Please follow and like us:

ELLY SCHLEIN ELETTA SEGRETARIA: MUORE IL PD DEL LINGOTTO
(5 Marzo 2023)

ROMA. Elena Ethel Schlein, detta Elly, 37 anni, è da domenica 26 febbraio la nona segretaria nazionale del PD: sulla base dei risultati definitivi diffusi lunedì 27 dal nazareno, ha ricevuto 587.010 voti, ovvero il 53,75%. Per Bonaccini 505.032 preferenze, il 46,25%: i votanti sono stati 1.098.623.

La nuova segretaria si afferma complessivamente in 12 regioni su 20 e 69 province contro 41 vinte dall’avversario.

La sua vittoria è netta, ma non schiacciante considerato che tra lei e Bonaccini ci sono 8 punti percentuali e meno di 90mila voti di differenza: altri candidati alla segreteria come Renzi e Zingaretti, per citare solo i più recenti, ottennero percentuali ben più sonanti.

Senza contare che il numero totale dei votanti è il più basso da quando si tengono questo genere di votazioni.

«Per spiegare il risultato conclusivo – scrive Ilvo Diamanti[1] – è interessante osservare la mappa del voto, realizzata dall’Osservatorio elettorale di LaPolis (Univ. di Urbino-Demos) su base provinciale. Il sostegno a Bonaccini ha un’impronta chiara. Marcata da due aree principali. Anzitutto, l’Emilia- Romagna. In primo luogo, a Modena, la provincia di Bonaccini. Inoltre, alcune zone del Centro. La seconda “area di forza” è il Centro- Sud. Mezzogiorno. Soprattutto, Molise, Puglia, Calabria e Campania. In particolare, la Provincia di Salerno, grazie al sostegno del Presidente Vincenzo De Luca. Bonaccini si è, inoltre, affermato in Sardegna, come, di misura, in Abruzzo. Nel resto del Paese si è votato prevalentemente per Schlein. Soprattutto nel Nord. In Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Ma soprattutto in Friuli-Venezia Giulia. A Trieste. Elly Schlein si è affermata anche scendendo verso il Centro e il Sud. In Toscana, in Umbria, nel Lazio e nelle Marche. Inoltre, si è imposta in gran parte della Sicilia e in alcune province della Sardegna. Compresa Cagliari.»

Inoltre, aggiungiamo noi, ha vinto in molte grandi città e nelle loro aree metropolitane: Milano, Roma, Napoli, Bologna… con quasi il 70%; Bonaccini invece si è imposto in provincia e nei piccoli centri.

In buona misura si può dire che coloro che si sono riconosciuti nel Presidente della Regione Emilia-Romagna sono forse persone relativamente più conservatrici, che apprezzano la buona amministrazione, che temono i salti nel buio; quanti si riconoscono in Schlein pensano invece che il PD e la politica italiana abbia bisogno d’uno scossone, d’un profondo cambiamento, d’una nuova rottamazione dei gruppi dirigenti del Centro-sinistra, spesso chiamato a governare, ma incapace di vincer le elezioni.

***

«NON CI HANNO VISTO ARRIVARE»

Commentando la sua elezione, Schlein domenica sera ha detto davanti ai suoi supporter: «non ci hanno visto arrivare!».

In effetti tutti i sondaggi fatti prima del voto prevedevano una vittoria facile del Governatore emiliano anche perché, e questa è una novità senza precedenti, il candidato vincitore dei congressi di circolo in passato riceveva la sua consacrazione col voto delle primarie.

E’ accaduto con Bersani (2009, Renzi (2013 e ’17) ed infine con Zingaretti (’19).

Stavolta no: Schlein era uscita distanziata dai congressi di circolo di quasi venti punti percentuali.

«Diciamo le cose come stanno: – scrive l’Huffington Post[2] – questo voto che ha portato Elly Schlein ad essere la prima segretaria donna del Pd, non è un normale avvicendamento. E’ una cesura radicale nella storia del Pd: c’è un prima e un dopo, per quello che significa.»

Il prima, diciamo noi che abbiamo aderito a questo partito dalla sua fondazione fino al 2021, è un partito che provava a metter a frutto la pur fragile esperienza dell’Ulivo e soprattutto a metter in pratica la fusione di culture politiche che si erano combattute per tutto il Novecento: quella cattolico-democratica e quella social-comunista.

