LANZONE DI LAMBERTO
(26 Ottobre 2018)
1.
Era il dodicesimo figlio di Lamberto, povero agricoltore che si spaccava la schiena a coltivare un campo a mezzadrìa sull’Appennino bolognese.
Fin da piccolo aveva rivelato una grande propensione a mettersi nei guai: con gli amichetti spesso si menava, coi fratelli era litigioso e prepotente, anche con la madre, Lapa, si comportava male.
A tredici anni, mentre badava alle tre mucche macilente del padre, vide arrivare dei soldatacci stanchi, sporchi e soprattutto affamati.
Uno di loro gli puntò l’alabarda alla gola e gli disse in una lingua che Lanzone non comprese:
«Noi essere soldati ed afere fame ed ora ammazzare tue mucche. Se tu non folere noi ammazzare te come un cane.»
Lanzone non ci mise molto a capire che lì finiva male e lasciò che i soldatacci ammazzassero le mucche e ne facessero ciò che volevano.
Infatti, quelli le squartarono e le misero su un fuoco acceso e se le arrostirono. Poi bevvero da degli otri un liquido disgustoso che Lanzone non sapeva se fosse vino o altro.
Una volta sazi, i militi si stesero per terra e s’addormentarono. Uno di loro , quello che gli aveva puntato l’alabarda alla gola, però gli chiese:
«Qvi dofe siamo?»
Lanzone che temeva di far la fine delle mucche, rispose educatamente:
«Siamo a Scaricalasino sull’Appennino: di qua c’è l’Emilia, di là la Toscana, ma c’è ancora molto da camminare.»
«Noi ora riposare, ma domattina partire per firenze: siamo soldati di fentura e ci hanno chiamato di Sfizzera per fare la gverra. Appena fa luce noi partire. Vorresti farci da gvida?»
Lanzone ci pensò un attimo, poi decise di seguire il suo spirito d’avventura: sarebbe andato coi soldatacci svizzeri. Tanto a casa nessuno si sarebbe accorto della sua assenza: anzi, per suo padre Lamberto sarebbe stata una bocca in meno da sfamare.
Così, al mattino Lanzone e gli svizzeri s’incamminarono e dopo poche ore giunsero a Firenze.
***
2.
Durante il cammino parlò col soldato che alla sera gli si era rivolto e poi fece la conoscenza con gli altri: il primo con cui aveva scambiato qualche parola si chiamava Urs e veniva da Uri. Anche lui faceva il contadino, ma aveva deciso d’arruolarsi nei mercenari svizzeri che partecipavano alle guerre d’Italia: siccome era un veterano aveva anche imparato un po’ d’italiano che parlava con forte accento tedesco.
Gli altri suoi compagni non spiccicavano una parola d’italiano,ma Lanzone imparò, con l’aiuto di Urs, un po’ della loro lingua.
Arrivata a Firenze, la compagnia si unì agli altri effettivi al comando del temuto condottiero di ventura Agatocle Ellenico, apprezzato dai Meidici per la sua fedeltà, ma temuto da tutti per la sua ferocia.
L’Ellenico era fuggito da Costantinopoli nel 1453, quando gli ottomani avevano conquistato la capitale dei Bizantini ed era venuto in Italia al servizio del Magnifico e della sua dinastia.
In seguito alla Pace di Lodi, quando Firenze era sotto il dominio di Lorenzo, nella penisola erano in apparenza finite le guerre che gli Stati italiani si facevano incessantemente… E tuttavia non è che la pace fosse proprio tornata. Firenze, ad esempio, voleva esser sicura di controllare tutta la toscana e quando una città si ribellava al suo dominio le scatenava contro le sue armate. Perciò i mercenari al soldo dei Medici, tra una guerra e l’altra si tenevano in esercizio, oltre che girare per la città alla ricerca di ragazze con cui soddisfare i desideri della carne. I soldati, inoltre, erano degli ottimi frequentatori di taverne e gli osti fiorentini li accettavano almeno fino a quando non scoppiavano risse tra gruppi rivali, per esempio tra tedeschi di Germania e Svizzeri, che proprio tedeschi non sono.
