IL DIO DI KIRILL E QUELLO DI FRANCESCO
(26 Marzo 2022)
MOSCA. Il dio di Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie e quello di Francesco, Papa della Chiesa Cattolica Romana, non potrebbero esser più diversi. Per il capo degli ortodossi russi dio si serve degli uomini e delle loro armi per punire i peccati di altri esseri umani e per salvare la civiltà russa dalla depravazione dell’Occidente.
Per il capo della Chiesa romana, dio condanna la guerra sotto ogni forma e soffre per la perdita di tante vite umane, spesso le più deboli e indifese, sterminate dalle bombe.
Probabilmente, però, anche il dio degli ucraini è agli occhi del sommo sacerdote moscovita una divinità diversa, da combattersi con altrettanta determinazione.
In Ucraina convivono oltre 50 fedi diverse, ma la maggioranza della popolazione segue l’ortodossia. La gerarchia è legata canonicamente al Patriarcato di Mosca, ma gode d’un’autonomia sancita dal concilio episcopale (1990) e confermata dal concilio della Chiesa russa nel 2009, lo stesso che elesse Kirill al patriarcato.
Capo della Chiesa ortodossa ucraina è il metropolita di Kiev, consacrato dal patriarca di Mosca ma eletto dall’episcopato ucraino: l’attuale è Onufrij Berezovsky, eletto nel 2014.
Nel 1992, si è però formata la Chiesa ortodossa ucraina, legata al-Patriarcato di Kiev, con un seguito di alcuni milioni di fedeli, non riconosciuta dalle altre chiese ortodosse. Inoltre, nel ’90, dopo l’incontro con Giovanni Paolo II, Gorbačev legalizzò la Chiesa greco-cattolica ucraina, che poté uscire dalla clandestinità cui era stata costretta da Stalin nel 1946. La convivenza delle tre comunità negli anni Novanta fu caratterizzata da tensioni ed episodi di violenza, che si riverberarono sullo stesso dialogo teologico cattolico-ortodosso, con una lunga battuta d’arresto fino al 2006.
«Ma è l’autocefalia della Chiesa ucraina il nodo attorno a cui si stringono i problemi dell’ortodossia contemporanea – scrive Adalberto Mainardi[1]. «Nel 2016 il concilio panortodosso di Creta non riusciva ad affrontare il problema di quale Chiesa avesse il diritto di concedere a un’altra l’autocefalia (cioè la piena indipendenza): il patriarca ecumenico di Costantinopoli? O la Chiesa madre? O l’insieme delle Chiese ortodosse? Per motivi diversi, quattro Chiese ortodosse disertarono l’assise di Creta: Mosca, Antiochia, la Chiesa ortodossa bulgara e la Chiesa di Georgia. A livello panortodosso, il problema canonico della concessione dell’autocefalia rimase irrisolto e lo scisma della Chiesa ucraina drammaticamente aperto.
Dopo l’annessione russa della Crimea e la destabilizzazione del Donbass nel 2014, la spinta politica a creare una Chiesa ucraina autocefala «canonica» crebbe considerevolmente. La metropolia di Kiev, culla storica della Chiesa ortodossa russa, dipendeva canonicamente dal patriarca di Costantinopoli fino alla fine del XVII secolo, quando la situazione politica ne provocò il passaggio al patriarcato di Mosca (eretto nel 1589). Nel 2018, il patriarca ecumenico Bartolomeo ritenne di revocare il tomos patriarcale del 1686 che concedeva al patriarca di Mosca il privilegio di consacrare il metropolita di Kiev. I fedeli fino ad allora ritenuti scismatici della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Kiev e della minoritaria Chiesa ortodossa autocefala ucraina furono accolti nella comunione con Costantinopoli e in un concilio, alla presenza di due esarchi nominati dal patriarca ecumenico, costituirono la Chiesa ortodossa d’Ucraina (15 dicembre 2018).
