IRLANDA. DOPO LA BREXIT LA RIUNIFICAZIONE?
(8 Marzo 2020)
DUBLINO. Il 1° Febbraio scorso la Gran Bretagna è uscita dall’Unione europea, il successivo 8 febbraio gli elettori della Repubblica d’Irlanda hanno votato per eleggere il nuovo Dáil éèreann, la Camera bassa del Parlamento dando quasi un quarto dei voti allo Sinn Féin, il partito che nel Nord come nel sud propugna la riunificazione di Ulster ed Eire.
Questa, unitamente al tracollo del sistema bipartitico che dominava la scena irlandese da quasi un secolo, è l’importante novità uscita dalle urne.
così, dopo la Brexit, che ha importanti riflessi sulle economie delle due Irlande potrebbe riaffacciarsi il tema della creazione di un unico stato sull'”isola verde”.
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I RISULTATI.
Dopo due giorni di spogli a causa del complicato sistema elettorale in vigore nell’eire è emerso che i partiti più votati sono tre: lo Sinn Féin (24,5% delle prime preferenze), il Fianna Fáil (22,2) ed il fine Gael (20,8%.
In termini di seggi, nel nuovo Dáil ci sono 38 TD’s FF, 37 SF E 35 FG. Completano il quadro 19 indipendenti più una manciata di partiti minori che potrebbero entrare in un’eventuale coalizione governativa (tra essi spiccano 12 Verdi e 6 laburisti).
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CENT’ANNI D’IRLANDA.
Riassumiamo brevemente come si arrivò cent’anni fa alla nascita dell’Eire ed alla divisione dell’isola.
Già prima dello scoppio della “grande guerra” per decenni si discusse al parlamento di Westminster se concedere all’Irlanda l’autogoverno. Poco prima dello scoppio delle ostilità fu approvata la legge, ma la sua entrata in vigore fu posticipata fino al termine delle ostilità. Nel frattempo sull’isola proseguirono le azioni dell’IRA (Irish Republican Army) e la conseguente repressione attuata dalle autorità britanniche. Nel 1918 lo sinn féin vinse le elezioni per il parlamento di Dublino, ma Londra rifiutò di riconoscere l’esito elettorale. Seguirono anni di violenze e, quasi contemporaneamente di trattative per giungere alla stipula d’un trattato tra le due parti in conflitto: i repubblicani irlandesi di fede cattolica e gli unionisti protestanti.
Il 6 dicembre 1921 fu proclamato lo Stato libero d’Irlanda che comprendeva le 26 contee della parte meridionale dell’isola, mentre rimasero sotto sovranità britannica le sei contee dell’Ulster. L’Eire era uno stato dove la fede cattolica era nettamente prevalente, mentre nell’Ulster era maggioritaria la fede protestante.
Successivamente, nel 1949, l’Irish Free State si separò definitivamente dal Regno Unito e proclamò la Repubblica: solo pochi anni fa la Regina Elisabetta II Windsor ha potuto effettuare una visita nel Paese.
Nel 1973, Dublino entrò nella Comunità Economica europea (CEE) insieme alla Gran Bretagna ed alla Danimarca, ma il confine col Nord era chiuso perché lì dal 1969 infuriava la guerra civile tra unionisti e separatisti.
Con gli accordi del Venerdì Santo del 1998 vennero gettate le basi per una pacificazione e per la rimozione del confine tra i due pezzi d’Irlanda.
Negli anni successivi Dublino divenne la “tigre celtica” perché grazie ad una politica fiscale amichevole molte multinazionali, tra cui Apple, Gogle ed altre, aprirono sedi operative nel territorio irlandese attirando investimenti e facendo schizzare verso l’alto il PIL della Repubblica. questa crescita s’è bloccata con la crisi del 2011, ma il Paese smise d’essere uno dei più poveri d’Europa. Di questa crescita beneficiò anche l’Irlanda del Nord la cui economia, in precedenza depressa a causa della guerra civile, divenne sempre più interconnessa con quella del sud. Insomma, nei fatti era una riunificazione, perché il confine tra i due territori era aperto e perché lavoratori dell’una e dell’altra parte si muovevano liberamente senza trovare ostacoli.
Nel 2016, però, il referendum sulla Brexit raffreddò gli entusiasmi, anche se nell’Ulster il Remain prevalse, i partiti unionisti protestanti, alleati chiave del debole governo May premettero perché con la Brexit venisse di nuovo creato un confine duro tra le due Irlande.
Ovviamente, il governo di Dublino si oppose e fino a questo momento sembra che abbia ottenuto che anche in futuro non ci saranno barriere tra i due territori.
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CAMBIA LO SCENARIO SIA AL nord che al sud.
Nelle settimane precedenti il voto irlandese sono avvenuti alcuni fatti che hanno cambiato lo scenario tanto al Nord quanto al Sud. In dicembre le elezioni generali britanniche hanno consacrato boris Johnson alla guida del Regno Unito: il partito conservatore per governare non ha più bisogno degli unionisti nordirlandesi del DUP che anzi subiscono una flessione in voti e seggi.
