pieno sostegno al procuratore speciale da parte delle istituzioni.
«I risultati delle riforme dell’ultimo decennio sono compromessi dalle reali e potenziali interferenze politiche
nel lavoro della magistratura. Le questioni in sospeso già individuate nelle precedenti relazioni devono ancora
essere affrontate. È urgente porre rimedio a queste interferenze per evitare ulteriori ricadute. Le strutture
legislative e istituzionali già in essere vanno messe a frutto, in buona fede e nello spirito previsto», afferma il
rapporto.
Ad accendere di più gli animi nell’imminenza della consultazione elettorale, è giunta notizia che l’UPS ha
aperto un nuovo fascicolo, denominato in codice “Target”.
Dieci agenti ed ex agenti dei servizi segreti sono finiti sotto inchiesta con l’accusa di aver partecipato alle
intercettazioni illegali di quasi seimila cittadini tra il 2008 e il 2015.
Fatime Fetai, vicecapo dell’ufficio, ha dichiarato che gli agenti sono indagati per aver effettuato intercettazioni
telefoniche senza autorizzazione del tribunale, violando in tal modo “i diritti e le libertà fondamentali dei
cittadini”. L’indagine si basa su dati ottenuti dall’UPS da uno dei tre operatori telefonici i cui utenti sono
stati intercettati.
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La campagna elettorale. Gli altri temi della campagna d’avvicinamento al voto sono stati simili a quelli utilizzati
nelle occasioni precedenti.
L’opposizione insiste sui crimini emersi dalle intercettazioni, il governo concentra il fuoco contro Zaev: il tutto
condito con l’aggiunta di tensioni etno-nazionali create a stretto uso elettorale.
Scarsa attenzione ai temi sociali ed alla crisi economica.
Come già accaduto in passato, i partiti di governo giocano la carta dell’antipolitica e aizzano lo scontro nella
società macedone su linee etniche, nel tentativo di salvaguardare lo status quo e il proprio potere: una strategia
che fino ad oggi ha dato regolarmente i suoi frutti.
Così, ancora una volta, i temi principali della campagna tornano ad essere nazionali ed identitari, lasciando da
parte i temi più spinosi per l’esecutivo uscente come la disastrosa situazione economica e la condizione di vita
delle classi sociali meno abbienti.
La VMRO-DPMNE imputa ai socialdemocratici l’accusa di minare l’unità dello stato perché progettano una riforma
federale della Macedonia, facendo dell’albanese la lingua ufficiale sull’intero territorio nazionale.
In ogni comizio Gruevski ha chiesto quindi agli elettori una nuova maggioranza in parlamento, per poter sventare il
pericolo e salvare la Macedonia “dai nemici dello stato”.
Da parte sua, il Partito socialdemocratico (SDSM) controbatte ricordando i presunti crimini emersi dalle
intercettazioni portate alla luce dal proprio leader. L’SDSM ha puntato a superare le divisioni etniche, che ancora
caratterizzano i partiti macedoni, proponendo liste di candidati di diversa origine (macedoni, albanesi, bulgari,
turchi…).
In questa cornice, durante un incontro con la diaspora albanese-macedone a Berna, in Svizzera, Zaev ha sostenuto la
necessità di superare gli accordi di Ohrid [1]. Un’affermazione poi ripresa dai partiti governativi per attaccarlo
frontalmente.
La retorica nazionalista è tornata in auge anche tra i partiti della comunità albanese, che dibattono di
ridefinizione dello stato, creazione di unità federali, annullamento degli accordi di Ohrid, spesso con toni di
auto-vittimizzazione.
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I risultati definitivi. Secondo quanto ha comunicato la commissione elettorale,
la coalizione VMRO-DPMNE ha ottenuto il 38,1% dei voti, pari a 51 dei 120 seggi dell’assemblea di skopje, mentre
l’Unione socialdemocratica (SDSM) ha raccolto il 36,7%, ossia 49 seggi.
Entrano in Parlamento anche:
• l’Unione Democratica per l’Integrazione col 7,3% (10 seggi);
• il Movimento BESA col 4.9 (5 seggi).
La partecipazione al voto è stata pari al 66,9%: ben al di sopra degli standard abituali in Macedonia.
