HAITI SULL’ORLO DELL’ANARCHIA DOPO L’ASSASSINIO DEL PRESIDENTE
(9 Luglio 2021)
PORT-AU-PRINCE. Haiti sull’orlo dell’anarchia dopo l’assassinio del presidente della Repubblica Jovenel Moïse, crivellato da 12 colpi di pistola mercoledì 7 luglio all’una di notte da un commando di mercenari.
Il Capo di Stato, 53 anni, si trovava a letto, nella propria abitazione vicino alla moglie Martine, quando gli assassini hanno fatto l’irruzione omicida.
In un primo momento, sembrava che anche la First Lady fosse morta, poi però si è appreso che era rimasta gravemente ferita: ora si trova a Miami per esser curata.
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JOUVENEL MOISE.
Ex imprenditore ed esportatore di banane, Jovenel Moïse si candida alle presidenziali del 2015 con l’appoggio dell’ex presidente Michel Martelli e inaspettatamente vince: alla consultazione partecipa solo il 15% dell’elettorato e molti parlano di gravi irregolarità commesse durante le operazioni di voto e scrutinio.
In ogni caso, deve attendere più di un anno per poter prestare giuramento: solo nel febbraio 2017 viene ristabilita una parvenza di normalità istituzionale.
tuttavia, proprio quest’anno è scoppiata una nuova crisi politico-istituzionale: il 7 febbraio da diverse parti si sono chieste le dimissioni di Moïse perché, si sosteneva, il suo mandato quinquennale era scaduto.
Questi però è rimasto al suo posto poiché, secondo lui, il quinquennio sarebbe dovuto finire nel 2022: conseguenza, manifestazioni antigovernative, accuse di tentato golpe, crescita della tensione politica.
Peraltro, il Presidente era anche accusato di tentazioni autoritarie: essendo terminato il mandato del parlamento bicamerale, non c’era più nessuna autorità a controllare l’operato dell’esecutivo.
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Questo ingorgo istituzionale è stato complicato anche dalla contemporanea morte del Presidente della Corte suprema, causata dal Covid, che a termini di costituzione, avrebbe dovuto assumere l’interim della presidenza, cosicché, nelle ore successive al delitto, il Primo ministro Claude Joseph, dimissionario, ha assunto i pieni poteri, decretato lo stato d’assedio ed imposto il coprifuoco notturno.
Insomma, un vero caos istituzionale che fa il paio con quello che si registra da mesi nel Paese: se a tutto questo si aggiunge che solo il 5 luglio Moise aveva nominato un Premier, Ariel henry, che non ha preso possesso della carica, ma che la rivendica, definendo abusivo Joseph, si comprende, forse, in quale ginepraio si trovi Haiti e si comprende anche come sia forte il pericolo che il piccolo Stato caraibico possa esplodere in una conflagrazione generale che preoccupa tutti i paesi vicini, Repubblica Dominicana e Stati Uniti in primis.
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HAITI. UNA STORIA INFELICE.
Situata nella parte nordoccidentale dell’isola di Hispaniola, nelle Antille a sud-est di Cuba, Haiti nasce come Stato indipendente nel 1804 a seguito d’una ribellione di schiavi neri contro i coloni bianchi. La Francia che la occupa cerca vanamente di combattere l’insurrezione, ma alla fine, dopo indicibili sofferenze imposte agli schiavi in rivolta, è costretta a cedere.
Proclamata l’indipendenza, Parigi carica sulle spalle della nuova repubblica un grosso peso: un enorme indennizzo da pagare ai coloni espropriati, 150 milioni di franchi. . Haiti non ha i mezzi per pagare cosicché la vertenza rimane aperta, ma questo debito pregiudica le possibilità di sviluppo della nuova repubblica.
Nel XIX secolo, si succedono diversi presidenti che occupano il potere per poco tempo: negli anni Venti Haiti invade la Repubblica Dominicana, ex possedimento spagnolo, che solo nel 1844 ottiene nuovamente l’indipendenza.
Nel XX secolo, sono gli Stati Uniti ad invadere il paese: tra il 1915 e il ’34 Washington controlla direttamente haiti, imponendo una costituzione scritta da Franklin D. Roosevelt, futuro presidente degli Stati Uniti. Gli USA erano intervenuti per stroncare una rivolta della maggioranza nera contro i meticci che detenevano il potere politico ed economico.
Dopo un’altra serie di deboli presidenti, nel 1957 viene eletto François Duvalier, un medico che nel 1964 si autoproclama capo dello Stato a vita.