Il 13 Gennaio 2020, il Segretario di Stato britannico per l’Irlanda del Nord costringe, minacciando di sciogliere l’assemblea regionale autonoma, i partiti dell’Ulster a firmare un accordo programmatico che consente di eleggere Arlene Foster First Minister regionale: il governo di Belfast si era dissolto nel 2017 in seguito all’esplodere di gravi contrasti tra sinn Féin (cattolico, repubblicano e nazionalista) e DUP (protestante ed unionista).
Il 14 Gennaio, a Dublino, il Taoiseak Leo Varadkar è costretto ad indìre elezioni anticipate: il suo esecutivo di minoranza in carica dal 2016 rischiava d’esser rovesciato in Parlamento da una mozione di sfiducia che avrebbe raccolto i voti di tutte le opposizioni: le urne si aprono l’8 febbraio.
Il 1° Febbraio si materializza la Brexit che per il momento non ha conseguenze pratiche ma che potrebbe averne quando a dicembre entreranno in vigore gli accordi bilaterali UE-Gran Bretagna in via di discussione a Bruxelles.
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DAL BIPOLARISMO AL TRIPOLARISMO.
Dalle urne irlandesi è uscito, come s’è visto un quadro politico straordinariamente variegato ed un Dáil notevolmente frammentato. quali sono le ragioni del passaggio della scena politica dell’Eire da un sostanziale bipartitismo ad un tripolarismo?
Secondo Aidan Regan, docente di politica economica all’University College di Dublino, la vertiginosa ascesa dello sinn Féin che ha rotto le uova nel paniere di Fine Gael e Fianna Fáil è il risultato di tre fattori economici interconnessi: «un modello di crescita di cui hanno beneficiato in pochi, il grave conflitto sociale intergenerazionale, determinato dalla crisi abitativa e un decennio di austerità che ha causato un declino nei servizi e nelle infrastrutture».
tuttavia i buoni risultati conseguiti dal governo Varadkar in campo economico (crescita del PIL e diminuzione della disoccupazione) non spiegano da soli l’insuccesso del fine Gael: come mai l’elettorato gli ha voltato le spalle così massicciamente?
«La ripresa dopo la recessione di dieci anni fa è stata favorita dagli investimenti delle multinazionali dell’hightech, ma la situazione economica non è rosea come sembra, replica Regan. «Secondo gli studi del Fondo Monetario Internazionale circa tre quarti degli investimenti diretti esteri sono fittizi, dovuti a semplici spostamenti di capitali per aggirare gli obblighi fiscali. In compenso, il costo della vita è aumentato in modo esponenziale, creando un divario sociale sempre più insostenibile sulla sanità, l’assistenza all’infanzia e la scuola. Per non parlare del costo delle case ormai alle stelle, con Dublino che è oggi una delle città più care d’Europa. Gli elettori hanno voluto punire le politiche di austerità imposte negli ultimi anni dai governi Fianna Fail-Fine Gael e hanno dato invece fiducia allo Sinn Féin, che si è presentato come il partito dei lavoratori e della gente comune, deciso a tassare le multinazionali, le banche e i grandi capitali investendo nei servizi pubblici e nell’edilizia popolare.»
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LO SINN FEIN E IL SOGNO DELLA RIUNIFICAZIONE.
«Se volete una repubblica irlandese – recitava un poster apparso sui muri di Dublino – votate sinn féin». Il manifesto riproduceva la simbologia e le parole d’uno analogo apparso nel 1918 quando l’SF s’aggiudicò le elezioni per il parlamento di tutta l’irlanda: quelle elezioni furono disconosciute da Londra. conseguenza: anni di violenze, spargimento di sangue, convulse trattative tra indipendentisti dell’Eire e separazione delle sei contee del Nord dal resto dell’isola.
Per decenni l’SF è stato spesso frettolosamente definito “braccio politico dell’IRA il movimento che si è battuto per decenni contro la dominazione britannica dell’Ulster, ma negli anni il partito che fu di Jerry Adams ha più volte cambiato pelle.
Più antico partito politico d’Irlanda, fondato nel 1905, quando il Paese era ancora una colonia britannica, pur tenendo fede all’obiettivo iscritto nel suo DNA – la piena sovranità nazionale di tutta l’isola irlandese – ha più volte cambiato orientamento nel corso dei decenni su specifiche questioni.
In passato era convintamente anti-europeista: nel 1973 si oppose all’adesione di Dublino alla CEE, ma poi, di fronte ai benefici apportati dai fondi strutturali e alla spinta di Bruxelles al processo di pace, ha virato verso un euroscetticismo morbido che non gli ha impedito di schierarsi contro i vari trattati di riforma, da Maastricht, a Nizza, fino a Lisbona.
Due anni fa, un calcolo politico interno portò il partito anche a modificare la propria posizione sull’aborto, diventando a favore della nuova legislazione pur di cavalcare l’onda del consenso popolare.
