L’UE APRE UN CONSOLATO IN GROENLANDIA
(21 Ottobre 2021)
NUUK. L’UE apre un proprio consolato a Nuuk, capitale della Groenlandia: finora, in base al regime di semiautonomia riconosciuto all’isola da Copenhagen, il governo locale aveva un proprio ufficio di rappresentanza a Bruxelles, ma l’UE non aveva ritenuto di far altrettanto.
Nel frattempo, però, le terre nordiche, per effetto dei cambiamenti climatici, son entrate nel mirino delle grandi e medie potenze, sia per la notevole disponibilità di materie ancor non sfruttate, sia per la loro importanza strategica.
Proprio per questo, Donald J. Trump due anni fa chiese ai danesi di vendergli l’isola: Copenhagen respinse l’offerta con sdegno.
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IMPORTANZA STRATEGICA.
Oltre alle materie prime, la Groenlandia si trova su una rotta che potrebbe facilitare i trasporti navali ed aerei tra Pacifico ed Atlantico.
Lo scioglimento dei ghiacci, infatti, sta rendendo sempre più navigabile la rotta polare che unisce l’Est e l’Ovest del mondo: la Russia e la Cina saranno sempre più vicine a Stati Uniti ed Europa.
Una situazione che apre uno scenario del tutto inedito dal punto di vista commerciale e da quello militare: se la progressione del cambiamento climatico non si arresterà, ad esempio, quella rotta si rivelerà più comoda rispetto al canale di Panamá, riducendo il percorso dal Pacifico all’Atlantico di almeno un terzo di tempo, consentendo un’ovvia diminuzione dei costi di trasporto.
L’arrivo in Alaska e nel Mare del Nord, e quindi in Europa, sarà dunque accelerato, per questo la Cina ha stretto con la Russia un accordo proprio su questo punto: il gigante eurasiatico è il Paese con la più lunga costa artica che va dalla frontiera con la Norvegia alla Kamchatka.
Mosca è perciò altamente interessata a metter le mani sulle ricchezze del Polo artico, mentre Pechino vuol che i propri trasporti navali siano tranquilli.
La Cina si considera un paese semiartico, perciò nel 2018 ha pubblicato un documento intitolato «Artic Strategy”» con cui definisce la propria strategia nell’Artide.
Tutto questo, ovviamente, crea le condizioni per l’apertura d’un nuovo fronte di confronto tra Occidente e Cina, anche sul piano militare: la Nato di ciò è perfettamente consapevole.
Gli Stati Uniti, che di recente han aperto la loro prima base militare in Groenlandia, e il Patto atlantico han confermato in diversi dossier la necessità di rafforzare la presenza nella cosiddetta area GIUK (Groenlandia, Islanda, Gran Bretagna) proprio per tener sotto controllo uno spazio che sta diventando vitale.
Lo stretto di Bering e la Rms, la rotta marittima settentrionale, sono ormai una decisiva prospettiva geostrategica: per questo Washington ha già aperto un consolato a Nuuk ed ora arriva l’UE che non considera più la Groenlandia un territorio d’oltremare di cui disinteressarsi.
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LA GROENLANDIA.
GEOGRAFIA.
La Groenlandia è l’isola più estesa del pianeta: la sua superficie totale è di 2.166.086 km²: si trova nell’america settentrionale a nord del Canada nel Mar Glaciale Artico.
E’ popolata da 55.992 abitanti (2019), d’etnia groenlandese.
Le Nazioni più vicine sono il Canada a sudovest e l’Isdlanda a sudest: data l’ampiezza, il territorio è suddiviso in 5 fusi orari (da UTC0 a UTC-4).
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STORIA.
Conquistata dai Vichinghi intorno al Mille, entrò successivamente nell’orbita del regno di Danimarca che controllava Norvegia e Islanda: nel 1814 la Norvegia passò sotto controllo svedese, mentre le altre terre rimasero amministrate da Copenaghen.
Nel 1979, la Danimarca concesse ai groenlandesi una larga autonomia e nell’85 l’elettorato decise mediante un referendum d’uscire dalla CEE: nel 2008, dopo un altro referendum, lo spazio d’autonomia fu ampliato, lasciando a Copenaghen la gestione della politica estera, della difesa e della moneta, la Corona danese.
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LE ISTITUZIONI.
Ogni quattro anni, i cittadini groenlandesi eleggono un parlamento, L’Inatsisartut, di 31 membri col sistema proporzionale: inoltre, inviano due deputati al legislativo danese, il Folketing, ogni volta che nel regno sono indette le elezioni gelerali.
Per oltre 40 anni, la scena politica è stata dominata da Siumut (avanti), d’orientamento socialdemocratico, ma le ultime elezioni legislative (6 aprile 2021) hanno segnato un profondo cambiamento politico.
Il voto è stato in pratica un referendum sulla realizzazione d’un «progetto di estrazione dell’uranio e delle terre rare (minerali ed elementi chimici usati in settori strategici) nel sud del paese.», come riferisce Mediapart.
Tutta la campagna elettorale è stata incentrata sull’avvio dello sfruttamento d’una miniera nella zona di Kuannersuit (Kvanefjeld in danese) gestita dall’azienda australiana Greenland minerals, controllata all’11 per cento da un conglomerato statale cinese, Shenghe resources.
Inuit Ataqatigiit (Comunità del popolo), principale partito di sinistra, si era opposto nella passata legislatura alla realizzazione del progetto sostenendo che era altamente inquinante e che avrebbe devastato per sempre l’ambiente della regione meridionale del paese.
Pur volendo in prospettiva tagliare i legami, del resto esigui, con la danimarca, IA ha ritenuto che il prezzo da pagare per l’isola dei ghiacci fosse troppo alto.
gli elettori gli han creduto, attribuendogli la maggioranza relativa: 37,4% dei voti e 12 seggi nella camera di Nuuk.
Siumut, col 30,1% e 10 seggi segue al secondo posto: sarà il principale partito d’opposizione.
Completano il quadro Naleraq che ha ottenuto il 12,3% (4), i Democratici col 9,3% (3) e Atassut 7,1% (2).
La partecipazione è stata pari al 65,8% dell’elettorato.
Il 16 aprile IA e Naleraq han deciso di formare una compagine ministeriale diretta da Múte B. Egede che avrà il compito di trovare una strada allo sviluppo della Groenlandia che non comprenda quei maxi progetti estrattivi che alla popolazione decisamente non piacciono.
L’isola artica però ha altri problemi che meritano attenzione: tra la popolazione si manifestano grandi difficoltà sociali, come un alto numero di suicidi, diffusa violenza e mancanza d’alloggi, accentuata dall’aumento dell’urbanizzazione.
Inoltre, «serve – narra Mediapart – una migliore formazione tecnica della popolazione, e anche se da decenni l’istruzione primaria e secondaria sono al centro delle politiche dell’isola, l’università di Nuuk ha poche risorse e tanti giovani preferiscono formarsi all’estero o in Danimarca, ed è difficile richiamarli in Groenlandia se non ci sono posti di lavoro che a loro volta non possono svilupparsi senza una manodopera locale qualificata.»
di conseguenza, i fondi che annualmente Copenaghen versa nelle casse groenlandesi, 600 milioni di dollari, pari al 40% del bilancio nazionale, sono tuttora vitali per sostenere un’economia che diversamente non sarebbe in grado di reggersi in piedi da sola, se non ricorrendo alle royalties delle imprese estrattive.
Così, la prospettiva d’una Groenlandia indipendente si allontana, mentre forse è più vicina la realizzazione d’un modello economico che salvaguardi le risorse del Paese, senza del tutto rinunciare all’estrazione di materie prime con procedimenti a basso impatto ambientale.
PIER LUIGI GIACOMONI