Quel progetto era sintetizzato nel discorso del Lingotto[3] pronunciato da Walter Veltroni il 27 giugno 2007, pochi mesi prima d’esser eletto segretario del nuovo partito con le primarie del 14 ottobre successivo. Con esso Veltroni poneva come primo punto all’ordine del giorno «Riunire l’Italia, farla sentire di nuovo una grande nazione, cosciente e orgogliosa di sé» nel momento in cui soffiavano ancora forte i venti del separatismo leghista e di una politica, condotta soprattutto dal centro-destra guidato da Silvio Berlusconi che voleva dividere il paese.

«Unire gli italiani – disse Veltroni – unire ciò che oggi viene contrapposto: Nord e Sud, giovani e anziani, operai e lavoratori autonomi.

Ridare speranza ai nuovi italiani, ai ragazzi di questo Paese convinti, per la prima volta dal dopoguerra, che il futuro faccia paura, che il loro destino sia l’insicurezza sociale e personale.

Per questo nasce il Partito democratico. Che si chiamerà così. A indicare un’identità che si definisce con la più grande conquista del Novecento: la coscienza che le comunità umane possono esistere e convivere solo con la libertà individuale e collettiva, con la piena libertà delle idee e la libertà di intraprendere.
Con la libertà intrecciata alla giustizia sociale e all’irrinunciabile tensione all’uguaglianza degli individui, che oggi vuol dire garanzia delle stesse opportunità per ognuno.

Il Partito democratico, il partito di chi crede che la crescita economica e l’equa ripartizione della ricchezza non siano obiettivi in conflitto, e che senza l’una non vi potrà essere l’altra.

Il Partito democratico, il partito dell’innovazione, del cambiamento realistico e radicale, della sfida ai conservatorismi, di destra e di sinistra, che paralizzano il nostro Paese.

Il Partito democratico, il partito che dovrà dare l’ultima spallata a quel muro che per troppo tempo ha resistito e che ha ostacolato la piena irruzione della soggettività femminile nella decisione politica e nella vita del Paese. La rivoluzione delle donne ha affermato in tutte le culture politiche il principio del riconoscimento della differenza di genere come elemento costitutivo di una democrazia moderna. E’ questa esperienza che dovrà essere decisiva,
fin dal momento della fondazione del nostro partito.

Il Partito democratico, un partito che nasce dalla confluenza di grandi storie politiche, culturali, umane. Che nasce avendo dentro di sé l’eredità di quelle formazioni che hanno restituito la libertà agli italiani, di quelle donne e di quegli uomini che hanno pagato con il carcere e con la propria vita il sogno di dare ad altri la libertà perduta. Quelle formazioni che hanno fatto crescere l’Italia e gli italiani, che hanno portato il nostro Paese a trasformarsi
da una comunità sconfitta a una delle nazioni che siedono a pieno titolo al tavolo dei grandi della Terra: quanta strada è stata fatta, da quando Alcide De Gasperi, alla Conferenza di Pace di Parigi, si rivolgeva al mondo che lo ascoltava dicendo: “Tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”. Quelle formazioni che hanno combattuto il terrorismo e l’hanno sconfitto.

Ma il Partito Democratico non è la pura conclusione di un cammino. Se lo fosse, o se si raccontasse così, inchioderebbe se stesso al passato.

Invece, ciò di cui l’Italia ha bisogno è un partito del nuovo millennio. Una forza del cambiamento, libera da ideologismi, libera dall’obbligo di apparire, di volta in volta, moderata o estremista per legittimare o cancellare la propria storia. Un partito che non nasce dal nulla, e insieme un partito del tutto
nuovo. […]

Il Partito democratico, un partito aperto che si propone, perché vuole e ne ha bisogno, di affascinare quei milioni di italiani che credono nei valori dell’innovazione, del talento, del merito, delle pari opportunità. Quei milioni di italiani che nelle imprese, negli uffici e nelle fabbriche dove lavorano, nelle scuole dove insegnano, sentono di voler fare qualcosa per il loro Paese, per i loro figli. Quei milioni di italiani che si impegnano nel volontariato,
che fanno vivere esperienze quotidiane e concrete di solidarietà. Quei milioni di italiani che trovano la politica chiusa, e che se provano ad avvicinarsi ad essa è più facile che si imbattano nella richiesta di aderire ad una corrente o ad un gruppo di potere, piuttosto che a un’idea, ad un progetto.

