LIBERIA. WEAH NON E’ PIU’ PRESIDENTE
(24 Novembre 2023)
MONROVIA. George Weah, già eroe del calcio, non è più presidente della Liberia: dopo sei anni di governo la maggioranza degli elettori gli ha preferito, seppur di stretta misura,Joseph Boakai, vice presidente ai tempi di Ellen Sirleaf Johnson.
Ci sono voluti due turni per decidere il vincitore: al primo, infatti, tenutosi il 10 ottobre, non aveva prevalso nessuno: Weah aveva raccolto il 43,8% mentre a Boakai era andato il 43,5%.
Il 14 Novembre, dunque, ballottaggio: già tre giorni dopo era chiaro che il trend era favorevole a Boakai: infatti Weah ha riconosciuto la sconfitta.
Boakai ha ottenuto il 50,64% contro il 49,36% di Weah.
Parallelamente alle elezioni presidenziali han avuto luogo le legislative:
Alla Camera dei Rappresentanti, 73 seggi, il CDC, partito di Weah, ha ottenuto 25 eletti, l’UP, formazione che appoggiava Boakai, 10, e 18 indipendenti.
Altri 20 mandati vanno a partiti minori.
Al Senato, dove si rinnovavano 14 eletti su 30, il CDC vince 6 posti, così come gli indipendenti.
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STRAPOTERE DELL’OLIGARCHIA
La storia recente della Liberia è fatta di violenze inaudite, causate dai signori della guerra, dopo che per decenni una ristretta oligarchia aveva imposto il proprio dominio sulla stragrande maggioranza della popolazione.
«Nel 1821 – scrive Ryszard Kapuscinski[1]
– attraccò una nave che portava dall’America Robert Stockton, agente dell’American Colonization Society. Appoggiando una pistola alla tempia del capotribù locale, re Peter, Stockton lo costrinse a vendergli – in cambio di sei moschetti e una cassa di perline – la terra dove la società intendeva insediare schiavi neri liberati, provenienti dalle piantagioni di cotone della Virginia, della Georgia e del Maryland. Quella di Stockton era una società di tipo liberale e umanitario. I suoi membri ritenevano che il miglior risarcimento per la schiavitù subita fosse quello di rispedire gli ex schiavi nella terra d’origine dei loro antenati: l’Africa.
Da allora, ogni anno, le navi portarono dagli Usa contingenti di schiavi via via liberati che cominciarono a insediarsi nella regione dell’odierna Monrovia. Non era una comunità numerosa: quando, nel 1847, proclamarono la Repubblica della Liberia erano appena seimila. E’ probabile che non superassero le quindicimila persone: meno dell’uno per cento della popolazione del paese.
Le sorti e il comportamento di questi coloni (che si erano battezzati “Americo-Liberians”, americo-liberiani) sono appassionanti. Fino al giorno prima erano stati dei paria neri, schiavi nelle piantagioni degli stati meridionali d’America e privi di ogni diritto. La maggioranza non sapeva leggere né scrivere e non aveva un mestiere. I loro padri erano stati rapiti anni prima in Africa condotti in America in catene e venduti nei mercati di schiavi. Ed ecco che improvvisamente si ritrovavano nella terra dei loro avi, nel loro mondo, tra confratelli dalle stesse radici e dal medesimo colore di pelle, portati lì e abbandonati al loro destino per iniziativa di alcuni liberali bianchi. Come si sarebbero comportati, che cosa avrebbero fatto? Contrariamente alle aspettative dei loro benefattori, i nuovi venuti non baciarono la terra ritrovata né si buttarono tra le braccia degli africani del luogo.
L’esperienza di questi americo-liberiani li porta a conoscere un solo tipo di società: quella schiavista, vigente a quell’epoca negli stati americani del sud. Quindi, al loro arrivo, il primo passo sulla nuova terra consiste nel ricreare una società analoga, con la differenza che stavolta a farla da padroni saranno loro – gli schiavi di ieri – mentre gli abitanti trovati sul posto e conquistati saranno i loro schiavi.»
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LA RIVOLTA DEGLI OPPRESSI
Fin al 12 aprile 1980 gli americo-liberians esercitano un dominio assoluto sul paese: decidono al loro interno le cariche politiche, si spartiscono le ricchezze, mettono in carcere o a morte chi non la pensa come loro…
Quel giorno però avviene un fatto nuovo e tragico:
«un gruppo di soldati – narra ancora Kapuscinski – irruppe nella residenza presidenziale e fece a pezzi Tolbert nel suo letto. Lo sventrò delle interiora, gettandole nel cortile in pasto a cani e avvoltoi. I soldati erano diciassette, comandati dal ventottenne sergente Samuel K. Doe, un giovanotto capace a malapena di scrivere. Proveniva dalla piccola tribù dei khran, insediata nel cuore della giungla. Già da anni giovani come lui, scacciati dalla fame dai propri villaggi, affluivano a Monrovia alla ricerca di un’occupazione e di soldi. In trent’anni (tra il 1956 e il 1986) la popolazione della capitale liberiana era decuplicata, passando da quarantaduemila a quattrocentoventicinquemila abitanti. Un salto vertiginoso, in una città priva di industrie e di comunicazioni, dove solo poche case avevano l’energia elettrica e meno ancora l’acqua corrente.
