EDITORIALE. SE 945 PAION TROPPI
(16 Settembre 2020)

ROMA. I prossimi 20 e 21 settembre l’elettorato italiano sarà chiamato a confermare la deliberazione assunta dalle camere che, con una legge costituzionale, hanno modificato gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione.

Se prevarranno i sì, a partire dalla prossima legislatura (al più tardi nella primavera 2023) le due Camere del parlamento italiano dimagriranno notevolmente:

• la Camera dei Deputati passerà dagli attuali 630 componenti a 400;
• il Senato della Repubblica scenderà da 315 a 200 eletti.

Complessivamente, il nuovo parlamento sarà composto da 600 membri, al posto degli attuali 945: ad essi si devono aggiungere i senatori di diritto, cioè i Presidenti emeriti della Repubblica, ed i senatori a vita.

Al presente si parla complessivamente di sei persone.

Quindi i membri dell’eventuale futuro Parlamento sarebbero 606.

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SE PASSERA’ LA RIFORMA.

Più nel dettaglio, la Camera dei Deputati sarà eletta per 392 dei suoi membri dagli italiani residenti in patria, mentre 8 saranno designati dalla diaspora.

Un deputato spetta di diritto alla Valle d’Aosta e due alla minoranza tedesca dell’Alto Adige-SüdTirol.

Al Senato: 196 saranno eletti in Italia e 4 proverranno dalla diaspora. Le modifiche proposte nella legge costituzionale, sottoposta a referendum prevedono che la Valle d’aosta abbia un proprio seggio specifico.

Il resto dei senatori saranno eletti, come stabilisce la Costituzione su base regionale in modo da garantire una rappresentanza adeguata all’entità delle singole regioni. Il minimo di senatori passa da 7 a 3 e riguarda le aree più piccole, come Molise e Basilicata, ma anche le altre regioni subiranno una considerevole sforbiciata.

Se prevarranno i no tutto rimarrà come adesso e non vi saranno cambiamenti.

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LE RAGIONI DEL SI’.

1. UN PARLAMENTO PIU’ SNELLO.

Da molti anni si discute in Italia di ridurre il numero dei parlamentari e diversi partiti hanno proposto leggi costituzionali che fissavano per l’appunto i componenti delle due assemblee ad un numero più basso rispetto alla situazione attuale, andando in qualche modo incontro alla richiesta nata dai cittadini d’avere un parlamento più snello.

Il PD tra il 2008 ed il ’10 aveva avanzato delle proposte che andavano nella direzione della leggina oggi in discussione, altrettanto hanno proposto altri partiti di centro-destra.

La riforma costituzionale del 2016 cestinata col referendum del 4 Dicembre di quell’anno prevedeva una Camera di 630 membri ed un Senato di 100.

Probabilmente, una riduzione del numero dei parlamentari troppo timida, ma il parlamento che quella legge configurava era formato da un’assemblea eletta dai cittadini ed una designata da regioni e comuni.

Oggi ciò che ci si prefigge è un taglio netto delle due assemblee tenuto conto che in Italia oltre alle due Camere nazionali, i Consigli regionali e la stessa Unione europea, tramite l’assemblea di Strasburgo producono parecchie leggi.

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2. RIDUZIONE DELLA RAPPRESENTANZA.

I critici della leggina sostengono che la cura dimagrante progettata crea un parlamento poco rappresentativo ed introduce di fatto una quota di sbarramento per le forze politiche minori insuperabile.

E’ una tesi difficilmente sostenibile: in tutte le democrazie occidentali si sono istituite delle forme di sbarramento per le liste con minore seguito popolare, per evitare la frammentazione politica.

Del resto, diversi esempi stanno lì a dimostrare che quando garantisci a tutti almeno un seggio chi ne soffre è la funzionalità dell’organo e la stabilità degli esecutivi.

Vediamo alcuni esempi recenti:

A. In Israele tra il 2019 e quest’anno si sono tenute tre elezioni legislative in rapida successione.

La 21a e 22a Knesset, uscite dalle consultazioni del 9 aprile e del 17 settembre 2019, non sono riuscite a costituire una maggioranza di 61 seggi, sufficiente a dar la fiducia ad un governo.

di conseguenza, elezioni generali il 2 marzo 2020, nuove estenuanti trattative tra i partiti, scissioni tra i gruppi parlamentari ed alla fine un governo che non si sa se arriverà a fine mandato nel 2024.

