ETIOPIA SULL’ORLO DELLA GUERRA CIVILE?
(18 Novembre 2020)
ADDIS ABEBA. L’Etiopia è sull’orlo della guerra civile? Da una decina di giorni aspri combattimenti investono lo Stato del Tigray, uno dei nove soggetti che costituiscono la Repubblica Federale etiopica.
A settembre le autorità locali avevano convocato le elezioni per il parlamento autonomo: l’iniziativa è stata interpretata dal governo centrale come un atto di sedizione nei confronti dell’autorità federale che aveva posticipato le elezioni legislative generali e regionali a causa del diffondersi del Coronavirus nell’intero territorio nazionale. La tensione è andata crescendo finché il 4 novembre il Primo Ministro Abiy Ahmed, in carica dall’aprile 2018, d’etnìa oromo ha decretato lo stato d’emergenza e dato il via ai combattimenti tra l’esercito federale e le milizie del TPLF (Tigray People’s Liberation Front), il partito dominante nella regione nord-orientale del paese.
Il Premier in un drammatico discorso telediffuso ha sostenuto che i soldati
tigrini avevano sferrato un attacco contro una base dell’esercito federale.
Addis Abeba ha inoltre imposto il blackout informativo, la sospensione di internet ed ogni altra forma di comunicazione tra il Tigray e il resto del mondo, cosa che rende difficile acquisire informazioni certe e verificabili su quanto sta accadendo.
Sulla base delle notizie che giungono dall’area si può legittimamente affermare che il conflitto va aggravandosi e diviene sempre più feroce.
Così, si è appreso che razzi sono caduti sull’aeroporto di Asmara (Eritrea), mentre, Secondo un rapporto pubblicato da Amnesty International, il 9 novembre, durante la notte, centinaia di persone sono state massacrate con pugnali e machete a Mai-Kadra, località della zona sudoccidentale del Tigray.
«Confermiamo l’uccisione di un gran numero di civili che probabilmente erano lavoratori a giornata senza nessuna relazione con l’offensiva militare in corso.» ha affermato Deprose Muchena, direttore di Amnesty International per l’Africa orientale ed australe.
«Il governo – ha aggiunto – deve ristabilire quanto prima le comunicazioni tra il tigray e il resto del mondo per permettere di verificare e documentare trasparentemente ciò che avviene nell’area interessata dai combattimenti
e garantire alle organizzazioni umanitarie l’accesso alle popolazioni colpite dagli scontri.»
Malgrado siano stati rivolti al governo etiope appelli per il ristabilimento della pace, Abiy Ahmed, 44 anni, capo dell’esecutivo, insignito nel 2019 del Premio Nobel per la Pace, ha detto che è in corso l’offensiva finale per ristabilire la legalità a Macallé, lasciando intendere che le truppe governative non si fermeranno finché non saranno sconfitti i “ribelli tigrini”.
Come ovvio corollario dei combattimenti in atto esplode una grave crisi umanitaria: sono almeno 25mila i profughi già fuggiti in Sudan, Paese confinante col Tigray, metà sono minori: «Dei 25mila profughi passati in Sudan nei tre varchi di frontiera di Hamdayet, Lugdi e Abdarafi – spiega ad avvenire.it il sacerdote eritrèo don Mosè Zerai – almeno il 30% sono eritrei scappati dai 4 campi profughi nel Tigrai, che ne accoglievano circa 100mila. La metà sono minori non accompagnati che proseguiranno verso la Libia».
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TENSIONE MONTANTE.
Dopo la caduta del regime militar-comunista di Mengistu Hailé Mariam (1937) avvenuta nel 1991, il TPLF ha governato l’Etiopia fino al marzo 2018. Con la morte del suo leader Meles Zenawi (1955 – 2012) è avvenuto gradualmente un cambiamento degli equilibri di potere ad Addis Abeba. Nel 2015 violente manifestazioni di piazza travolgono l’esecutivo accusato di corruzione e il 2 aprile 2018 entra in carica Abiy Ahmed (1976) che estromette i tigrini dai principali posti di comando come l’esercito e i ministeri più importanti.
Conseguenza: il TPLF esce dalla coalizione governativa ed a settembre, violando l’ordine centrale che rinviava il rinnovo dei parlamenti ai vari livelli, tiene ugualmente le elezioni locali, stravincendole.
Quello del Tigray non è l’unico grattacapo del Primo Ministro che secondo alcuni non è riuscito a creare una coalizione in grado di formare una base di governo stabile, cosicché il Paese pare un pentolone pronto ad esplodere.
Nel Tigray l’accusano di aver calpestato i diritti della regione con il pretesto di
voler difendere l’unità nazionale; la regione dell’Amhara, è ai ferri corti coi Tigrini per vecchie dispute territoriali e ci sono stati combattimenti al confine tra i due territori; nell’Oromia, dove vive più di un terzo degli etiopi, una parte della popolazione protesta contro Abiy perché pensa che abbia tradito gli interessi del suo gruppo etnico d’origine; nell’Ogaden (sudest) si guarda alla possibile unione con la Somalia.
L’Etiopia, 110 milioni d’abitanti, è un mosaico di etnie che tenta faticosamente di convivere: per salvare l’unità nazionale, il 22 Agosto 1995 è varata una Costituzione federale che consente ai 9 Stati etiopi di avere milizie armate e di avere diritto all’autodeterminazione. Il governo si regge su una coalizione di forze regionali raggruppate nell’Eprdf (Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front). Questo schema va in frantumi con l’avvento di Abiy che fonda il Prosperity Party. In breve, come s’è visto, riemergono le spinte secessioniste delle diverse componenti del Paese.