A questa Chiesa, nel gennaio 2019, Bartolomeo concesse l’autocefalia. L’evento fu salutato dall’allora presidente ucraino Petro Poroshenko, che l’aveva fortemente voluto, come un nuovo «battesimo della Rus’», e la nascita di «una Chiesa senza Putin, ma una Chiesa con Dio e con l’Ucraina». Il Patriarcato di Mosca reagì rompendo la comunione eucaristica con Costantinopoli e con le Chiese che successivamente riconobbero la Chiesa ortodossa d’Ucraina (la Chiesa greca, il Patriarcato di Alessandria e la Chiesa di Cipro).
La Chiesa ortodossa ucraina, rimasta fedele a Mosca, fu oggetto di attacchi e discriminazioni. Un progetto di legge imponeva di rinominarla «Chiesa ortodossa russa in Ucraina» (una disposizione che avrebbe potuto privarla dell’antichissimo monastero delle Grotte di Kiev). Il capo delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, metropolita Ilarion Alfeev, nell’aprile 2021 protestò energicamente: «Il centro di questa Chiesa non è Mosca, ma Kiev: è una Chiesa indipendente, elegge i propri vescovi e il proprio primate. Non è una Chiesa di russi, ma di ucraini».
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I PRETI UCRAINI METTONO L’ELMETTO.
La guerra di Putin, allora, ha agito come detonatore in una situazione ecclesiale attraversata da tensioni irrisolte. Le reazioni delle Chiese le hanno rese manifeste. Non sorprendono i toni del primate della Chiesa ortodossa d’Ucraina, metropolita Epifanij («un cinico attacco […] nostro comune compito è respingere il nemico, difendere la patria, il nostro futuro dalla tirannia dell’aggressore»), o dell’Arcivescovo maggiore della Chiesa greco cattolica ucraina, Svjatoslav Sevchuk («il nemico fraudolento ha invaso il suolo ucraino, portando con sé morte e devastazione […] è sacro dovere di ciascuno difendere la patria […] La vittoria dell’Ucraina sarà la vittoria della potenza di Dio sulla bassezza e l’insolenza dell’uomo»).
Se Putin, che ancora il 21 febbraio definiva la Chiesa ortodossa ucraina «perseguitata» dal regime di Kiev, si aspettava da essa un appoggio, si sbagliava. In un appassionato appello «al presidente della Russia» nel giorno dell’invasione, il metropolita Onufrij chiede di «fermare immediatamente la guerra fratricida […] Una guerra simile non ha giustificazione né per Dio né per l’uomo». Se individua la responsabilità del presidente russo, il messaggio di Onufrij non cede alla tentazione di invocare da Dio la vittoria sul nemico. Non c’è un nemico da distruggere, ma un fratello che non abbiamo il diritto di uccidere.»
diventa chiaro quindi che all’interno del mondo religioso ucraino ci sono posizioni diverse: alcuni invitano alla lotta contro l’invasore russo, sottintendendo anche l’acquisizione da parte della chiesa autocefala di Kiev d’una piena indipendenza da quella di Mosca, altri spendono parole di pace in nome di quell’antica fratellanza che unisce da secoli i due popoli vicini.
Ma se Onufrij vorrebbe la pace, il suo collega moscovita preferisce metterla giù pesante e benedire la guerra.
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LE PAROLE DI KIRILL.
Kirill I, quando scoppia la guerra, il 24 febbraio non ha ancora deciso, forse, che atteggiamento assumere: a sera, durante una cerimonia religiosa, rivolgendosi ai «fedeli figli della Chiesa ortodossa russa» senza nominare la guerra, esorta «tutte le parti in conflitto a fare il possibile per evitare vittime civili».
Sa che 250 tra preti e monaci hanno sottoscritto un documento nel quale chiedono «la cessazione della guerra fratricida in Ucraina» e di non perseguitare chi manifesta per la pace, «perché questo è il comandamento divino: “Beati gli operatori di pace”».