***

IL PD DI SCHLEIN

Il dopo è il PD che elegge Schlein, una persona che ne era uscita nel 2014 dopo esser stata eletta al Parlamento europeo ed ha preso la tessera solo tre mesi fa per potersi candidare alla segreteria.

Quali sono però i motivi che han indotto quasi 600mila persone a votare l’ex vicepresidente della Regione Emilia-Romagna approdata in ottobre al parlamento nazionale?

Ridiamo la parola all’HuffPost che ne fa un’analisi a caldo:

«C’è qualcosa di più profondo in questa vittoria della Schlein, espressione, finora, di un certo radicalismo parolaio e radicale. Molto incentrato sui diritti, poco sulla questione sociale: più Zan che Mélénchon, in un paese in cui Cipputi e il ceto medio piegato dalla crisi e dalla globalizzazione ha votato la destra e non è stato oggetto del peggior congresso del Pd, come qualità del dibattito, dopo la peggiore sconfitta dal dopoguerra. C’è, innanzitutto, il “tema donna”, figlio dei tempi. In un certo senso è l’effetto Meloni, prima donna ad aver rotto il tetto di cristallo dell’accesso al potere dell’altra metà del cielo, per cui Schlein rappresenta l’anti-Giorgia, “donna che ama una donna, e non per questo è meno donna”. Meccanismo perfetto e scorciatoia narrativa per cui nell’anti-melonismo c’è una nuova vittoria del melonismo, intesa come effetto emulativo e – è politicamente scorretto dirlo – subalternità culturale.

C’è poi, ed è un tema antico, la reazione emotiva, per cui – è accaduto spesso nella storia – il populismo di destra crea un riflesso di radicalizzazione a sinistra, tutto identitario e anche un po’ minoritario, per cui ci si stringe attorno ad antiche certezze: l’antifascismo, il ritorno ad antiche, quanto rassicuranti, parole d’ordine, insomma, la sinistra che torna ad essere sinistra. […] Per come nato – l’idea di coniugare riformismo e radicalità, l’idea di parlare al paese partendo da un ancoraggio politico e sociale, insomma il Lingotto come simbolo del lavoro e dell’impresa che innova, della migliore cultura del movimento operaio e dell’azionismo – quel Pd non c’è più. La vittoria di Elly Schlein rappresenta uno slittamento verso un certo populismo radicale che proietta interamente il Pd nel rapporto esclusivo con i Cinque stelle, si vedrà se in posizione egemone o subalterna. Il primo dossier da tenere d’occhio sarà proprio la collocazione internazionale sull’Ucraina.»

E su quest’argomento infatti la mozione Schlein è sfuggente, quasi che non voglia ancora prender le distanze dall’atlantismo perseguito dal segretario uscente e dalla condivisione della linea seguita dal governo Draghi, esecutivo di cui il PD era parte essenziale.

Nella mozione congressuale a sostegno della candidatura Schlein si legge a P. 25:[5]

«L’imperialismo di Putin non ha solo riportato la guerra in Europa, ma ha accentuato la tendenza alla divisione in blocchi alimentando la retorica dell’Occidente contro resto del mondo. […] Per proteggere le nostre democrazie, non possiamo girarci da un’altra parte di fronte ai popoli sempre più oppressi da regimi autoritari, violenti, che negano i diritti fondamentali e le libertà. […] Il sostegno di tanti Paesi ha permesso all’Ucraina di continuare a esistere senza capitolare. Serve un maggiore sforzo politico e diplomatico dell’Unione europea, insieme ai nostri alleati e in seno alla Comunità internazionale, per creare le condizioni che portino ad un cessate il fuoco e all’avvio di una Conferenza di pace multilaterale che possa portare alla fine della guerra. Sosteniamo e sosterremo il popolo ucraino con ogni forma di assistenza necessaria a difendersi, per ristabilire il diritto internazionale e i principi su cui si fonda la convivenza pacifica fra i popoli. Senza però rinunciare alla nostra convinzione che le armi non risolvano i conflitti, e che non possiamo attendere che cada l’ultimo fucile per costruire la via di una pace giusta.»

