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LA SPAGNA VERSO NUOVE ELEZIONI GENERALI
(9 aprile 2016)

MADRID. Son fallite le trattative tra PSOE, Podemos e Ciudadanos per formare un governo “de cambio” in Spagna. Ieri il leader di Podemos, Pablo Iglesias ha indetto un referendum tra i militanti del suo partito per chiedere loro se son favorevoli ad un accordo con Sanchez e rivera o se preferiscono un governo alla valenziana, ossia con forze di sinistra.

Iglesias si è detto favorevole alla seconda ipotesi, annunciando però che se prevarrà la prima, tutto il gruppo dirigente del partito ne trarrà le relative conseguenze.

Ora, a seguito di queste dichiarazioni,i dirigenti socialisti, pur senza parlare di rottura, danno per esaurito il tempo per la conclusione d’un accordo col movimento de los Indignados che, come avevamo scritto tempo fa, lavorava più o meno esplicitamente per la ripetizione delle elezioni generali.

Ultima chance per evitare la convocazione d’un nuovo scrutinio è un accordo tra PSOE, PP e Ciudadanos, ma gli ostacoli sono molti ed il tempo è poco.

GLI OSTACOLI. Prima di tutto, fin dall’epoca della transizione PSOE e PP son sempre stati reciprocamente alternativi: quando governava l’uno, l’altro stava all’opposizione.

Dal 1982 al 2015 il PSOE ha governato la spagna per complessivi 21 anni, mentre il PP ha retto il paese per complessivi 12 anni.

I due partiti, inoltre, hanno notevoli divergenze sul piano della politica sociale e delle misure da adottare in economia.

Vi sono, però, alcuni punti su cui i due schieramenti sono relativamente vicini: entrambi rifiutano l’ipotesi d’una dissoluzione della Spagna, per cui si battono contro il progetto sovranista in Catalogna.

Sulla strada d’un accordo tra PSOE e PP vi è anche il macigno della corruzione politica. Di recente è stato quasi azzerato il gruppo dirigente PP a Valencia, mentre inchieste giudiziarie sono aperte in Andalusia contro politici socialisti, che in passato han retto la comunità autonoma.

IL TEMPO. Dal 2 marzo è cominciato il conto alla rovescia per dare un governo alla Spagna. Presentandosi al congresso per ottenere l’investitura, peraltro mancata, Pedro Sanchez ha consapevolmente messo in moto il meccanismo costituzionale per cui se entro sessanta giorni dal primo tentativo d’investitura non si riesce ad eleggere un Presidente del Governo, il Re può sciogliere le cortes e convocare nuove elezioni.

Ecco perché oggi sui giornali spagnoli si sottolinea che se entro il 2 maggio non si riuscirà a designare il nuovo inquilino della Moncloa, sede del Governo di Madrid, saranno inevitabili nuove elezioni, già previste per il 26 giugno prossimo.

Gli ultimi sondaggi indicano che, se si votasse oggi, a trarne vantaggio sarebbe forse solo il PP che aumenterebbe i propri seggi al Congresso, senza acquisire, però la maggioranza assoluta.

Questo potrebbe esser un buon motivo sia per concludere un accordo coi socialisti, arrivando a varare un esecutivo di grande coalizione alla tedesca, sia per non farlo, al fine di metter Sanchez con le spalle al muro e costringerlo, a valle d’una nuova sconfitta elettorale, a partecipare ad un governo con Rajoy dopo l’estate.

Si vedrà in queste poche settimane che ci separano dal 2 maggio se il partito di Rajoy, che ora ha il pallino in mano, intende giocarsi la carta della governabilità o del ritorno al voto.

La stessa poltrona di Sanchez a questo punto traballa: il giovane segretario socialista aveva puntato tutte le sue carte sull’accordo con Podemos, ma ora si trova con un pugno di mosche in mano.

Tra i diversi “baroni” socialisti, molti, compresa la presidente dell’Andalusia Susana Diaz Pacheco, hanno sempre visto come fumo negli occhi la possibile intesa col partito di Iglesias e non han fatto mai mistero di preferire una grande coalizione col PP.

Se alla fine dovesse prevalere quest’ultima opzione, non si può escludere che Diaz Pacheco si presenti candidata per la segreteria generale del PSOE al
l’imminente 39° congresso nazionale con considerevoli chances di successo.

PIERLUIGI GIACOMONI

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