IL COVID-19 E’ GIUNTO IN AFRICA
(24 Marzo 2020)
ADDIS ABEBA. Il COVID-19 è arrivato in Africa: secondo l’Organizzazione Mondiale per la sanità (OMS-WHO) il Coronavirus fa sentire i suoi effetti in 43 Paesi su 53, ma il fenomeno è in crescita.
I Governi hanno iniziato a prendere i primi provvedimenti:
– in Mauritania, ad esempio, è stato decretato il coprifuoco notturno;
– in Kenya, alcuni deputati hanno chiesto di rendere noti i nomi delle persone infette, ma il governo ha rifiutato per rispettare la legislazione sulla privacy;
– in Etiopia e Sud Africa sono scattati i linciaggi contro gli “untori”;
– in Senegal, le autorità hanno vietato di mangiare in gruppo con le mani nello stesso piatto,come è abitudine di molti, anche nei ristoranti;
– in Ruanda la popolazione è stata confinata in casa e molte attività quotidiane, come i mercati, sono stati proibiti.
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LINCIAGGI.
«In poche settimane – narra la Stampa – si è passati dalla caccia al cinese in Kenya, al linciaggio di europei in Etiopia. I primi episodi di violenza si sono verificati ad Addis Abeba dopo che su Facebook è apparso un post in cui si annunciava la positività al Covid-19 di Tom Gardner, corrispondente del settimanale «The Economist».
Notizia falsa, ma diffusasi rapidamente: gli europei, secondo qualcuno, sono i veri diffusori del virus nel continente, sebbene, ad esempio tra Etiopia e Cina, sia ancora operativo ilcollegamento aereo come nei tempi normali.
Così, un professore è stato aggredito a pietrate, un ragazzo costretto a fuggire da uno spazio di co-working nel quartiere di Bole. I «ferengi», stranieri in amarico, non sono ben visti neanche nella nuova metro esterna costruita dalla Cina o nei popolari punti di incontro, dove viene servito il rinomato caffè etiopico.
Immediata la condanna del primo ministro e Premio Nobel per la Pace, Abiy Ahmed. «Il virus non ha nazionalità – ha detto – siamo tutti a rischio, è il momento di aiutarsi reciprocamente. Siamo parte di una comunità globale e non possiamo demonizzare gli stranieri». Parole che rimediano ad un discorso ambiguo di qualche giorno fa, in cui lo stesso capo di governo sosteneva che cibo e caffè sarebbero stati dei validi deterrenti per la diffusione del virus in Etiopia, stesso Paese di provenienza di Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità.
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SUD AFRICA.
Le avvisaglie di una crescente tensione conseguente l’aumento dei contagi arriva anche dal Sud Africa, paese non nuovo a manifestazioni violente di xenofobia.
A Johannesburg, ad esempio, un autobus, con decine di turisti europei a bordo, è stato apostrofato con lo slogan «corona, corona!» costringendo l’autista ad abbandonare l’area in cui si trovava. Sui social molti utenti accusano occidentali e bianchi ricchi sudafricani di «importare il virus» e diffonderlo nel Paese.
Nella «Repubblica arcobaleno» il rischio maggiore è che il personale di servizio che lavora in strutture turistiche e quartieri di lusso possa infettarsi e portare il virus nelle baraccopoli dove mancano servizi igienici e regna il sovraffollamento. Il terzo partito politico per numero di rappresentanti in Parlamento, Economic Freedom Fighters (EFF), ha chiesto che chiunque risulti positivo venga messo in quarantena a Robben Island, l’isola-prigione a largo di Città del Capo, dove Nelson Mandela trascorse 19 dei 27 anni della sua prigionia durante l’apartheid. Da pochi giorni il governo sudafricano ha vietato l’ingresso ai passeggeri provenienti dai Paesi ad alto rischio e ha bloccato i voli internazionali della compagnia di bandiera South African Airways. Blocco totale anche per le navi da crociera a cui non verrà garantito l’accesso ai porti di Durban e Città del Capo. Misure estreme prese da quasi l’intero Continente africano che, per difendersi dalla diffusione del coronavirus, ha deciso di isolarsi, almeno per un mese, da Regno Unito, Europa e Stati Uniti.
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RISCHIO fame.
In un continente dove i servizi sanitari sono carenti e frequenti le epidemie (ad esempio dalla Repubblica Democratica del Congo giunge notizia che se ne sta verificando una di morbillo, mentre è sempre alta la guardia per il possibile risorgere di ebola) esplodono sia il fenomeno degli sfollati sia quello della fame.
Gli sfollati sono determinati dai diversi conflitti in atto nel continente (RDC orientale, Sud Sudan, Somalia, Libia, Burkina Faso, Mali, Niger, Nigeria settentrionale, Camerun occidentale…), la fame è la conzseguenza della chiusura delle scuole decretata in molti paesi e, quindi, l’interruzione del servizio mensa che forniva a molti studenti un pasto al giorno.
E’ quanto denuncia il Programma alimentare Mondiale (PAM): «Possiamo insegnare a distanza ma non nutrire a distanza, bisogna trovare delle soluzioni», ha indicato Carmen Burbano, responsabile dell’alimentazione scolastica del Pam. L’Organizzazione dell’Onu stima che la metà dei 18 milioni di scolari ai quali assicura un pasto al giorno in Africa ne sono rimasti privi. I governi degli Stati ricchi stanno mettendo in moto meccanismi speciali di assistenza. Ma nel Sud del mondo, bimbi e ragazzi si trovano senza nulla e si rischia che gli affamati in tutti i Paesi poveri possa ascendere a 300 milioni.
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Insomma, ancora una volta il prezzo più alto per un’epidemia potrebbe esser pagato da chi vive nei Paesi impoveriti di Africa, asia ed America Latina con conseguenze disastrose, come il riesplodere di flussi incontrollati di rifugiati, trasformazione d’una pandemia che da noi potrebbe col tempo esser superata, in qualcosa di endemico e ricorrente, riproposizione della fame in aree già fortemente a rischio.
In questo caso siamo solo all’inizio del capitolo d’una tragedia che deve ancora scriversi, ma che già presenta oscuri presupposti.
PIER LUIGI GIACOMONI