L’UNGHERIA CONTRO SOROS
(12 Gennaio 2017)
BUDAPEST. Fidesz, il partito di centro-destra al potere in Ungheria dal 2010, è accusato di indebolire le norme di
base che regolano la democrazia nel Paese e di riprodurre modelli totalitari del passato pur di mantenere a lungo
il potere.
La fonte dell’imputazione è la Fondazione per una società aperta (OSF) costituita e presieduta da George soros, 86
anni, famoso sia per esser un businessman di successo, sia per le sue iniziative filantropiche.
Presente in un centinaio di Stati, fin dalla metà degli anni Ottanta, l’OSF ha sostenuto con cospicui finanziamenti
movimenti per l’affermazione dei diritti umani in parecchi Paesi dell’Europa Orientale e dei Balcani, quando ancora
erano al potere regimi totalitari.
Quand’erano all’opposizione, anche eminenti personalità di Fidesz, tra cui lo stesso Orbán, furono adeguatamente
sostenute con cospicui fondi.
D’altra parte Soros, d’origini ungheresi, non ha mai fatto mistero di voler impiegare una parte delle proprie
ricchezze per contribuire alla democratizzazione dell’Est Europa.
Oggi, però, i media vicini al partito di Orbán, accusano l’OSF di rappresentare gente non eletta da nessuno,
d’esser un’élite liberale il cui tempo è finito.
L’organizzazione fondata da Soros è ritenuta l’ispiratrice delle proteste antigovernative in Polonia, contro la
corruzione in Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca e la stessa Ungheria.
Inoltre, si sostiene, mira ad indebolire l’autorità dei governi eletti in questi Paesi di recente
democratizzazione.
Per parte loro, tuttavia, le ONG così duramente attaccate replicano:
«Prima hanno indebolito istituzioni di controllo democratico, come la Corte costituzionale ed il difensore civico,
poi hanno decimato la stampa ed ora stanno dichiarando guerra a tutte le ONG che sono in grado di indagare e render
pubbliche le malefatte del potere», dichiara, ad esempio, András Kadar, copresidente del Comitato Helsinki
ungherese, una delle organizzazioni bersaglio degli attacchi di fidesz.
Oltre all’OSF e dall’appena citato Comitato Helsinki, nell’occhio del ciclone son finite Transparency
International, che annualmente pubblica una classifica internazionale sul livello di corruzione percepita, e
l’Unione Ungherese per le Libertà Civili.
L’elezione negli Stati Uniti d’america di Donald Trump ha creato, secondo il capogruppo di Fidesz al parlamento
ungherese Szilard Nemeth «Straordinarie opportunità per far fuori tutte quelle organizzazioni internazionali che
creano guai» ed Orbán ha aggiunto: «Questo sarà l’anno nel quale certe ONG saranno espulse da tutta l’europa.
Scopriremo da dove provengono i soldi, a quali servizi segreti esse son connesse e quali interessi servono certe
ONG: tutto sarà scoperto!»
Questa “campagna di primavera” di Orbán è finalizzata all’approvazione d’un emendamento ad una legge del 2011 che
richiede al leader d’un’ONG di dichiarare i suoi assets: questa norma è stata scritta sulla falsariga di analoghe
leggi emanate di recente in Russia ed Israele che restringono gli spazi di libertà della società civile.
L’anno scorso l’OSF fu bandita dalla Federazione russa dopo tre processi che presero il via da indagini
finanziarie: fu accusata d’agire nel Paese come un “agente esterno” che minacciava la stabilità dello Stato.
«Questo impero, la pseudocivile organizzazione di Soros – hanno scritto i giudici russi – è finanziata per
sostenere il grande business globale e stravolgere l’assetto istituzionale degli Stati, pertanto queste
organizzazioni multinazionali debbono esser bandite per sempre.»
Parole queste che mirano a solleticare il nazionalismo montante dell’opinione pubblica di parecchi Paesi che ormai
vede con sospetto la globalizzazione ed i suoi effetti ed è disposta a rinunciare a fette consistenti di libertà
pur d’avere maggiori sicurezze, soprattutto nel campo socioeconomico.
E’ su questo sentimento di gente sempre più spaventata che fanno leva i molti uomini forti operanti in questo
periodo nell’Europa Orientale, nei Balcani e nel Medio Oriente.
PIER LUIGI GIACOMONI