Per il momento, quindi, il PD nella versione schleiniana non voterà contro l’invio di armi a Kiev, qualora il Governo chieda alle Camere di esprimersi.

Su altre questioni programmatiche c’è più nettezza: diritto all’aborto per tutti, matrimonio universale, cannabis legale. In campo fiscale la patrimoniale. In ambito lavorativo il ripristino dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (1970), la riduzione degli orari di lavoro, il salario minimo garantito.

Alcune di queste proposte sono feticci tradizionali della sinistra che in passato non hanno impedito licenziamenti, altre sono novità degli ultimi anni e fanno riferimento a provvedimenti adottati nei pochi Paesi che han governi di sinistra, come Spagna e Portogallo, ma che non tengono conto proprio della complessità del mondo in cui viviamo e della globalizzazione in cui siamo immersi.

In questo modo forse non è stato rifondato, come ha detto qualcuno il partito comunista, ma una forza politica che non ha lo stesso slancio ideale, la stessa vivida speranza nel domani che traspirava dalle parole di Veltroni del 2007:

Così, ha buon gioco Matteo Renzi quando scrive nell’Enews 866[6] che il «PD diventa un partito di sinistra-sinistra che compete direttamente con il Movimento Cinque Stelle e assorbe i partitini di sinistra radicale.
Non si tratta di esprimere un giudizio di merito, dire se si è d’accordo o meno: è un dato di fatto che la vittoria di Schlein cambia la pelle del PD. […]

il PD del JobsAct e degli 80€, di Industria 4.0 e dello sblocca italia, del garantismo e delle riforme su diritti civili e sociali non c’è più.
[…] A questo nuovo PD che parla un linguaggio diverso sul reddito di cittadinanza, sul nucleare, sulla politica estera, sulle tasse non possiamo che augurare buon lavoro con il rispetto di chi vede finalmente chiarito che ci sono due strade diverse.»

***

FINE DI UNA STORIA

Negli anni Novanta prodi ed altri immaginavano che dopo la fine della guerra fredda e il crollo della repubblica dei partiti nata negli anni quaranta si potesse fondare un sistema politico costruito su un sostanziale bipolarismo: da una parte il polo di centro-destra che raggruppava in sé tutti i conservatori, anche i nazionalisti più radicali, dall’altra un polo democratico-progressista in cui sarebbero confluite quelle forze cattoliche,socialiste, ez comuniste, ambientaliste…. che nella prima fase repubblicana si erano perloppiù combattute.

Il polo di centro-destra dal 1994 esiste ed è al governo, quello di centro-sinistra si è andato sfaldando con diverse scissioni ed irruzioni di forze nuove come il Movimento 5 Stelle.

Il PD di Elly Schlein sembra non credere più alla fusione di diversi orientamenti culturali: pare preferire un’omogeneità che facilmente produrrà nuovi scismi.

Si vedrà se sarà in grado di costruire unità o se sarà fonte di nuove discordie tra massimalisti e riformisti come diversi segnali fanno supporre.

Per quanto ci riguarda, l’esperienza nel PD è comclusa: abbiamo abbandonato quel partito a fine 2021 ed osserviamo ciò che accade con interesse ma anche con distacco.

PIER LUIGI GIACOMONI

***

NOTE:

[1] I. Diamanti: Mappe, Spinta dalle città e dal campo largo così Elly ha sorpreso anche i sondaggisti, La Repubblica, 1 Marzo 2023
[2] A. De Angelis, Elly Schlein, una leadership e tre enigmi, Huffpost italia, 27 Febbraio 2023
https://www.huffingtonpost.it/politica/2023/02/27/news/schlein-11453739/
[3] W. Veltroni, “Un’Italia unita, moderna e giusta”, Torino, 27 Giugno 2007
[4] A. De Angelis, Elly Schlein, una leadership e tre enigmi, cit
[5] Mozione congressuale a supporto della candidatura di Elly Schlein a Segretaria nazionale del Partito Democratico, P. 25
[6] M. Renzi, Enews 866, 28 Febbraio 2023
https://www.matteorenzi.it/enews_866_martedi_28_febbraio

Please follow and like us: