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EDITORIALE: IL SILENZIO ELETTORALE
(3 Marzo 2018)

urna elettoraleelezioni  italianeROMA. Finalmente è calato il silenzio elettorale: ieri, venerdì 2 marzo alle 24 è terminata ufficialmente la campagna per le elezioni politiche generali. Oggi non si può più far propaganda perché l’elettore, soprattutto

quello ancora incerto, deve avere la possibilità di riflettere e deve poterlo fare senza esser sollecitato da appelli, discorsi, comizi, spot.

Possono bastare a chiarire le idee, se uno non ne avesse già avuto abbastanza i manifesti per strada.

Qualcuno ritiene questa norma, introdotta negli anni Cinquanta, anacronistica perché, si dice, nell’epoca delle reti sociali e delle mille TV via digitale terrestre, non è possibile impedire al fiume di parole di erompere.

In più, non di rado i partiti posseggono vasti indirizzari per cui posson raggiunger i loro simpatizzanti con email e sms.

Ed è pur vero che vi sono consolidate democrazie come l’americana o la britannica dove non vi è alcuna vera

limitazione alla propaganda elettorale: anzi,in quei Paesi i sondaggi d’opinione vengono divulgati anche ad urne aperte.

In Italia no: negli ultimi quindici giorni precedenti il voto non si posson pubblicare gli esiti delle indagini demoscopiche e il giorno precedente al voto cala il silenzio: all’elettore, cui dopo tutto è demandata la scelta, è

accordato un tempo nel quale può valutare, soppesare le diverse proposte e poi, responsabilmente, con deliberato consiglio e piena vertenza, esprimersi.

Tutto vero, eppure io considero il silenzio elettorale un diritto di ogni cittadino che deve avere la possibilità di far silenzio dentro se stesso e decidere. Non è possibile fare una scelta se intorno a noi c’è chiasso, se le

voci si sommano l’una all’altra, se le promesse si fanno mirabolanti.

Il silenzio lo richiediamo, generalmente, prima di firmare un contratto impegnativo, prima di compiere un passo importante nella nostra vita, prima diconfessare i nostri peccati, perché non dovremmo desiderare un po’ di calma

prima di votare? Perché non dovremmo pretendere d’esser lasciati in pace prima di tracciare un segno che potrebbe determinare il nostro e l’altrui destino?

Questo, per me, è il senso d’una norma certamente dal sapore antico, ma che conserva tuttavia un suo valore soprattutto, oggi che viviamo immersi dai suoni incessanti d’una società che teme il silenzio e la riflessione e

preferisce sostituirli col fracasso d’un Carnevale senza fine.

Che almeno in questo eterno frastuono ci sia un momento, allora, di incontro con se stessi alla vigilia d’un passo importante, quanto lo è il voto da dare per le elezioni politiche generali.

PIER LUIGI GIACOMONI

 

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