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IL GATTO KUNKUSH RITROVA I SUOI PADRONI
(21 febbraio 2016).

OSLO. Tra i migranti che sbarcano nelle isole egee in attesa d’ottenere asilo politico in un qualsiasi Paese europeo ci sono anche i loro animali d’affezione: cani egatti.

Può allora anche capitare che queste bestiole finiscano per ritrovare i loro padroni in una nuova realtà.
Una di queste storie a lieto fine è raccontata dal quotidiano britannico the Guardian: protagonisti sono un bellissimo gattone bianco ed una donna irachena che, fuggita dall’Iraq con le proprie figlie, ha deciso di portar con sé nel suo viaggio verso una nuova vita l’amato felino.

Dalla Turchia, la famiglia si è imbarcata su un gommone per arrivare sulle coste greche e, quindi, proseguire verso il Nord Europa. Durante lo sbarco  sull’isola di Lesbo, a novembre, però, il gatto, impaurito, era fuggito. La famiglia, diretta in Scandinavia, l’aveva cercato per ore, ma
poi era stata costretta a ripartire e ad abbandonarlo sull’isola.

Quando, qualche giorno dopo, il micio è ricomparso, è stato subito riconosciuto da chi aveva aiutato i suoi familiari a cercarlo. In particolare, una ragazza americana, Ashley Anderson, che ha deciso di portare l’animale da un veterinario.

La bestiola stava bene ma, a quel punto, nessuno sapeva dove la famiglia irachena si trovava, né come rintracciarla.

Ashley, però, non s’è data per vinta e da quel momento ha avuto un unico obiettivo: ricongiungere Kunkush ai suoi familiari. Insieme ad un’altra ragazza, Michelle Nhin, ha quindi creato una pagina Facebook
e un account Twitter per diffondere l’appello della ricerca e raccontare – in arabo e in inglese – la sua storia.

Poi, Dias (così era stato soprannominato il felino, in onore del dio greco Zeus) è stato affidato a un’altra volontaria, Amy Shroeder, che l’ha portato in Germania, dove, dato l’alto numero di profughi presenti,
– era più probabile ritrovare chi l’aveva perduto. Grazie al tam tam dei social network (e dei media internazionali che hanno raccontato la sua storia) è arrivato il lieto fine.

La famiglia di Kunkush (questo il vero nome del gatto) l’ha riconosciuto, ha contattato chi l’aveva temporaneamente adottato, alla fine, l’ha riabbracciato. Tra le lacrime di gioia, come mostra un
video diffuso da the Guardian.

«Questa è una storia di speranza – si legge sulla pagina Facebook che ha contribuito a ritrovare la famiglia del micio: dimostra che le barriere che ci separano sono solo quelle che creiamo nella nostra mente. Il potere dell’amore, invece, è reale».

Sono molte le foto che nei mesi scorsi sono arrivate da Grecia, Ungheria, Macedonia, che ritraggono profughi che hanno portato con sè nel lungo viaggio dalla Siria all’Europa anche gatti e cani. E non è la prima volta che, nel viaggio che ha portato centinaia di migliaia di profughi in Europa, è accaduto che
le famiglie fossero separate dai loro animali. Una storia simile a quella raccontata da the Guardian è quella di Fayrouz e della sua gatta Mela. Anche questa ragazza è arrivata dalla Siria via mare: è sbarcata a Lampedusa il 26 agosto 2014 – su un barcone carico di circa 500 persone fra donne e uomini – insieme
alla micia. La felina fu messa in quarantena e Fayrouz fu costretta a proseguire il suo viaggio verso la Svezia, senza poter portare l’animale con sè. Ma
grazie all’interessamento dei volontari della Lav di Ragusa, alla fine, le due si sono ritrovate ed ora abitano nella stessa casa.

Morale? Ognuno tragga la sua: a me fa piacere che due mici  abbian ritrovato, nonostante le peripezie, i loro padroni.

In più, ogni tanto dai mass media non riceviamo solo notizie d’orrori e di stragi, di rifiuti sdegnati di profughi, di muri, di barriere, di fili spinati, di giovani disimpegnati, ma di ragazze che si fan in quattro per riconsegnare ai loro legittimi “proprietari” i loro rispettivi micioni.

PIERLUIGI GIACOMONI

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