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IRLANDA DEL NORD E BREXIT
(4 Marzo 2017)

BELFAST (IRLANDA DEL NORD). Tra gli effetti collaterali prodotti dal referendum sulla Brexit svoltosi in Gran
Bretagna il 23 giugno 2016 vi è la possibile ricomparsa d’una frontiera tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica
dell’Eire.

Per di più nella provincia si è aperta a gennaio una preoccupante crisi politica che è sfociata nelle elezioni
legislative anticipate.

Giovedì 2 marzo, infatti, 1,2 milioni di elettori dell’Irlanda del Nord sono stati chiamati per la seconda volta in
dieci mesi ad eleggere i 90 membri dell’Assemblea regionale.

La consultazione è stata provocata dalle dimissioni, rassegnate lo scorso 9 gennaio del vice primo ministro Martin
McGuinness (Sinn Féin) [1] che ha lasciato il suo incarico governativo in polemica con la Premier Arlene foster
(DUP).

«La premier – riferisce Euronews – è sospettata d’aver avuto un ruolo nel suo precedente incarico di ministro delle
Finanze dell’Ulster nell’ideazione di un meccanismo che pare abbia permesso di distribuire
finanziamenti pubblici gonfiati a diverse aziende locali nell’ambito dell’uso di fonti energetiche rinnovabili.»

Secondo le regole condivise fra unionisti e nazionalisti, se premier o vicepremier del governo di coalizione
lasciano la carica e non si riesce a trovare un sostituto l’esecutivo cade: difatti nei giorni successivi,
constatata l’impossibilità di formare un nuovo esecutivo, il Segretario di Stato per l’Irlanda del Nord ha
convocato, dopo solo dieci mesi, le nuove elezioni legislative.
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La scena politica nordirlandese. L’assemblea dell’Irlanda del Nord, detta anche Stormont Assembly, si compone di 90
seggi eletti col sistema del voto singolo trasferibile (STV), in vigore anche nell’Eire, che garantisce una più
equa distribuzione dei seggi parlamentari, rispetto al First-past-the-post praticato nel Regno Unito ed in altri
Paesi anglosassoni. In base a questa legge elettorale, i cittadini possono esprimere un numero progressivo di
preferenze tra i candidati proposti nelle singole circoscrizioni, scrivendo sulla scheda dei numeri in ordine di
scelta, accanto al cognome del concorrente in gara.

Risultano eletti coloro che, attraverso una serie di conteggi complessi e successive eliminazioni di competitori
meno votati, raggiungono un certo quorum. Per determinare la consistenza politica delle diverse forze in campo è
fondamentale ottenere il primo voto di preferenza che incide sulla quantità di seggi che verosimilmente si
otterranno a spogli conclusi.

Il territorio nordirlandese è stato suddiviso in 18 circoscrizioni: in questo modo ciascuna di esse elegge cinque
deputati ciascuna. In precedenza, la Stormont Assembly era formata da 108 MLAs, per cui in queste elezioni i posti
disponibili sono meno.

Normalmente, l’elettorato vota i partiti vicini alla propria appartenenza religiosa ed ideologica: i protestanti
rivolgono i loro favori sul DUP (Democratic Unionist Parti) o sull’UUP (Ulster Unionist Party); i cattolici
sostengono invece lo Sinn Féin, presente anche nel parlamento di Dublino con una solida rappresentanza, e l’SDLP
(Social Democratic and Labour Party.

Unico partito con vocazione non settaria è l’alliance Party di orientamento liberale che cerca di superare le
divisioni tra gli unionisti ed i nazionalisti.

Normalmente nessuno dei partiti britannici si presenta alle elezioni nordirlandesi, anche se c’è una notevole
vicinanza tra i conservatori e gli unionisti.

Al parlamento di Westminster, la provincia è rappresentata da 18 MPs eletti col sistema del first-past-the-post:
ciò implica che i cattolici sono sottorappresentati rispetto alla loro reale consistenza demografica.
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I risultati definitivi. A spoglio terminato la situazione è di sostanziale equilibrio tra lo Sinn Féin (27 seggi)
ed il DUP (28 SEGGI).

I primi hanno perso solamente un seggio, i secondi hanno ceduto dieci mandati. Anche in termini di voti, la
differenza tra i due schieramenti è minima, solo due decimi di punto percentuale.

Tra gli altri partiti spicca la sconfitta del UUP, che lascia sul campo sei mandati, scendendo da 16 a 10 seggi,
mentre l’SDLP e l’APNI difendono i loro seggi: nella nuova assemblea avranno rispettivamente 12 e otto mandati.

Il resto dei posti sono stati vinti da piccoli partiti per un totale di 5 seggi (6 nella precedente camera).

In quest’elezioni si è registrata una crescita della partecipazione: difatti ha votato il 65% del corpo elettorale,
mentre a maggio 2016 si era recato alle urne solo il 55%.
***
Breve storia dell’Irlanda del Nord. L’intera isola d’Irlanda è stata sottomessa al dominio dell’Inghilterra dal XII
secolo in poi: a più riprese i sovrani inglesi hanno invaso l’isola per sottometterla e farne una colonia di
popolamento. In particolare, soprattutto nel XVI secolo, i sovrani Tudor condussero una serie di campagne militari
contro la nobiltà locale ed imposero il governo d’un Lord Deputy d’Irlanda che rappresentava sul territorio il
sovrano inglese.

Il Parlamento irlandese, articolato in una Camera dei Comuni ed una dei Lords aveva scarso potere: in esso era
rappresentata soprattutto l’aristocrazia fedele a Londra.

Questa era costituita soprattutto da proprietari terrieri, d’origine scozzese di fede presbiteriana, che imposero
una legislazione fortemente discriminatoria nei confronti dei cattolici: chi era “papista” non aveva accesso
agl’impieghi pubblici ed alle cariche politiche.

Le rivolte furono frequenti, ma sempre schiacciate con durezza dalle autorità.

Nel 1801 l’Irlanda entrò a far parte del Regno Unito di Gran Bretagna ed il Parlamento di Dublino fu sciolto: di
conseguenza, gli irlandesi mandarono dei loro rappresentanti a Westminster.

Nel 1846 – 47 la popolazione fu sterminata da una carestia dovuta ad una grave malattia della patata: il numero
degli abitanti, circa 8 milioni, si dimezzò. Molti irlandesi, per salvarsi la vita, emigrarono negli stati Uniti
dove costituirono folte e coese comunità soprattutto sulla costa orientale ed a Chicago.

Per tutto l’Ottocento la questione dell’autogoverno degli irlandesi fu all’ordine del giorno, ma appositi progetti
di legge proposti da diversi governi incontrarono la forte opposizione della camera dei pari. Ciò ebbe dei riflessi
anche sull’assetto istituzionale britannico: nel 1911 il governo liberale fece approvare, non senza una notevole
infornata di Lords, il Parliament Act che assegnava ai Comuni l’ultima parola sulla’approvazione finale dei disegni
di legge.

Sembrava scoccata l’ora dell’Irish Home Rule, ma l’emergere di contrasti tra gli irlandesi e lo scoppio della prima
guerra mondiale fece rimandare tutto alla fine del conflitto.

Nel 1919 il partito Sinn Féin convocò un’assemblea irlandese, il Dáil Éireann
[2] non riconosciuta da Londra e rivendicò il diritto all’indipendenza. Ne scaturì una guerra civile in cui si
fronteggiarono irlandesi del Nord, protestanti ed unionisti, ed irlandesi cattolici, repubblicani e separatisti.

Il conflitto ebbe fine nel 1921 quando Londra accettò di negoziare col parlamento irlandese precedentemente
disconosciuto: ne scaturì un accordo che permise la nascita dello “Stato libero d’Irlanda”.

L’Ulster, tuttavia, poteva optare o per rimanere parte integrante del Regno Unito o aderire al nuovo stato: la
maggioranza protestante scelse la prima opzione.

Londra accordò alle sei contee l’autogoverno interno, creando un parlamento ed un esecutivo autonomi.

Gli Unionisti, che avevano la maggioranza dei seggi allo Stormont, applicarono una politica discriminatoria nei
confronti della minoranza cattolica: fu impedito l’insegnamento del gaelico e furono ridisegnate le circoscrizioni
elettorali in modo che fosse assicurata ad essi sia la maggioranza dei deputati locali che quelli da inviare a
Westminster.

La tensione montò fino al 1968 quando esplosero i primi scontri tra militanti cattolici e protestanti: londra inviò
i primi contingenti di truppe per reprimere la rivolta, ma essa divampò sempre più violenta.

Nel 1974 fu sciolto il governo regionale e la provincia fu amministrata direttamente dai Segretari di Stato per
l’Irlanda del Nord: per decenni fu un susseguirsi di attentati, omicidi, arresti arbitrari, interrogatori, torture,
senza vie d’uscita.

I protestanti formarono le Ulster defence Forces (UFF) e l’Ulster Volontier Forces (UVF), i cattolici sostenevano
soprattutto l’IRA (Irish Repubblican Army): i primi si battevano per la permanenza del territorio nel regno Unito,
i secondi per l’adesione alla repubblica d’Irlanda.

Non mancavano piccoli gruppuscoli ancora più estremisti come i Provisionals dell’IRA che non volevano sentir
parlare d’una possibile intesa con gli avversari.

Le voci moderate che chiedevano il dialogo, come quelle dell’SDLP, furono messe a tacere.

La svolta nel conflitto avvenne solo nel 1997 quando il nuovo Primo Ministro britannico Tony Blair, laburista,
propose d’avviare seri negoziati per giungere ad una soluzione politica del conflitto. Nonostante le più che
consolidate diffidenze tra le parti il venerdì santo “good Friday” del 1998 vennero firmati gli accordi di pace che
hanno dato vita alle istituzioni devolute che governano, non senza difficoltà, la provincia.

Così nel 1999 si giunse all’elezione d’una nuova Assemblea regionale ed alla formazione d’un governo regionale di
coalizione tra i diversi partiti politici nordirlandesi.

Ma sul difficile cammino della provincia verso una completa ripresa economica dopo gli anni della violenza è
piombato l’esito del referendum sulla Brexit.
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L’Irlanda del Nord e la Brexit. L’unica vera frontiera terrestre che la Gran Bretagna abbia è quella che separa
l’Ulster dall’Eire. In questi ultimi anni, però, questo confine è divenuto sempre più inesistente: quasi quasi non
ci si rende conto d’esser passati dall’altra parte se non, rilevava giorni fa un giornalista, per il fatto che i
cartelli stradali irlandesi, diversamente da quelli britannici, segnalano le distanze in chilometri anziché in
miglia. In questi anni imprese del Nord hanno investito al sud e viceversa.

Nel referendum di giugno si sono riprodotte le divisioni ideologiche e religiose: i cattolici hanno votato per lo
più per l’opzione “remain”, mentre i protestanti si sono schierati per il “leave”.

Ora, però, gli operatori economici temono che l’uscita del Regno Unito dall’UE possa far regredire economicamente
la provincia, possa far riesplodere l’instabilità e l’incertezza, possa limitare la circolazione delle persone di
qua e di là della frontiera.

Non a caso nelle scorse settimane i Premier di Dublino, Enda Kenny, e Londra, Theresa May, hanno annunciato l’avvio
di negoziati per la soluzione dei problemi bilaterali che la decisione britannica determina, perché è interesse
d’entrambe le parti tenere aperto il più possibile il rispettivo confine.

In questo contesto s’inseriscono le elezioni legislative di giovedì nel Nord Irlanda: i partiti politici locali
hanno tre settimane per formare un governo, altrimenti la gestione della provincia passerà al Parlamento di
Westminster.

Nelle prime dichiarazioni postelettorali la first minister uscente Arlene Foster ha rivendicato il diritto di
presiedere l’esecutivo, mentre lo sinn Féin ne ha chiesto le dimissioni, pena il mancato varo dell’esecutivo
condiviso.

L’eventuale ritorno d’un’amministrazione diretta da Londra, come tra il 1974 ed il ’99 potrebbe riacutizzare i
contrasti tra unionisti e nazionalisti: già durante la campagna elettorale, il leader storico dello Sinn Féin,
Gerry Adams, 69 anni, ha minacciato il ricorso ad un referendum per chiedere alla popolazione delle sei contee se è
favorevole ad unirsi alla repubblica d’Irlanda, che non ha intenzione d’uscire né dalla UE, né dall’eurozona.

E’ una minaccia che fa rabbbrividire i protestanti che finora si sono battuti con successo per tenere le sei contee
agganciate al Regno Unito.

Le dinamiche demografiche in atto, però, segnalano una flessione della popolazione protestante ed un progressivo
incremento dei cattolici, per cui in prospettiva il rischio d’un mutamento nell’assetto antropico della società è
reale.

Nell’immediato la formazione d’un governo è sicuramente da preferire al riesplodere del conflitto trentennale che
ha impoverito l’Ulster sia rispetto al Regno Unito che all’Eire, ma è costato anche molte vite umane.

PIER LUIGI GIACOMONI
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NOTE:
[1] Sinn Féin: espressione gaelica che significa “noi stessi”. E’ il partito guida della lotta per l’indipendenza
irlandese dal dominio britannico. fondato nel 1905 ha dato vita nel 1919 all’IRA (Irish Repubblican Army) ed ha
convocato il primo parlamento irlandese, non riconosciuto dalla Gran Bretagna.

Attualmente è rappresentato nei Parlamenti irlandese (23 seggi su 158), britannico, (4 seggi su 650) europeo (4
seggi su 751) e nordirlandese.

E’ un partito che coniuga l’opzione socialista col nazionalismo irlandese.

[2] Dáil Éireann: espressione gaelica che significa letteralmente “Assemblea d’Irlanda”.
Il Dáil Éireann) è la camera bassa dell’
Oireachtas (Parlamento) della
Repubblica d’Irlanda.

L’elezione dei suoi membri, attualmente 158, avviene a suffragio universale una volta ogni cinque anni, ma, se
necessario, possono tenersi anche delle elezioni anticipate.

Tra i suoi poteri vi è l’elezione o la revoca del Taoiseach (Primo ministro).

Dal 1922, la sua sede è a Dublino, alla Leinster House.

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