Arrivare dalla giungla fino a Monrovia richiede molti giorni di cammino in impervie zone tropicali difficili da superare. Potevano provarci solo persone giovani e forti, quelle appunto che arrivavano in città. Qui però non trovavano ad aspettarle né un lavoro né un tetto. Fin dal primo giorno diventavano dei bayaye – l’esercito di giovani disoccupati accampati in ozio sulle principali vie e piazze delle città africane. L’esistenza di questo esercito è una delle maggiori cause di confusione nel continente: è dalle sue file che per pochi centesimi, talvolta solo con la promessa del vitto, i capibanda locali reclutano reparti per lottare contro il potere, per organizzare colpi di stato e scatenare guerre civili.
Doe, come già Amin in Uganda, era appunto uno di questi bayaye. E, come Amin, vinse anche lui il suo terno al lotto entrando nell’esercito. Avrebbe potuto essere il vertice della sua carriera ma lui, come in seguito si vide, mirava più in alto.
Il colpo di stato di Doe in Liberia non fu il semplice passaggio di potere da un cacicco-burocrate a un semianalfabeta in divisa. Fu anche la cruenta, crudele e caricaturale rivoluzione delle masse oppresse e semischiavizzate della giungla contro gli odiati governanti: gli ex schiavi delle piantagioni americane. All’interno di questo mondo di schiavi si produsse una specie di ribaltamento: gli schiavi di oggi si ribellavano contro quelli di una volta, che li avevano oppressi con la loro dominazione. Una specie di riprova della tragica e pessimistica tesi secondo la quale in un certo senso, perlomeno mentale e culturale, dalla schiavitù non esiste scampo. O che comunque si tratta di un percorso lungo e difficile.»
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TIRANNIA E GUERRA
Per dieci anni Doe impone la sua feroce dittatura, inventandosi sempre nuovi complotti volti a rovesciarlo finché nel 1990 Prince Johnson s’impossessa della sua persona, lo tortura pesantemente per farsi dire dove ha nascosto i soldi.
E’ la guerra: per una dozzina d’anni Johnson e Charles Taylor, mettono a ferro e fuoco la Liberia, finché agli inizi del Terzo millennio la pace è ristabilita.
Nel 2006 sale alla Presidenza Ellen sirleaf Johnson, prima donna a guidare uno stato africano, che riesce in dodici anni di governo a ripristinare una certa normalità, però alla vigilia di queste elezioni molti temevano che potesse riesplodere la violenza tra le fazioni.
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CALMA RELATIVA
Per questo la commissione elettorale che ha guidato tutto il complesso processo aveva domandato ai candidati di non autoproclamarsi vincitori prima che fossero effettivamente noti i risultati sia del primo che del secondo turno.
Nei giorni di votazione non si son verificati incidenti, però durante la campagna elettorale, invece, gli scontri tra sostenitori del partito al potere e quelli dell’opposizione hanno causato alcuni morti, soprattutto nella provincia di Lofa.
Dopo la proclamazione dell’esito del ballottaggio, il 20 novembre, un’automobile è piombata sui sostenitori di Boakai in festa nella capitale Monrovia, uccidendone due e ferendone molti altri, secondo fonti ospedaliere e di polizia. L’uomo alla guida è poi riuscito a fuggire.
Comunque, a parte questi episodi, certamente gravi, complessivamente questo doppio appuntamento elettorale si è svolto in una relativa tranquillità.
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ELOGI PER TUTTI
Per questo l’Unione africana si è congratulata con Boakai per la vittoria e ha elogiato il «senso dello stato» di Weah, invitando «tutte le parti coinvolte a impegnarsi nel consolidamento della democrazia».
«I liberiani hanno dimostrato che la democrazia è viva nello spazio della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cédéao/Ecowas) e che le transizioni pacifiche sono possibili», si legge in un comunicato dell’organizzazione.
Anche il presidente statunitense Joe Biden si è congratulato con Boakai e ha elogiato Weah «per aver rispettato la volontà della popolazione, anteponendo il patriottismo al calcolo politico».
Le elezioni sono state le prime a svolgersi senza la presenza della missione delle Nazioni Unite, che era stata istituita nel 2003 per garantire la pace.
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I PROTAGONISTI
JOSEPH BOAKAI
Il nuovo Presidente, 78 anni, è un politico di lungo corso: numero due del paese ai tempi di Sirleaf Johnson, si candida alla presidenza nel 2017, ma è sconfitto da Weah.
Ha stretto alleanze con diversi gruppi politici tra cui l’ex signore della guerra Prince Johnson, colui che fece mutilare ed ammazzare atrocemente Samuel Doe.
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GEORGE WEAH
Ex star del calcio, primo africano a vincere il “pallone d’oro”, appesi gli scarpini ai chiodi, entra in politica, diventa senatore e nel 2017 è presidente della Repubblica.
Molto popolare tra i giovani, ha ottenuto buoni risultati in campo economico e sociale, anche se alcuni detrattori ritengono che non abbia mantenuto molte delle promesse fatte sei anni fa, in particolare per ciò che concerne la corruzione, mentre il tasso di povertà è rimasto invariato.
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LA LIBERIA
La Repubblica di Liberia, situata nell’Africa occidentale, occupa una superficie di oltre 111 mila kmq. ed è abitata da 5,2 milioni di persone: confina con la Guinea Conakry, la sierra Leone e la Costa d’Avorio.
E’ bagnata dall’Oceano Atlantico: la capitale è Monrovia.
L’economia si fonda principalmente sull’agricoltura sia di sussistenza che volta all’esportazione: tra i prodotti venduti all’estero si segnalano l’olio di palma e le banane.
Le guerre degli anni Novanta furon provocate dalla scoperta di considerevoli riserve di diamanti la cui vendita finanziò le bande armate.
PIER LUIGI GIACOMONI
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NOTA:
[1] R. Kapuscinski, Ebano, Feltrinelli, Milano, 2000.