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Gli scenari del dopo voto. Dal momento che la VMRO-DPMNE ha vinto con un margine ristretto di voti, non si può del
tutto escludere la riedizione della coalizione tra il cartello capeggiato da Nikola Gruevski e l’Unione Democratica
per l’Integrazione, sostenuta soprattutto dalla minoranza linguistica albanese, che conterebbe nella nuova camera
su 61 seggi.
Se questo avvenisse l’UPS e le inchieste sui numerosi casi di corruzione e di violazione delle regole sulla
segretezza delle telefonate avrebbero probabilmente i giorni contati.
Se invece i socialdemocratici riuscissero a creare una coalizione anti Gruevski è possibile che la procuratrice
Janeva possa condurre in porto un lavoro di pulizia di cui il Paese ha sicuramente bisogno.
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La Macedonia. Membro della federazione Iugoslava fino al 1991, divenne uno stato indipendente dopo la sua
disintegrazione.
Governata a lungo da Kiro Gligorov, dirigente di lungo corso della Lega dei comunisti iugoslavi, che tra l’altro
sfuggì ad un attentato che avrebbe potuto ucciderlo, la Macedonia è stata fonte di tensione nell’area.
Prima di tutto la Grecia non ne riconobbe per anni l’esistenza, sostenendo che massima ambizione dei governanti di
Skopje era quella d’assorbire la regione omonima greca che ha come capoluogo Salonicco.
Per anni, a livello internazionale la Macedonia era identificata come FYROM (Former Yugoslav Republic of
Macedonia).
Appianati in parte i contrasti con Atene, il piccolo Stato balcanico ha dovuto far i conti con la difficile
convivenza tra le diverse etnie. Nel Paese convivono Macedoni (65%), albanesi (18%), bulgari, turchi, Serbi, Rom.
Il conflitto politico è aspro soprattutto tra la maggioranza macedone e la minoranza albanese, che teme d’esser
sempre discriminata.
PIER LUIGI GIACOMONI
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[1] Accordi di Orhid: gli accordi di Ohrid sono un trattato di pace firmato dal governo di Skopje ed il movimento
secessionista albanese che intendeva staccare una parte della Macedonia ed unirla al Kosovo.
In base a questi accordi, entrati effettivamente in vigore nel gennaio 2002, il governo macedone s’impegnò a
garantire maggiori diritti per l’etnia albanese.
Questi diritti includevano:
• il riconoscimento dell’albanese come lingua co-ufficiale dello Stato;
• incremento della presenza degli albanesi nelle istituzioni governative, nella polizia e nell’esercito.
• avvio d’un processo di decentramento del potere
Gli albanesi di Macedonia s’impegnarono a lasciar perdere tutte le rivendicazioni secessioniste e riconobbero le
autorità di Skopje.
Inoltre, secondo questi accordi l’NLA (l’esercito di liberazione degli albanesi di Macedonia che aveva provocato un
conflitto interno al Paese) sarebbe stato disarmato e le armi consegnate alle forze
NATO.
L’operazione “Essential Harvest”, venne lanciata ufficialmente il 22 agosto 2001 e cominciò effettivamente il 27
agosto successivo. Questa missione, della durata di 30 giorni, impiegava 3.500 uomini, tra soldati NATO e truppe
macedoni, per disarmare l’NLA e distruggerne le armi.
Poche ore dopo che la NATO aveva concluso l’operazione, Ali Ahmeti annunciò ai giornalisti nella piazzaforte
ribelle di Sipkovica che l’Esercito di Liberazione Nazionale era stato ormai sciolto e
che era tempo di una riconciliazione etnica.
Alcuni mesi dopo il conflitto, persistevano ancora alcune provocazioni armate. Piccoli bombardamenti ed omicidi
continuavano ad accadere. La provocazione più seria avvenne quando tre ufficiali della polizia macedone vennero
uccisi in un’imboscata da uomini armati albanesi il 12 novembre 2001.
Il conflitto interno alla Macedonia, una conseguenza della guerra del Kosovo del 1998-99, durò grosso modo per
tutto il 2001 e terminò legalmente nel gennaio 2002.