I SUDANESI NON VOGLIONO PIU’ BASHIR (23 Gennaio 2019)
KHARTUM. I Sudanesi non vogliono più esser governati da Omar Hassan al Bashir, l’uomo che da quasi trent’anni fa il bello e il cattivo tempo nel Paese: da circa un mese la popolazione manifesta contro il regime quasi tutti i giorni.
La molla scatenante delle proteste è stata, come spesso avviene, l’adozione d’un pacchetto di provvedimenti d’austerità da parte del Governo per far fronte alla grave crisi economica: svalutazione della moneta nazionale, la lira sudanese, revoca delle sovvenzioni per tener bassi i prezzi dei prodotti di largo consumo, soprattutto pane, benzina e gas per cucinare, e tagli alla spesa pubblica. Le conseguenze non si sono fatte attendere: l’inflazione è divampata, i prezzi sono repentinamente schizzati alle stelle e la rabbia popolare è esplosa: dal 19 dicembre 2018, la popolazione è scesa in piazza per protestare contro il regime e per chiedere le dimissioni del Presidente Omar al-Bashir, al potere dal 1989, quando con un golpe s’impadronì del potere, ha cercato di frenare l’onda che lo stava travolgendo, ricorrendo alla repressione, cercando anche di dividere il fronte delle opposizioni ed accusando Israele d’ingerenza negli affari interni del Sudan per rovesciarlo. Da una parte, le forze di sicurezza hanno avuto mano libera per schiacciare senza pietà la ribellione: secondo le organizzazioni umanitarie le vittime delle proteste sono centinaia, per non parlar dei feriti e degli arrestati, sicuramente nelle mani della polizia che usa spesso e volentieri la tortura. «Sono centinaia gli arrestati, tra cui medici, giornalisti, avvocati e leader dell’opposizione – scrive Human rights watch che aggiunge che finora sarebbero state arrestate 816 persone, secondo dati forniti dal Ministero per l’Interno. Dall’altra, il leader sudanese, mediante un messaggio teletrasmesso, ha annunciato un cospicuo aumento degli stipendi dei pubblici dipendenti e nuovi vantaggi per i funzionari dello Stato. La misura potrebbe esser tardiva, perché è proprio nel settore pubblico che si annida l’opposizione più radicale al regime: chi lavora nella pubblica amministrazione non vede l’ora di togliersi di torno il despota e voltar pagina. Non è la prima volta, in trent’anni di dittatura, che esplode il malcontento popolare: già nel settembre 2013 un’altra ondata di proteste sfociò in una durissima repressione: decine di manifestanti furono uccisi per aver denunciato la tirannia e il malgoverno. ***
Omar Hasan Ahmad al Bashir. L’uomo forte del Sudan, 74 anni, dopo una lunga carriera nelle forze armate, guidò un colpo di Stato militare il 30 Giugno 1989 che rovesciò il governo costituzionale di Sadiq al Mahdi che stava cercando faticosamente di ricomporre l’unità nazionale del Paese tra il Nord arabo e musulmano ed il sud popolato da tribù africane di religione cristiana. Fin dall’inizio, il regime di Bashir si caratterizzò per la sua durezza, soprattutto nei confronti dei non musulmani, decidendo d’imporre la Shariya a tutti. Negli anni Novanta, Khartum arrivò ad ospitare sul suo territorio Osama Bin Laden e svolse per qualche tempo il ruolo di base di al Qaeda. Spicca tra gli avvenimenti del lungo trentennio, la politica di pulizia etnica attuata nel Darfur ai danni delle popolazioni non arabe: le milizie governative e i Janjawid si abbandonarono a distruzioni e devastazioni nella regione, provocando forse 400 mila morti e milioni di sfollati. Per questo motivo nel 2009 contro il padrone del sudan è stato spiccato un mandato d’arresto internazionale dalla Corte Penale dell’Aia: al Bashir è accusato di genocidio e di gravi crimini contro l’umanità. In teoria, tutte le volte che il Presidente esce dal Paese dovrebbe essere arrestato e consegnato al procuratore internazionale. In realtà, il leader sudanese ha potuto compiere indisturbato decine di viaggi all’estero. Nel 2011, Khartum concesse l’indipendenza al Sudan Meridionale che divenne uno Stato indipendente, dilaniato da un’incessante guerra civile. Con questo atto, il regime del Nord perse il controllo di importanti riserve di petrolio, gas ed altre risorse minerarie che costituivano una delle poche entrate di valuta pregiata per un Paese vasto, ma anche impoverito dai molti ed endemici conflitti. ***
Il Sudan. La Repubblica del Sudan, indipendente dal 1° gennaio 1956, occupa un vasto territorio: infatti la sua superfice è di 1.886.068 kmq: si tratta perciò per estensione del secondo Stato africano, dopo la Repubblica Democratica del Congo. Popolato da 39,6 milioni d’abitanti, per lo più di lingua araba e di religione musulmana, il Paese vive soprattutto di esportazioni di materie prime e prodotti agricoli. Negli ultimi decenni la repubblica Popolare cinese ha investito molto nel Paese permettendo al regime di reggersi in piedi: Pechino, infatti, generalmente fa affari in Africa non curandosi molto del rispetto dei diritti umani. ***
Fine di un regime? Il Sudan sta scivolando via dalle mani insanguinate di Al Bashir? Può darsi, per il momento lo scenario che stiamo osservando è quello d’un tipico paese retto da un regime dispotico che sta cercando di scrollarsi di dosso il tiranno per costruirsi un proprio futuro senza di lui. Si vedrà se il malcontento accumulato in decenni di soprusi e violenze sarà sufficiente a porre fine ad una lunga ed opprimente dittatura. Per il momento Omar al Bashir è riuscito a tenersi stretta la poltrona presidenziale che è sicuramente la più sicura risorsa che lo protegge da una possibile traduzione nelle carceri olandesi, ma il futuro è incerto: L’Unione Africana, ad esempio, l’organizzazione che racchiude tutti gli Stati del continente è sempre ostile a qualunque mutamento di regime forse perché nel continente più arretrato sono ancora parecchi i “dinosauri” che si aggrappano al loro potere con tutti i mezzi.
PIER LUIGI GIACOMONI