Il timore ora è che il conflitto possa estendersi al resto del Corno d’Africa rimettendo in discussione equilibri faticosamente raggiunti da poco tempo.
Isaias Afewerki, despota eritrèo, vorrebbe liberarsi del TPLF, il principale ostacolo alla normalizzazione delle relazioni politiche con l’Etiopia; L’Egitto è spettatore interessato a una possibile destabilizzazione dell’Etiopia, dal momento che Addis Abeba progetta di riempire la Grande diga del rinascimento etiopico (GERD), riducendo l’afflusso d’acqua del Nilo che, come noto, alimenta l’agricoltura del colosso arabo.
Anche il Sudan, che sta attraversando una complessa fase politica di transizione dal pluriennale regime militare ad una fragile democrazia, osserva con attenzione quanto avviene ai propri confini meridionali, non solo perché il proprio territorio è interessato dal flusso di profughi, ma anche perché il conflitto in atto potrebbe esser fonte d”ulteriore destabilizzazione dei fragili equilibri interni fin qui raggiunti.
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L’ETIOPIA.
GEOGRAFIA.
La Repubblica Federale Democratica d’Etiopia (EFDR), situata nell’Africa nordorientale, nei pressi del Corno d’Africa, occupa una superficie di 1.104.300 kmq. ed è popolata da 109,2 milioni d’abitanti (2018).
Priva di sbocco al mare, dopo la proclamazione dell’indipendenza dell’Eritrèa (1993), oltre che confinare con quest’ultima (nord), è vicina a Gibuti (nordest), Somalia (est), Kenya (sud), Sudan meridionale (ovest) e Sudan (nordovest).
La capitale, Addis Abeba, abitata secondo le stime più aggiornate, da 3,4 milioni di persone, è la sede dell’unione africana (UA), l’organizzazione continentale di cui fanno parte tutti gli Stati del continente: essa fu fondata nel 1963 subito dopo la proclamazione dell’indipendenza di molti territori ex coloniali.
allora il suo obiettivo fondamentale era condurre il continente ad un’unità politica (panafricanismo): infatti il suo nome originario era Organizzazione per l’Unità Africana (OUA).
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LINGUE E RELIGIONI.
Le lingue ufficiali sono Afar, Amarico, Inglese, Oromo, Somalo, Tigrino; si parlano anche l’Harari e il Sidama.
I gruppi etnici più importanti sono, secondo stime del 2012:
Oromo (34,6%), Amhara (27,1%), Somalo (6,1%), Tigrino (6,1%), Sidama (4%),
Gurage (2,5%), Welayta (2,3%), Hadiya (1,7%), Afar (1,7%), Gamo (1,5%).
Le religioni maggiormente praticate sono: Cristianesimo (62,8%), (ortodossi, 43,5%, pentecostali, 18,6%, Cattolici 0,7%), Islam, 33,9%, culti tradizionali, 2,6%.
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ASSETTO ISTITUZIONALE.
Lo Stato è una repubblica federale parlamentare in cui la figura politica più importante è il Primo Ministro che forma e presiede il Governo.
Il potere legislativo è esercitato da due camere che insieme compongono l’Assemblea Parlamentare Federale.
La Camera alta è quella della federazione; la bassa è la camera dei Rappresentanti del Popolo.
Il Presidente della Repubblica, attualmente la signora Sahle-Work Zewde, svolge un ruolo rappresentativo, mentre la magistratura è indipendente dagli altri poteri.
Il territorio nazionale è suddiviso in 9 regioni autonome che, secondo l’art. 39 della costituzione, possono anche proclamare la secessione dalla Repubblica.
Ogni kilil è a base etnica: Addis Abeba e Dire Daua sono città autonome
Ognuna di queste aree è governata dal Consiglio regionale, i cui membri sono eletti a suffragio universale: i consiglieri, a loro volta, eleggono un comitato esecutivo che governa il territorio.
Le regioni e le città autonome sono
Addis Abeba, Afar, Amhara, Benishangul-Gumuz, Dire Daua, Gambela, Harari, Oromia, Somali, Regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud, Tigray, Zone speciali numerate.
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ECONOMIA.
L’economia si fonda soprattutto sull’agricoltura, alcune industrie tessili e meccaniche e sull’esportazione di caffè e prodotti minerari. con la creazione d’una serie di dighe il paese vorrebbe vendere ai vicini corrente elettrica, mentre sembra che le regioni meridionali situate al confine col Kenya siano ricche di petrolio.
In questi ultimi vent’anni il PIL è cresciuto prepotentemente, ma l’Etiopia rimane un paese povero anche a causa delle frequenti siccità che affliggono l’agricoltura.
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MEDIA E LIBERTA’ DI STAMPA.
Dal 2018 in Etiopia è sbocciata la stagione della libertà di stampa: i giornalisti in prigione sono stati liberati, mentre chi si trovava in esilio è rientrato: sono stati riaperti centinaia di siti web chiusi dalle autorità.
Prima del cambio d’esecutivo, l’Etiopia era additata come uno dei Paesi con la più limitata libertà d’espressione: la legislazione sull’antiterrorismo criminalizzava tutti i gruppi d’opposizione e nel 2016 Addis Abeba impose lo stato d’emergenza che limitava fortemente l’attività dei mezzi d’informazione.
La Radio è il mass-media più importante: raggiunge le aree rurali dove vivono molti etiopici.
La stampa scritta è diffusa tra le élites urbanizzate che sanno leggere; gli internauti sono 16,4 milioni (2017) secondo Internetworldstats.com.
PIER LUIGI GIACOMONI