In israele vige un sistema proporzionale con uno sbarramento del 3,25% facilmente aggirabile creando delle coalizioni buone per entrare in parlamento che poi si sciolgono subito dopo.

B. In Spagna tra il 2016 ed il ‘
19 si sono tenute quattro elezioni generali in rapida successione: due nel ’16 e due nel ‘
19 a distanza di pochissimi mesi l’una dall’altra.

I governi nati dopo il secondo scrutinio sono risultati instabili, così come lo è l’attuale sempre sull’orlo di una crisi deflagrante.

In Spagna vige un sistema semiproporzionale che favorisce i partiti maggiori, assicurando un premio di governabilità a condizione che raccolgano almeno il 40% circa dei voti. Oggi è in atto una tale parcellizzazione partitica che i governi faticano a nascere e a realizzare i programmi che si sono prefissi.

C. In Belgio dal 1° dicembre 2018 il governo è dimissionario: dopo le elezioni legislative del maggio 2019 sono iniziate complesse trattative tra le forze politiche che non hanno condotto alla formazione d’un esecutivo in pienezza di poteri.

All’attuale governo sono stati attribuiti poteri speciali per far fronte all’emergenza epidemica, ma il Re prosegue ad affidare incarichi e preincarichi per giungere prima o poi alla costituzione d’un esecutivo dotato di sufficiente autorità per guidare il paese.

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I SISTEMI POLITICO-ISTITUZIONALI DEI PAESI PIU’ SIMILI AL NOSTRO.

Qual è allora la situazione politico-istituzionale nei Paesi con cui ci rapportiamo e confrontiamo più spesso?

Vediamo come stanno le cose:

A. In Germania (83 milioni d’abitanti) il BundesTag ha un numero variabile di componenti: si va da un minimo di 598 ad oltre 700.
(il BundesTag attuale si compone di 709 membri, ma il prossimo potrebbe esser più piccolo).

Il motivo di questa variabilità nel numero è dovuto al sistema elettorale: 299 deputati sono eletti col sistema uninominale, gli altri con metodo semiproporzionale (con sbarramento al 5%).

La legge elettorale tedesca prevede che i seggi dell’assemblea vengano incrementati in modo che la rappresentanza dei partiti minori coincida con la percentuale di voti raccolti dalle diverse liste).

Di qui, la forma a fisarmonica del parlamento di Berlino.

Il Senato in Germania non esiste perché il bundesRat si compone di delegati nominati dai governi delle 16 tra regioni e città-Stato: i premier dei länder presiedono l’assemblea con un mandato di un anno.

B. In Francia (65 milioni) l’Assemblea Nazionale si compone di 577 membri eletti nell’Esagono e nei DOM e TOM a suffragio universale diretto.

Il sistema di voto è il maggioritario puro a doppio turno.

Il Senato (348 membri) è nominato dai consiglieri comunali, provinciali e regionali, nonché dall’assemblea dei francesi all’estero ed è rinnovato per metà dei suoi componenti ogni tre anni.

Dato il sistema elettorale in vigore in Francia ognuna delle 577 circoscrizioni è rappresentata a Palais Bourbon da un unico partito o coalizione.

C. Nel Regno Unito (65 milioni) la Camera dei Comuni si compone di 650 membri eletti ogni cinque anni circa a suffragio universale col sistema elettorale del first-past-the-post: il candidato che il giorno delle elezioni riporta il maggior numero di voti in ciascuna circoscrizione è eletto.

Non è previsto ballottaggio ed i partiti corrono ognuno per conto proprio al fine di massimizzare i seggi.

La Camera dei Lords (830 membri) è composta da persone nominate dal sovrano e rimangono in carica a vita.

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FUORI D’EUROPA.

Fuori d’Europa vi sono paesi con un numero ancor più alto di cittadini con parlamenti relativamente più piccoli.

Qualche esempio tra i tanti:

A. Negli Stati Uniti d’america (320 milioni) la Camera dei Rappresentanti si compone di 435 membri, mentre il Senato ne ha solo 100;

B. In India (1,3 miliardi) la Lok Sabha (camera del Popolo) si compone di 543 membri, mentre la Rahya Sabha (camera degli Stati) ne ha 234;

La prima è eletta a suffragio universale, la seconda dalle autorità locali dei 29 Stati e 7 Territori che compongono l’Unione con capitale New Delhi.

C. In Brasile (200 milioni) la camera bassa si compone di 510 membri mentre il Senato ne ha 81.
(tre per ognuno dei 27 stati della Repubblica Federativa)

D. In Cina (1,5 miliardi) il Congresso nazionale del Popolo cinese è costituito da circa 3000 delegati, ma il loro compito è puramente decorativo perché devono approvare decisioni già prese dal partito Comunista.

Essi sono comunque eletti dalle assemblee provinciali e vengono convocati per due settimane all’anno: tra una sessione e l’altra dell’abnorme assemblea, il praesidium fa le veci del Congresso popolare.

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CIO’ CHE NON VA BENE NEL NOSTRO SISTEMA POLITICO.

UN PARLAMENTO PIENO DI PASSACARTE.

«A fronte – scrive Salvatore Vassallo, politologo ed ex deputato PD – di pochissimi super-competenti iperattivi, buona parte dei 945 parlamentari italiani svolgono funzioni routinarie, votano a comando dei segretari d’aula e dei capigruppo di commissione del loro partito, sottoscrivono progetti di legge e interrogazioni elaborati da altri, hanno rapporti con segmenti quantitativamente irrilevanti dell’elettorato. Questo non avviene solo per la loro scarsa competenza, ma anche perché sono troppi rispetto alle funzioni del parlamento nazionale, prosciugate dalle regioni, dall’Ue e dal governo. Per lo più, e nel migliore dei casi, rileggono, emendano e approvano progetti di legge prodotti in qualche ministero. Non si tratta peraltro di una anomalia italiana. È la norma delle democrazie parlamentari, nelle quali, a dispetto del nome, la maggioranza, dopo aver dato la fiducia al governo, gli cede il potere di agenda. Al contrario di quanto accade in un regime presidenziale come quello statunitense» dove, soggiungiamo noi, il Congresso fa le pulci all’operato dell’amministrazione, esamina il bilancio parola per parola, conduce inchieste, convocando testimoni come in tribunale e può approvare disegni di legge non condivisi dal Presidente.

Questi ha il potere di porre il veto, ma le due camere possono annullarlo con un voto a maggioranza dei due terzi.

Inoltre, il Senato, vera camera forte del paese, ha il potere di accettare o respingere le nomine presidenziali e quello di ratificare i trattati internazionali.

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UN PARLAMENTO DI NOMINATI.

L’eliminazione delle preferenze disposta con le diverse leggi elettorali fin dal 1993 fa sì che essere deputato o senatore non dipende tanto dalla notorietà dei candidati in loco ma dalla loro collocazione in lista.

Quindi, è interesse dell’eletto non alienarsi il suo capo partito che al momento opportuno lo ricompenserà nominandolo di fatto all’ambito posto.

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LE FILIERE.

Qualcuno sostiene che riducendo il numero dei parlamentari si incrementa il potere delle filiere, cioè di quelle “cordate” che al momento della compilazione delle liste esercitano pressioni perché venga inserito in posizione eleggibile o in un’area elettoralmente più favorevole una personalità espressione di quella certa determinata filiera.
(per filiera s’intendono qui sia gruppi di pressione, come le lobbies, attivissime al Congresso statunitense, ma anche le correnti o subcorrenti di partito.

Già oggi è così, allo stesso modo in cui è frequente il metodo del candidato paracadutato, ossia presentato in una regione diversa da quella in cui abita per renderne praticamente certa l’elezione.

E’ difficile per un outsider farsi strada e se avviene una volta, o si adegua alla realtà o sparirà molto presto dai radar.

Se invece nel corso della legislatura comprende che difficilmente sarà ricandidato alle successive elezioni o sarà comunque inserito in una lista con pressoché nulle probabilità d’elezione, spesso uscirà dal proprio gruppo originario d’appartenenza per ricollocarsi in altra situazione.

E’ una pratica diffusissima a livello locale, ma anche a Montecitorio e palazzo Madama i cambiamenti di casacca son diventati negli ultimi decenni uno sport ampiamente praticato.

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DIMAGRIMENTO DEI CONSIGLI LOCALI.

Curiosamente il legislatore nazionale, sia di destra che di sinistra ha dato ascolto alla cittadinanza che chiedeva organismi locali meno pletorici, ma si è sempre ben guardato da ridimensionare il numero dei parlamentari.

così, con diverse leggi relative agli enti locali si è ridotto il numero dei consiglieri ai diversi livelli amministrativi.