Il 28 febbraio, poi, il sinodo ortodosso di Kiev, con insistenza, domanda al Patriarca di «dire la sua parola di primate sulla cessazione del versamento fratricida di sangue in Ucraina», mentre il 2 marzo, il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), di cui Mosca fa parte e che ha sede a Ginevra, Ioan Sauca, ortodosso romeno, implora ufficialmente il patriarcato «di mediare perché la guerra possa essere fermata», e di «far sentire la sua voce per i fratelli e le sorelle che soffrono».
Qualcosa evidentemente accade perché il 6 Marzo, prima domenica di quaresima, detta del Perdono, Kirill usa parole dure contro gli ucraini, anche quelli fedeli a Mosca e nei fatti benedice la guerra:
«Sappiamo – dice – che questa primavera è oscurata da gravi eventi legati al deterioramento della situazione politica nel Donbass, che ha portato all’inizio delle ostilità. […] Per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass. E nel Donbass, c’è un rifiuto, un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che vengono offerti oggi da coloro che rivendicano il potere mondiale.
Oggi è imposta una prova di fedeltà a questo potere mondiale, una sorta di lasciapassare per quel mondo “felice”, un mondo di consumo eccessivo, un mondo di apparente “libertà”.
[…] La prova è molto semplice e allo stesso tempo terrificante: si tratta di una sfilata dell’orgoglio gay. La richiesta di molti di avere una sfilata dell’orgoglio gay è una prova di fedeltà a quel mondo molto potente; e sappiamo che se le persone o i paesi rifiutano queste richieste, non fanno parte di quel mondo, ne diventano estranei. […]
Se l’umanità accetta che il peccato non è una violazione della legge di Dio, se l’umanità accetta che il peccato è una variazione del comportamento umano, allora la civiltà umana finirà lì. E le parate dell’orgoglio gay hanno lo scopo di dimostrare che il peccato è una variante del comportamento umano. Ecco perché per entrare nel club di quei paesi bisogna fare una parata dell’orgoglio gay. Non per fare una dichiarazione politica, “siamo con voi”, non per firmare qualche accordo, ma per fare una parata del gay pride.
Sappiamo come la gente resiste a queste richieste e come questa resistenza viene soppressa con la forza. Quindi si intende imporre con la forza il peccato condannato dalla legge di Dio, il che significa imporre con la forza la negazione di Dio e della sua verità sulle persone.
Quindi ciò che sta accadendo oggi nelle relazioni internazionali non riguarda solo la politica. Si tratta di qualcos’altro e molto più importante della politica. Si tratta della salvezza umana, di dove l’umanità si troverà: alla destra o alla sinistra di Dio Salvatore, che viene nel mondo come giudice e creatore della creazione. […] Cosa significa l’azione in Ucraina oggi, dove vi sono stati otto anni di soppressione e sterminio di persone nel Donbass, otto anni di sofferenza, e il mondo intero è stato in silenzio? Ma noi sappiamo che i nostri fratelli e le nostre sorelle soffrono veramente; inoltre, possono soffrire per la loro fedeltà alla Chiesa.
E così oggi, nella Domenica del perdono, io, da una parte, come vostro pastore, invito tutti a perdonare i peccati e le offese, […] Ma il perdono senza giustizia è resa e debolezza. Il perdono deve quindi essere accompagnato dal diritto indispensabile di stare dalla parte della luce, dalla parte della verità di Dio, dalla parte dei comandamenti divini, dalla parte di ciò che ci rivela la luce di Cristo, la sua Parola, il suo Vangelo, le sue più grandi alleanze date al genere umano. […] Oggi i nostri fratelli nel Donbass, popolo ortodosso, stanno indubbiamente soffrendo e noi non possiamo fare a meno di essere con loro, prima di tutto nella preghiera. Dobbiamo pregare che il Signore li aiuti a preservare la loro fede ortodossa e a non soccombere alle tentazioni e ai tentacoli.
