FINLANDIA. SANNA MARIN PORTA IL PAESE NELLA NATO MA PERDE LE ELEZIONI
(14 Aprile 2023)
HELSINKI. La prima settimana d’aprile ha portato a Sanna Marin, Premier finlandese, una buona e una cattiva notizia: la buona è la conclusione del percorso d’adesione alla NATO, impostato solo un anno fa, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina; la cattiva, la sconfitta riportata dalla sua coalizione alle elezioni legislative del 2 Aprile.
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CENNI STORICI
La Finlandia ha da sempre relazioni difficili col gigante russo: fin al 1918 il Paese è un ducato vassallo dello Zar di Tutte le Russie,ma nel ’17 scoppiano le rivoluzioni che metteranno fine allo zarismo e proclameranno la repubblica dei soviet. La Finlandia attraversa un breve momento d’infatuazione comunista, ma poi diventa una repubblica democratica che però condivide col vicino più di 1.300 chilometri di frontiera.
Nel 1939, scoppia la guerra tra i due paesi: Stalin vuol impadronirsi dello Stato baltico, ma il generale Mannerhaim vi si oppone anche con l’aiuto di forze tedesche che scendono in campo al suo fianco. Alla fine i finnici perdono la guerra contro Mosca ed una parte del loro territorio vien annessa all’URSS, ma il lungo conflitto armato mette a nudo le inefficienze dell’Armata Rossa confrontata alla determinazione del piccolo esercito finnico.
Finita la guerra, Helsinki sceglie una politica di neutralità: non apparterrà a nessuna alleanza politico-militare, ma sarà, diversamente dagli altri Paesi che confinano con l’URSS, una democrazia pluripartitica.
Neutralità, però, non vuol dire che non si cerchi gradualmente un avvicinamento all’Occidente, verso cui il Paese si sente comunque attratto.
Anzitutto, finita la guerra fredda e dissoltasi l’URSS, Helsinki fa domanda d’adesione all’Unione europea e successivamente adotta l’Euro.
Sul piano militare, al fine di preservare la propria integrità territoriale ed indipendenza nazionale, mantiene in vigore la coscrizione obbligatoria, per cui coloro che han fatto il servizio militare rimangono nella riserva per lungo tempo. Secondo un sondaggio effettuato nel 2021, l’84% degl’intervistati si dichiara disposto a contribuire alla difesa del proprio Paese in prima persona.
Per questo il Governo ha creato una partnership tra autorità, cittadini, imprese e ONG col fine d’incrementare il livello di resistenza ad eventuali minacce esterne: è il concetto di Comprehensive Security che mira a salvaguardare le funzioni vitali della società.
Il paese inoltre spende già per la propria difesa il 2% del PIL, grazie a un netto incremento tra il 2020 e il 2021; nella finanziaria per il ’22 ha investito altri 2 miliardi di euro,
confermando così la tendenza al rialzo: ha inoltre costituito una solida rete di cooperazione in materia di difesa con altri Paesi, sia bilateralmente che multilateralmente.
• in ambito bilaterale, con gli Stati Uniti è stato firmato un accordo per l’acquisto di 64 caccia F-35, così come hanno fatto Norvegia e Svezia nell’area nordica;
• In ambito multilaterale, i finnici hanno esteso la loro cooperazione con UE e Patto atlantico: Dal 2014 sono stati inclusi tra i NATO Enhanced Opportunity Partners insieme alla Svezia, ma anche in gruppi minori quali NORDEFCO (Nordic Defence Cooperation), FNC (Framework Nations Concept), European Intervention Initiative (EI2) e JEF (Joint Expeditionary Force).
Da tutto ciò si comprende come la scelta d’aderire all’alleanza atlantica sia coerente con le scelte fatte in precedenza.
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L’ADESIONE ALLA NATO
Già nel Government’s Defence Report del 2021, Helsinki prende atto che sul piano internazionale va aumentando la tensionee l’insicurezza: la Russia ad esempio vuol estendere la propria area d’influenza in Europa a garanzia dei propri interessi per cui è pronta anche ad usare la forza armata.
Dopo l’invasione dell’Ucraina ad opera dell’esercito di Mosca (24 febbraio 2022), l’opinione pubblica finlandese, tradizionalmente neutralista, abbraccia con slancio l’opzione NATO: ciò spinge la Premier socialdemocratica Sanna Marin e il Presidente conservatore Sauli Niinistö a dichiarare il 12 Maggio ’22 la disponibilità del Paese nordico ad aderire all’alleanza atlantica il più presto possibile.
