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LA SOLITUDINE DEL PRIMO MINISTRO
(26 agosto 2016)

Il Primo Ministro era, come sempre di sera, solo nel suo studio, davanti a lui un ponderoso rapporto dei servizi di
sicurezza da esaminare approfonditamente. Aveva mandato via la sua segretaria particolare perché voleva essere solo
a lavorare su quell’importante documento: il giorno dopo era convocata una cruciale riunione coi capi dei servizi
segreti dalla quale potevano scaturire decisioni epocali.

Tra l’opinione pubblica, il Primo Ministro ne era consapevole, serpeggiava un’ansia profonda in seguito agli
attentati terroristici, che avevano colpito Paesi vicini, procurando decine di morti, soprattutto tra i giovani.

A poco a poco, si accesero le luci della città e nel palazzo smisero di suonare i telefoni. Il Primo Ministro si
concentrò nella lettura e, come faceva sempre, prese a sottolineare i passi principali.

Ad un tratto, forse, chiuse gli occhi e, forse, si appisolò. quando li riaprì un grosso gatto era adagiato sul
rapporto dei servizi segreti.

Risvegliandosi, il Premier, per un attimo, pensò di chiamare la sicurezza per capire come mai un animale avesse
potuto penetrare nel suo studio.

Aveva già alzato la cornetta del telefono rosso, quello delle chiamate d’emergenza, poi ci ripensò.
Guardò il micio e cominciò ad accarezzarlo sulla schiena. Il grosso gatto prese a far le fusa e si stravaccò sempre
di più sulla carta.

Mentre lo accarezzava, vennero alla memoria del Primo Ministro, sotto forma di brevi fotogrammi, tutti i momenti
più importanti della sua vita.

Si vide ragazzino in campagna mentre in calzoncini corti cercava di catturare un gattino che però scappava; si
rivide ragazzo all’università mentre arringava i compagni annunciando che presto ci sarebbe stata la rivoluzione e
tutte le disuguaglianze sarebbero state sconfitte; si rivide adulto mentre in Parlamento inveiva contro il leader
dei conservatori. Ripensò alle aspre battaglie in seno al partito per sopravvivere agli attacchi dei compagni che
lo volevano far fuori; si ricordò del giorno in cui era divenuto capo assoluto del partito; si rammentò di quando
vinse le elezioni generali; gli apparve l’immagine di se stesso mentre con la parola e col gesto si rivolgeva alla
Camera che l’ascoltava in silenzio per poi esplodere in un applauso.

Poi, però, gli tornò in mente sua moglie e si ricordò che ora lei non lo voleva più vedere; gli apparvero i volti
dei figli che lo odiavano e si vergognavano d’averlo come padre.

e fu in quel momento che capì d’esser solo: immensamente solo.
Improvvisamente, inasppettate, vennero le lacrime, grosse, amare, salate. Un pianto, desolato, irrefrenabile.

Fu lì che prese la decisione: si sarebbe dimesso l’indomani e si sarebbe ritirato a vivere in campagna.

Chi l’incontrò tempo dopo, non lo riconobbe: era un uomo felice, aperto, sorridente, mentre tutti, soprattutto i
suoi più stretti collaboratori, se lo ricordavano irascibile, scuro in volto, sospettoso, quasi paranoico.

Col tempo anche la moglie ed i figli gli si riavvicinarono e gradualmente, se non ripresero a volergli bene, almeno
smisero d’odiarlo.

PIER LUIGI GIACOMONI

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