Fino a poco più di trent’anni fa lo Sinn Féin era solo un piccolo partito astensionista ma ha saputo trasformarsi in una formidabile macchina elettorale. Nel medio-lungo periodo punta adesso al grande progetto politico della riunificazione, da ottenersi attraverso un referendum in tutta l’isola. Il suo programma prevede l’immediata istituzione di un apposito comitato parlamentare e di un’assemblea di cittadini che discuta i piani per l’unità , mentre una consultazione popolare vera e propria dovrebbe svolgersi entro il 2025, ossia prima delle prossime elezioni generali, sia nel Nord che nel Sud.
Finora l’ipotesi di una riunificazione era stata poco più che un sogno proibito dei repubblicani. La paura di possibili reazioni violente da parte dei paramilitari protestanti (da sempre ostili a Dublino) e le temute conseguenze di carattere economico l’avevano sempre fatta accantonare a priori. Ma adesso ci potrebbero esser le condizioni perché si possa realizzare. A cambiar le carte in tavola ci ha pensato la Brexit: i cittadini dell’Irlanda del Nord avevano votato nel 2016, come accennato in precedenza, a maggioranza per il Remain e, sebbene l’intesa raggiunta da Boris Johnson con l’UE abbia fatto venir meno l’ipotesi di un confine terrestre tra le due parti dell’Irlanda, l’accordo minimalista sul commercio che Londra intende stringere con Bruxelles non funzionerebbe per Ulster ed Eire, le cui economie sono da tempo, come già detto, profondamente legate e interdipendenti. Inoltre, l’Irlanda del Nord non vuole perdere i 700 milioni di euro che arrivano ogni anno dall’Europa a sostegno dell’agricoltura, della crescita economica, dei progetti per la riconciliazione e delle iniziative culturali. Già l’Accordo di pace del Venerdì Santo del 1998 stabiliva la “possibilità di una futura riunificazione ‘quando entrambe le componenti dell’isola l’avessero voluto” e negli ultimi due anni – complice la stessa Brexit – i sondaggi hanno mostrato un sostegno crescente nei confronti di una possibile riunificazione, persino all’interno della comunità protestante. L’ultima rilevazione demoscopica è stata effettuata qualche settimana prima delle elezioni dell’8 febbraio e ha visto circa due terzi degli intervistati al di sotto dei cinquant’anni dichiararsi a favore di un’Irlanda unita. Da tempo il dibattito ha anche varcato i confini dell’isola. La potente diaspora irlandese degli Stati Uniti – di cui fanno parte oltre trenta milioni di persone – solidarizza da sempre con i cattolici dell’Irlanda del Nord, ritenendo che la divisione del Paese rappresenti un ormai anacronistico retaggio del lungo dominio britannico. E c’è poi dietro l’angolo il censimento del 2021, che in Irlanda del Nord vedrà molto probabilmente i più prolifici cattolici superare per numero d’abitanti i protestanti per la prima volta nella storia.
Così, la presidente dello Sinn Féin, Mary Lou McDonald, non perde occasione per cercare alleati che possano sostenere il progetto del suo partito. In una recente intervista alla Bbc ha ribadito che l’UE deve prendere posizione sull’Irlanda come fece per la Germania dopo la caduta del Muro di Berlino. Un paragone affascinante ma forse non del tutto plausibile: lo sgretolamento del Regno Unito sarebbe in questo caso la conseguenza, non la causa della riunificazione irlandese, come fu invece il crollo del comunismo per la rinascita della Germania unita. Nel caso dell’Irlanda il processo di riavvicinamento appare assai più complicato, poiché secoli di divisioni tra le due comunità rendono alto il rischio di un ritorno alla violenza, se non sarà individuato un progetto unitario convincente per gli unionisti protestanti del Nord. Sul piano istituzionale il modello più credibile è quello di uno stato confederale con due giurisdizioni che condividano i poteri magari mantenendo un legame con la Corona britannica, sull’esempio del Canada, il cui capo nominale dello Stato è il sovrano regnante in Gran Bretagna, rappresentato ad Ottawa da un governatore Generale. Al di là delle non trascurabili questioni identitarie vi sono poi anche problemi pratici, a partire dall’elevato costo della vita nella Repubblica d’Irlanda e dal suo programma di assistenza sanitaria privata che non può certo competere con il generoso National Health Service britannico.
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IL 33° DAIL.
Il 20 Febbraio si è costituito alla Leinsten House il 33° Dáil: dopo il giuramento e l’elezione dello speaker l’assemblea doveva eleggere il nuovo Taoiseak: tutti e tre i candidati, Leo Varadkar (FG), Micheal Martin (FF) e mary Lou McDonald (SF) sono stati respinti a larga maggioranza.
Fianna Fáil e Fine Gael sono inclini a formare una grande coalizione che coinvolga anche una parte degli Indipendenti: occorreranno ancora diverse settimane prima che si arrivi a comporre un gabinetto che possa avere la maggioranza nella nuova assemblea, senza escludere in via di principio un rapido nuovo ricorso alle urne.
PIER LUIGI GIACOMONI