Il 29 giugno successivo, alla conferenza di Madrid, i leader del Patto invitano Finlandia e Svezia a unirsi alla coalizione occidentale: il 5 Luglio, sono firmati a Bruxelles i protocolli d’accesso dei due Paesi scandinavi.
La parola, a questo punto, passa ai parlamenti degli altri Stati membri, cui spetta la ratifica degli accordi. Qui sorgono i problemi perché lo statuto della NATO prescrive in casi del genere l’unanimità: basta che uno solo dei 30 dica no e il processo d’adesione s’incaglia.
La Turchia, ad esempio, si oppone all’ingresso dei nordici perché in quei Paesi risiedono da tempo dei curdi, accusati da Ankara di far parte del PKK, (Partito dei Lavoratori del Kurdistan); l’Ungheria volentieri si accoda perché è molto amica di Mosca e non è favorevole ad un ampliamento dell’alleanza.
Così, i due parlamenti rinviano di mese in mese la ratifica.
Preso atto che è impossibile per gli scandinavi entrare simultaneamente, ai primi di Marzo ’23, l’Eduskunta, il parlamento finlandese, approva, con 184 sì, 7 no e un’astensione, la risoluzione che chiede di far entrare nella NATO la sola Finlandia, sperando che presto possa tagliare lo stesso traguardo anche l’amica Svezia.
Il 28 Marzo l’Ungheria dice sì, il 30 anche la Turchia rimuove le proprie obiezioni: per Helsinki il 4 Aprile è il gran giorno dell’adesione.
E’ possibile che dopo le elezioni generali del 14 Maggio nel Paese della Mezzaluna possano venir meno gli ostacoli all’entrata di Stoccolma.
Ma il cammino d’avvicinamento di suomen all’alleanza atlantica non è stato al centro dell’attenzione durante la campagna elettorale: il dibattito si è concentrato sulla riduzione della spesa pubblica in modo da ridurre l’indebitamento dello Stato.
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I RISULTATI ELETTORALI
In realtà, a ben guardare l’esito delle legislative, il 2 Aprile i cittadini han dato fiducia al Partito Socialdemocratico, passato in quattro anni dal 17,7% al 19,9% e permettendogli d’acquisire 3 seggi in più rispetto alla precedente camera.
Il vero tracollo ha riguardato gli altri partner della coalizione guidata da Marin: centristi, verdi e sinistra han perso 21 seggi. Ciò rende impossibile la ricostituzione della precedente compagine ed ha indotto la Premier ad annunciare le proprie dimissioni anche dalla leadership del partito.
Sul fronte opposto la Coalizione Nazionale (KOK) e il Partito dei Finlandesi (PS) guadagnano a testa oltre 3 punti percentuali e crescono di 17 seggi.
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LE RAGIONI DELLA SCONFITTA
«Anche se il governo di Sanna Marin ha dovuto dedicarsi soprattutto alla pandemia e alla guerra in Ucraina, ha avuto anche il tempo di fare scelte politiche», commenta il sito della tv pubblica finlandese Yle. «Ha prolungato la scuola dell’obbligo, ha riformato l’assistenza sociale e sanitaria e ha stabilito un ambizioso obiettivo sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Inoltre si è occupato dei diritti delle persone trans e del popolo sami e ha aggiornato le leggi sull’aborto. Il debito pubblico però è cresciuto, a causa degli aiuti concessi durante la pandemia ma anche per l’aumento della spesa pubblica. La vittoria della Coalizione nazionale, che ha fatto del taglio al bilancio la sua priorità, dimostra che per molti finlandesi il debito è diventato la preoccupazione principale». Infatti, Petteri Orpo, il probabile nuovo Primo Ministro, ha accusato Marin di aver indebitato la Finlandia senza assicurare i servizi di base e ha promesso di ridurre il debito, snellire il settore pubblico e far crescere l’economia.
Tuttavia, data la notevole frammentazione dell’arco parlamentare ad Helsinki, sarà necessario formare un esecutivo di coalizione
E’ nella tradizione politica finnica che dopo le elezioni per diverse settimane vi siano degl’incontri tra i diversi partiti per verificare quale sia la formula più stabile.
Non è detto, come ha scritto qualche commentatore frettoloso, che il KOK si coalizzi col PS da cui lo dividono l’opzione per l’europa e il filoatlantismo: è possibile che all’atto concreto si costituisca un esecutivo di cui possano far parte anche i socialdemocratici, oltre che qualche forza minore.
Ciò renderebbe meno radicale la svolta a destra dell’elettorato che pure c’è stata e che si situa in un periodo storico nel quale, quando la gente vota, preferisce spesso ciò che offre la destra a scapito della sinistra, sia moderata che radicale.
PIER LUIGI GIACOMONI