Allo stesso tempo, dobbiamo pregare che la pace arrivi il più presto possibile, che il sangue dei nostri fratelli e sorelle smetta di essere versato, e che il Signore abbia pietà della terra del Donbass, che da otto anni porta l’impronta dolorosa dell’aggressione del peccato e dell’odio umano. […] Che Egli possa salvare le nostre anime e promuovere la moltiplicazione del bene nel nostro mondo peccaminoso e spesso paurosamente sbagliato, affinché la verità di Dio possa regnare e guidare il genere umano.[2]
«L’omelia del patriarca – commenta Mainardi – ha lasciato stupefatti molti commentatori. Certo, mentre chiede di pregare per il popolo ortodosso del Donbass, Kirill dimentica che in Ucraina c’è un altro popolo ortodosso che è il suo stesso gregge; quando ricorda che perdonare è cessare di odiare il nemico, non si accorge che sta costruendo un nemico «esterno» (l’Occidente corrotto) addossandogli la responsabilità «più pesante», cioè di allargare «l’abisso tra i fratelli, colmandolo di odio, malizia e morte» (la guerra tra Russia e Ucraina), e sta assolvendo il presidente russo.
Ma la sua parola non deve stupire. Non è, banalmente, la degradazione dell’ideale evangelico a poltiglia ideologica. È il coerente sviluppo dell’idea del «mondo russo» (Russkij mir), costruita all’inizio degli anni Duemila. Un’idea di civiltà e insieme un’impresa politica, che tiene insieme eredità culturale e valori religiosi, principi etici tradizionali e capacità performativa post-secolare, una versione 2.0 della «Idea russa» combinata con l’ideale romantico della «Santa Rus’», di cui sarebbero portatori i popoli usciti dal battesimo nel Dniepr, russi, ucraini, bielorussi, come un’unica civiltà con una specifica missione: testimoniare un’alternativa valoriale allo smarrimento etico dell’Occidente, che dietro l’ipocrita difesa dei diritti umani nasconde l’idolo unico del profitto. Non è casuale la consonanza con la persuasione putiniana che russi e ucraini (e bielorussi) siano un unico popolo, fratelli che non possono e non devono abitare in case straniere. Il patriarca del resto ha salutato con favore gli emendamenti alla Costituzione russa del 2020, che introducono la menzione di Dio (art. 67,1 comma 2), la difesa del matrimonio come unione tra uomo e donna (72, comma 1), la promozione dei valori tradizionali della famiglia (114, comma 1)».
Nella tradizione ortodossa, poi, aggiungiamo noi, l’allineamento della chiesa sulle posizioni del potere dominante è un antico costume. sia durante il periodo zarista che in quello sovietico l’ortodossia non è mai stata un problema per il Kremlino, anche se l’ateismo era dottrina di stato. Putin, appena impadronitosi del potere ha cercato d’ottenere pieno appoggio dalla gerarchia ecclesiastica facendo costuire chiese e riversando denaro nelle casse del patriarcato. Putin e la gerarchia moscovita si sono strumentalizzati a vicenda: il primo ha avuto pieno appoggio per tutte le sue operazioni politico-militari, la seconda ha recuperato molta influenza nella società post sovietica.
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RAPPORTI NUOVAMENTE TESI FRA MOSCA E ROMA.
L’intervento di Kirill però non crea solo dei problemi in seno alla comunione ortodossa, ma anche nei rapporti tra questa chiesa ed altre, come quella cattolica.
Nel 2016, il Patriarca moscovita si era incontrato a Cuba con papa Francesco: insieme avevano firmato un documento congiunto che sembrava gettar le basi per un riavvicinamento delle posizioni. Ora però la guerra sta scavando un solco che richiederà tempo per esser colmato: di questa realtà ne sono chiara documentazione i comunicati diffusi dalle due parti dopo il colloquio telefonico tra i due leader religiosi avvenuto il 16 Marzo.
Quello di Mosca, stringato e «irenico», parola di avvenire.it, l’altro, quello di fonte vaticana, più articolato. Dalla loro lettura si evince che i punti d’accordo sono pochi: i due leader religiosi auspicano che i contatti diplomatici in atto proseguano e diano frutto e che le ostilità cessino quanto prima.