Durante il cammino Lanzone aveva fatto amicizia con urs e ne era diventato sostanzialmente uno scudiero: giunti al campo insieme agli altri, Urs chiese ad Agatocle Ellenico di tenere Lanzone con sé e il greco non fece obiezioni.
***
3.
Un giorno, improvvisamente arrivò l’ordine: bisognava marciare su Volterra. La città dell’alabastro si era ribellata a Firenze perché voleva vendere l’allume non solo ai Medici, ma anche a chi lo pagava meglio. Il Magnifico non volle sentir ragioni e i militi partirono per la cittadina toscana situata su una montagna. Arrivati a Volterra fu chiaro che i fiorentini sovrastavano per numero i volterrani e la lotta era impari. Dalla parte dei cittadini c’era l’orgoglio di difendere la loro città e il loro desiderio d’autonomia, ma presto si vide che non bastava. La battaglia fu cruenta, ma peggio di tutto fu ciò che accadde dopo: la città fu distrutta, gli abitanti trucidati, le donne violentate. Uno spettacolo spaventoso. Lanzone rimase molto impressionato per ciò che vide e nelle notti successive si svegliava di soprassalto tormentato da incubi nei quali vedeva scene terribili. di giorno si muoveva come un automa e di notte aveva paura d’addormentarsi. Ne parlò con Urs,che tra l’altro nei combattimenti aveva riportato qualche lieve ferita, ma lui gli disse:
«Qvesta è la gverra: se io non ammazzare te, tu ammazzare me.»
Un giorno, appena spuntata l’alba Lanzone lasciò il campo dei mercenari ed entrò in città. Vagabondò per le vie: poiché aveva fame, prese un pane che era stato messo fuori dal forno dal bottegaio per attirare i clienti, vide le osterie, le taverne, il mercato. rimase impressionato da tutta quell’abbondanza,ma aveva nel cuore un peso che non riusciva ad andare né su né giù.
Scorse una chiesa: entrò. Si sedette in un banco e cominciò a dire quelle due-tre preghiere che conosceva, ma l’angoscia che aveva dentro non passava. Ad uncerto punto gli si avvicinò un giovane prete che lo salutò:
«O, come ti hiami sgiovinotto.»
«Lanzone di Lamberto.»
«Per me tu un sei di Firènze!»
«No, sono di Scaricalasino, dall’altra parte dell’Appennino.»
«Ah, tu se’ bolognese!»
«Sì»
«e… home mai se’ hui a Firènze?»
Il prete non s’aspettava che la sua innocente domanda provocasse una fontana di lacrime, ma Lanzone invece di rispondere scoppiò a piangere come un neonato.
«Ovvìa, vieni hon me he si discorre un po’»
Lanzone seguì il sacerdote in una piccola cappella laterale dove non c’era nessuno. Appena il ragazzino si calmò un po’, quello si fece raccontare ciò che si trovava nell’animo del giovane e che tanto l’affliggeva.
Così venne fuori tutta la storia, comprese le brutalità a cui aveva assistito a Volterra.
«Hai ammazzato hualcuno?» domandò ilsacerdote.
«No, io no, ma Urs sì e io gli fornivo le armi per sbudellare donne e bambini perché ero il suo scudiero.»
«Ora hosa vorresti fare?»
«Non vorrei mai più fare la guerra, ma nemmeno ritornare a casa mia dove si muore di fame.»
«Be’, sai fare hualcosa?»
«A casa mia badavo le mucche, ma ho tanta voglia d’imparare.»
«Bene, allora oggi pomeriggio ti hondurrò da un maestro molto bravo, ma anche assai burbero che insegna ai ragazzi a fare l’artista: proverò a hovincerlo a prenderti come apprendista.»
***
4.