Facciamo qualche rapido esempio:

A. Nel 1980, le città più popolose, come Milano, Roma e Napoli, avevano 80 consiglieri comunali: oggi ne hanno 48;

B. Sempre in quell’epoca esistevano i consigli provinciali eletti a suffragio universale: con la L. 56/2014 questi organismi son stati sciolti e rimpiccioliti.

In ogni caso, oggi sono eletti dai consiglieri comunali.

C. con la legge N. 268/1976 in parecchi comuni, tra cui tutti i capoluoghi di provincia più centri relativamente popolosi, furono istituiti i consigli circoscrizionali.

Oggi essi permangono solo nelle città con oltre 250.000 abitanti.

D. anche diverse regioni hanno ridimensionato le loro assemblee: quella Siciliana è passata da 90 a 70 e quella molisana è scesa da 30 a 20 componenti.

Se tutto questo è avvenuto col consenso by-partisan delle forze di destra e sinistra, perchè non può avvenire per il Parlamento di Roma?

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E ALL’ESTERO?

All’estero ci sono esperienze di parlamenti ridimensionati?

Sì, e sono piuttosto numerose:

Vediamo qualche caso:

A. In Belgio in seguito alla riforma costituzionale che ha trasformato il regno da Stato centralizzato a federale, la Camera dei Rappresentanti è scesa da 212 membri a 150 ed il Senato da 106 a 75.

Accanto alle Camere nazionali, esiste poi un reticolato di assemblee regionali, d’area linguistica e di comuni piuttosto diffusa, anche se il Paese ha provveduto a ridurre le municipalità da 1.600 a 400, come hanno fatto anche la Danimarca e quasi tutti i cantoni svizzeri;

B. In Ungheria il parlamento ereditato dal paese dall’epoca comunista era composto da 387 membri per 10 milioni circa d’abitanti: oggi si contano 199 deputati.

C. Il Giappone ha gradualmente ridotto il numero dei membri della Dieta: negli anni 80 essa si componeva di 750 tra deputati e senatori, oggi sono 710: 465 rappresentanti e 245 consiglieri (senatori).

D. Il Dáil éirreann (Irlanda) eletto lo scorso 8 febbraio si compone di 157 membri, mentre fino a pochi anni fa ne contava 166.

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CONCLUSIONI.

Di fronte a queste ed altre considerazioni ho deciso dopo lunga riflessione di votare sì per almeno tre ordini di motivi:

A. Credo che sia giunto il momento per la politica di fare dei sacrifici, di smettere d’essere l’ufficio di collocamento di qualche fortunato che non avendo una professione sta a Montecitorio e Palazzo Madama sperando di durare almeno cinque anni se non di più;

B. Credo anche che un parlamento più snello possa lavorare meglio non solo nella compilazione dei progetti di legge, ma anche negli altri ruoli che spettano alle camere:
• controllo dell’attività del Governo e delle burocrazie ministeriali;
• conduzione d’inchieste su fenomeni sociali o su vicende oscure del nostro passato che, notoriamente fa sentire sempre i suoi effetti anche sul presente;
• effettiva presenza sul territorio dei parlamentari che spesso si fanno vedere durante le campagne elettorali e poi spariscono per cinque anni;

C. Credo inoltre che anche dopo il 21 settembre rimarrà inalterato quel reticolato di poteri locali che fa della nostra democrazia una delle più articolate dell’emisfero occidentale, così come avviene in tutti gli Stati, retti da regimi presidenziali o parlamentari, in cui l’involucro democratico non è una pura apparenza.

Non è che la democrazia è più solida se i parlamentari sono mille o duemila e nemmeno se tutti i partiti, anche i più minuscoli sono rappresentati: anzi una fragile democrazia con governi evanescenti è l’anticamera delle soluzioni autoritarie come dimostrano i casi della Repubblica di Weimar, della Quarta Repubblica francese e del regime liberale in Italia dopo la prima guerra mondiale.

«In ogni caso – conclude Vassallo – più piccolo è il numero dei legislatori, più è probabile che ciascuno di loro possa “fare la differenza”, più forte il “bilanciamento” del legislativo nei confronti dell’esecutivo. Quindi, anche più probabile che gli elettori riescano a ricordarsi come si chiamano, cosa hanno fatto i parlamentari del loro territorio e a giudicarli.

Se i 100 senatori americani possono coprire tutto il lavoro legislativo, di servizio al collegio e di controllo sul governo della più grande potenza mondiale, in un regime presidenziale, in aula e nelle commissioni, non c’è alcun dubbio che potranno farlo anche i 200 senatori italiani.»

PIER LUIGI GIACOMONI