FIDEL CASTRO E LA SUA PESANTE EREDITA’
(27 Novembre 2016)
L’AVANA. Si è spento venerdì scorso fidel alejandro Castro ruz , l’uomo che nel lontanissimo 1959 rovesciò il
regime dittatoriale di fulgencio Batista a Cuba.
Quella rivoluzione fu in primo luogo un moto di liberazione contro un regime che aveva fatto dell’isola caraibica
il bordello degli Stati Uniti ed il luogo dove Cosa Nostra esercitava il suo crudo predominio.
Cuba era, dal 1898, formalmente uno Stato indipendente, ma in realtà era una colonia nordamericana, o più
precisamente un possedimento della mafia.
Se, però, Castro liberò Cuba da quel regime, non la liberò dall’oppressione, dagli arresti arbitrari, dalle lunghe
condanne detentive, dalle esecuzioni capitali.
Se da un lato il castrismo s’impegnò per superare l’analfabetismo cronico, malattie che falciavano la popolazione e
tentò di migliorare la condizione delle classi meno agiate, dall’altro vi impose un regime oppressivo che ha
riprodotto fino ad oggi tutti i limiti tipici del comunismo reale:
• concentrazione del potere politico ed economico in una ristretta oligarchia;
• propaganda strabordante;
• privilegi per pochi e squallore per molti;
• culto della personalità;
• disincentivazione del lavoro;
• imposizione dell’ateismo di Stato;
• gerontocrazia inamovibile;
• stato di polizia.
• alcolismo diffuso;
• mercato nero;
Le stesse sanzioni imposte con caparbia cecità dagli Stati Uniti contribuirono di fatto al consolidamento del
regime permettendogli di giustificare le proprie carenze e le proprie inadeguatezze con gli embarghi imposti da
Washington.
Le sanzioni, infatti, da un lato si abbattono sulle classi meno abbienti , mentre, dall’altro, incoraggiano la
propaganda di regime a suonare la grancassa della retorica nazionalistica.
E tale retorica fu distribuita a piene mani da Fidel Castro che, con la sua oratoria torrentizia, riempiva le
piazze con lunghi discorsi nei quali inneggiava alla resistenza operata dal piccolo popolo cubano contro la
superpotenza statunitense.
La realtà socioeconomica era profondamente diversa e tutti sapevano che senza gli aiuti dell’URSS il “paradiso
della libertà” in salsa caraibica sarebbe miseramente crollato.
E infatti, ritiratosi Fidel, il fratello Raúl ha dovuto attuare diverse riforme, aprire le porte del Paese, far
affluire all’esangue economia gli odiati dollari.
Ora Castro non c’è più e cuba deve fare i conti col proprio futuro e come ha dimostrato la storia dei Paesi
dell’Est europeo non sarà facile passare dal capitalismo di Stato all’economia di mercato ed alla democrazia, dopo
che il regime totalitario ha distrutto per cinquant’anni la società civile e la consuetudine alla libera
discussione tra punti di vista diversi.
Il rischio è che, tramontata la dinastia dei Castro, fra due anni dovrebbe ritirarsi l’86enne Raúl, s’impossessi
del potere il più furbo, il più scaltro, quello che ha saputo impadronirsi delle risorse del Paese e trarne
guadagno.
Il rischio è, in sostanza,quello della dittatura d’un gruppo d’oligarchi, come è accaduto in troppi Paesi ex
comunisti.
E qui si rivela uno dei frutti più amari del comunismo, un frutto che si manifesta al momento del tramonto: il
dominio del potere da parte dei partiti comunisti non libera il proletariato, come credevano Marx ed Engels, dalla
dominazione della borghesia, ma preparano il terreno per il trionfo d’una borghesia affaristica ancora più corrotta
e rapace.
PIER LUIGI GIACOMONI