Papa Doc impone una feroce dittatura fatta di arresti arbitrari, selvagge torture e spoliazione delle risorse a vantaggio d’una ristretta oligarchia: nel 1971 il tiranno muore, ma il suo posto è preso dal figlio Jean Claude, “Baby Doc” che non cambia registro.
Negli anni 80 su iniziativa della Chiesa cattolica e di altre forze della società civile cresce l’opposizione al regime di Baby doc: dopo diverse manifestazioni di piazza, represse nel sangue dai Tonton Macoutte, i pretoriani del despota, il 7 febbraio 1986 Jean Claude Duvalier abbandona Haiti per rifugiarsi in Francia dove trascorrerà un esilio dorato.
L’arrivo della democrazia non significa però per Haiti pace e prosperità: nei decenni successivi è tutto un susseguirsi di colpi di Stato militari, violente campagne elettorali durante le quali scorre il sangue, deboli presidenti che cercano d’imporre la loro dittatura per mantenere le promesse fatte.
Solo durante le due presidenze di René Préval Pérez (1996-2001 e 2006-2011), si raggiunge una certa stabilità, anche grazie alla presenza sul territorio dei caschi blu dell’ONU che garantiscono una certa sicurezza personale alla popolazione.
Il 12 gennaio 2010, però, un disastroso terremoto devasta port-au-prince, provocando 250.000 morti: dopo il sisma scoppia il colera e negli anni successivi il fragile territorio nazionale è percorso da violenti uragani. Questi disastri naturali mettono a nudo la fragilità d’uno Stato sempre sull’orlo dell’anarchia.
Negli ultimi mesi, poi, fiorisce l’industria dei rapimenti: bande di criminali rapiscono individui per averne dei riscatti. Nessuno sfugge al sequestro di persona: haitiani, stranieri, sacerdoti. Le pandillas non si fermano dinanzi a nulla.
Ora l’uccisione d’un Presidente, pur inviso a molti haitiani, pone dei seri interrogativi sul futuro di questo Stato e i vicini sono fortemente preoccupati: la Repubblica Dominicana ha chiuso la frontiera col vicino, gli Stati Uniti temono che riprendano i viaggi della speranza dei balseros haitiani verso le coste della Florida.
Tutti temono che Haiti diventi un altro narcostato: è infatti possibile che gli assassini di Moïse fossero dei killer inviati dai cartelli colombiani della cocaina interessati ad utilizzare la nazione caraibica come base d’appoggio per i loro traffici verso gli USA.
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HAITI. IL PAESE PIU’ POVERO DELL’EMISFERO OCCIDENTALE.
La Repubblica di Haiti occupa una superficie di 27.750 KMQ. ed è abitato da circa 11 milioni di persone.
Gli abitanti parlano prevalentemente il creolo haitiano, una lingua in cui sono presenti termini del francese, eredità della colonizzazione e vocaboli d’origine africana.
Una piccola minoranza, il 10%, si esprime correntemente in francese: il diffuso analfabetismo e la scarsa scolarizzazione hanno ostacolato la propagazione di questa lingua.
Il 98% degli haitiani è di pelle nera, discendenti degli schiavi, ma vi sono anche minoranze di meticci ed europei.
Le religioni più praticate sono il cattolicesimo, diverse fedi d’origine protestante: è diffuso anche il voudou, un rito che si ricollega alle radici africane di molta popolazione.
L’economia nazionale si regge soprattutto sull’agricoltura di sussistenza e sul turismo: i beni esportati all’estero sono zucchero e frutta tropicale.
Secondo gli ultimi dati, il paese è il più povero delle Americhe: occupa il 153o posto nella graduatoria dell’indice di sviluppo umano redatta ogni anno dalle Nazioni Unite: gli avvenimenti di questi giorni rischiano d’impoverirlo sempre più.
Il mezzo di comunicazione di massa più diffuso è la radio: decine di stazioni locali trasmettono musica tropicale ed informazioni sia in francese che in creolo: circa 2 milioni di haitiani frequenta le reti sociali ed internet, tuttavia la diffusione di questo nuovo media è ostacolata dalla carenza d’infrastrutture e dai frequenti blackout elettrici.
Folta è la diaspora all’estero: comunità di emigrati vivono negli Stati Uniti, in Canada e nella Repubblica Dominicana: le rimesse in dollari contribuiscono a tener in piedi un’economia sotto molti aspetti agonizzante. .
Non sono rare a Santo Domingo le aggressioni xenofobe verso questi rifugiati che filtrano dal vicino paese: lo stato di prostrazione economica e sociale ad Haiti spinge molte persone a cercare occasioni di riscatto nella Repubblica Dominicana, dove la vita sembra offrire maggiori opportunità, benché sia in crescita il rifiuto verso l’immigrato.
PIER LUIGI GIACOMONI