Il sacerdote fu di parola e il pomeriggio portò Lanzone alla bottega del Verrocchio: questi lo squadrò dall’alto in basso e poi gli disse:
«Ti prendo, però tu dovrai fare tutto ciò che ti dirò, ti darò dei vestiti adatti per le cose che ti farò fare, mangerai qui, dormirai con gli altri e per otto anni sarai al mio servizio. appena ne farai una ti caccerò a pedate nel culo e non vorrò più vederti, ma se sarai bravo ed ubbidiente qui avrai tante cose da imparare.»
Lanzone non aprì bocca, ma giorni dopo tornò alla chiesa a ringraziare il prete per l’aiuto che gli aveva dato.
Il lavoro alla bottega del Verrocchio era duro: cominciava all’alba e finiva al tramonto. Il maestro era spesso di cattivo umore ed era facile a dar le punizioni. Lanzone però resistette e divenne un discreto pittore e dimostrò buone attitudini anche nella scultura. Conobbe Leonardo e Michelangelo: non divenne mai un artigiano in proprio, perché non era proprio bravissimo, ma fu preso da vari artisti perché riusciva a dipingere quelle figure che di solito completano i grandi dipinti: quei santi che rimangono sullo sfondo, quelle mura di città che si intravedono come se fossero lontane. Aveva occhio nell’assemblare i colori ed ubbidiva agli ordini che gli venivan dati senza discutere.
Gli rimase sempre addosso la paura della violenza: così quando firenze fu sconvolta dalla congiura dei Pazzi o quando fu invasa dai Francesi, scappò perché non voleva rivedere quelle orribili immagini che ancora gli ballavano negli occhi di notte.
La sua vita non fu mai veramente serena, proprio perché l’angoscia ogni tanto lo colpiva e lo rattristava profondamente: non di rado, anche in tarda età si svegliava la notte e scoppiava a piangere. Nel suo sonno agitato, popolato da incubi, vedeva le donne sventrate, i bambini infilzati dalle picche,la città in fiamme ed udiva urla terribili. Qualcosa di queste immagini notturne trapelava nella sua pittura ed infatti quando un artista di cui ignoriamo il nome volle dipingere una scena infernale scoprì che il Nostro era bravissimo.
Ma se l’altro era felice perché il suo quadro era nettamente migliiorato ed era quasi realistico, inquietante l’avrebbe definito un critico nostro contemporaneo, per Lanzone era il riemergere di quella sofferenza che lo straziava dentro e non lo lasciava vivere.
Più volte tornò nella chiesa dove aveva incontrato il prete che l’aveva aiutato per parlare con lui e trovare un po’ di pace, ma un giorno seppe che era morto per malattia. Anche questo avvenimento lo turbò molto e gli fece pensare sempre di più al momento della sua morte.
***
5.
Nonostante abbia partecipato alla realizzazione di molte opere d’arte non ci è giunto nulla di lanzone di lamberto da Scaricalasino: tuttavia seguardate una pala d’altare o un affresco realizzato in quell’epoca e vedete delle piccole figure di santi o di dannati o delle mura di città in lontananza, forse state guardando una realizzazione di Lanzone.
Morì in miseria a settant’anni, mentre in Italia infuriava un’ennesima guerra: Spagnoli, Francesi, Tedeschi, Veneziani, Milanesi, fiorentini e Papalini non facevano altro che sbudellarsi e sfracellarsi l’un con l’altro.
Addirittura c’era stato un papa che aveva indossato un’armatura ed aveva ordinato alle sue truppe di buttare “fuori i Barbari” dall’Italia,mentre girava voce che un altro, uno spagnolo, aveva ammazzato di sua mano un nemico politico.
Un’estate, proprio a causa di queste incessanti guerre che sarebbero finite secoli dopo nei nostri libri di storia, scoppiò a Firenze una pestilenza: Lanzone si ammalò e in due giorni morì.
Del suo corpo ovviamente non si sa più nulla e il Vasari non parla di lui nelle sue opere: è uno di quei tanti artisti che hanno popolato il nostro Rinascimento senza mai divenir famosi, aiutando i celebrati Michelangelo, leonardo, Pollaiolo e Botticelli a realizzare le loro opere che ancora oggi noi ammiriamo nei musei.
PIER LUIGI GIACOMONI