Per il resto, le due chiese rimangono sulle loro posizioni: forse un giorno, a bocce molto ferme, riprenderà il dialogo, ma dovrà scorrere parecchia acqua sotto i ponti.
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LE PAROLE DI FRANCESCO.
D’altronde, le parole pronunciate pubblicamente da papa Francesco non lasciano alcun dubbio sulle posizioni della Santa Sede e sue personali:
nei dopo Angelus, per esempio, è stato un crescendo di condanne della guerra ed addirittura d’una vigorosa presa di distanza da chi usa il nome di dio per giustificare la guerra.
Il 13 Marzo dichiara: «Davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inermi non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri. Col dolore nel cuore unisco la mia voce a quella della gente comune, che implora la fine della guerra. In nome di Dio, si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi! Si punti veramente e decisamente sul negoziato, e i corridoi umanitari siano effettivi e sicuri. In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro! […] Dio è solo Dio della pace, non è Dio della guerra, e chi appoggia la violenza ne profana il nome.»[3]
Il 20 Marzo: «Tutto questo è disumano! Anzi, è anche sacrilego, perché va contro la sacralità della vita umana, soprattutto contro la vita umana indifesa, che va rispettata e protetta, non eliminata, e che viene prima di qualsiasi strategia! Non dimentichiamo: è una crudeltà, disumana e sacrilega! […] Restiamo vicini a questo popolo martoriato»[4].
Qual è allora il dio di Kirill? Sicuramente è diverso da quello del Papa e probabilmente anche di molti ortodossi russi. Per il capo della chiesa di Mosca la divinità benedice la guerra sia come modo per far cessare i presunti “genocidi” in atto nel donbass a danno dei russofoni, sia per impedire che i costumi occidentali, considerati decadenti, mettano piede nel sacro suolo russo, inteso nel senso più ampio del termine. Un dio nazionale, forse persino nazionalista, imperialista, revanscista. Il dio del Papa è uno che non ama la guerra, non sopporta la violenza, gli spargimenti di sangue, la perdita di vite innocenti e inermi.
Se in questi decenni la Chiesa cattolica ha cercato, non sempre riuscendoci, di separarsi dal potere civile dopo esserne stata per secoli strumentalizzata ed aver piegato il volere di Dio alla ragion di Stato,nel mondo ortodosso, così come per l’Islam o certe sètte evangeliche la legge di dio deve essere anche quella degli uomini volenti o nolenti. Il dio del patriarca di Mosca è contento se i russi invadono l’Ucraina, quasi come ai tempi delle crociate, era felice se i cristiani massacravano i musulmani.
Il dio di Francesco invece soffre per le soferenze delle vittime di questa guerra che per il Papa è sacrilega: la distanza tra le due interpretazioni del ruolo della divinità non potrebbe essere più grande.
così come rischia d’allargarsi il divario tra l’Occidente e l’oriente dell’Europa: se in passato giovanni Paolo II parlava del nostro continente come d’un’area che andava dagli Urali all’Atlantico, intendendo così un contenitore geografico fecondato dalla civiltà cristiana, oggi pare che gli attori sulla scena faccian di tutto per separare nettamente due aree, creando di nuovo un fossato d’odio e di diffidenza che non produrrà di sicuro pace e stabilità.
PIER LUIGI GIACOMONI
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NOTE:
[1] A. Mainardi: LE CHIESE IN UCRAINA E LA SFIDA DELLA PACE in rivistailmulino.it, 12 Marzo 2022.
[2] Omelia di Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, in comboni2000.org, 7 Marzo 2022
[3] Ucraina, il Papa: “In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!” in vaticanews.va, 13 Marzo 2022.
[4] Il Papa: la guerra di aggressione all’Ucraina è disumana e sacrilega, in vaticanews.va, 20 marzo 2022.