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EDITORIALE: I MIEI UNDICI SETTEMBRE
(13 Settembre 2016)

se non altro per ragioni anagrafiche, ho vissuto sempre molto intensamente la data dell’11 settembre.

Non dimentico mai di ricordare le vittime del tragico colpo di Stato che avvenne in Cile martedì 11 settembre 1973
e faccio la stessa cosa, pensando alle vittime degli attentati di New York e Washington avvenuti martedì 11
settembre 2001.

Santiago. Quando nel 1973 cominciarono a giungere dal Cile le prime notizie sul colpo di Stato militare in atto,
avevo 15 anni. Ero un ragazzino molto politicizzato ed avevo seguito, coi mezzi d’allora, infinitamente meno
potenti di quelli di oggi, il tormentato triennio del governo di salvador Allende.

Alla gente della mia generazione quella pareva un’esperienza straordinaria perché, per la prima volta, un uomo di
sinistra era arrivato alla presidenza della repubblica di una nazione latinoamericana col voto, non sulla punta
delle baionette.

I tre anni della Presidenza Allende furono difficili: anzi, cominciarono male ancora prima che il Presidente
assumesse la carica. Nell’ottobre 1970, pochi giorni prima che avvenisse l’insediamento del capo dello Stato
eletto, il generale René Schneider fu assassinato perché leale verso il Presidente costituzionale del Cile.

Poi, fu un seguito di proteste, di scioperi, come quelli dei camionisti che paralizzarono un Paese lungo e stretto
che ha bisogno degli autocarri per trasportare gli alimenti da sud a nord, sennò la gente non può mangiare.

La moneta nazionale si svalutò e s’infiammò l’inflazione. Nelle elezioni di mezzo termine del marzo ’73 il governo
perse terreno in Parlamento.

A fine agosto 1973, Allende nominò il generale Augusto Pinochet Ugarte nuovo capo di stato maggiore delle forze
armate, convinto che mai avrebbe promosso un golpe.

Invece, come si seppe poi, i piani erano già pronti da tempo: fin da quando richard Nixon, allora Presidente degli
stati Uniti urlò furioso, riferendosi ad Allende: «Rovesciatelo quel figlio di …».

E Allende fu rovesciato, anzi si tolse la vita per non cadere vivo nelle mani dei suoi persecutori, nel cile si
aprirono le camere di tortura e migliaia di persone sparirono nel nulla.
(una narrazione di quell’epoca la troviamo in “La casa de los espíritus” di Isabel Allende, grande scrittrice
cilena e nipote del Presidente defunto).

Gli esuli non erano al sicuro nemmeno all’estero: con l’operazione Condor, che univa insieme le polizie segrete di
Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay ed Uruguay, oltreché ovviamente Cile, tutti coloro che nei rispettivi Paesi
eran ritenuti dei pericolosi sovversivi potevano essere arrestati, torturati, uccisi, sparire nel nulla.

Il golpe in Cile segnò un’escalation della violenza e divenne emblema di un’oppressione sanguinaria che non guarda
in faccia a nessuno.

Migliaia furono i morti, i torturati, gli esuli, i mutilati, le persone rese infelici per sempre da una dittatura,
quella di Pinochet, insieme a quella argentina di videla, paraguayana di Stroesner e Brasiliana di Garastazu
Medici, che saranno per sempre ricordate come le più feroci della recente storia latinoamericana.
***
New York. Ero decisamente più grande quando l’11 settembre 2001 avvennero gli attentati contro le “torri gemelle”
di New York ed il Pentagono di Washington. Devo esser sincero: forse quella è stata la prima volta che ho avuto
davvero il timore che fossimo vicini allo scoppio d’una guerra globale.

Attentati ce n’erano stati anche prima: nel 1993 qualcuno cercò di far saltar per aria le “torri”, ma l’effetto di
quell’attentato fu tutto sommato limitato.

Nel 2001 ci trovammo di fronte ad una vera apocalisse che non aveva precedenti nella storia: circa 3mila vittime,
feriti, mutilati, le torri abbattute…

Passata l’emozione dei primi momenti vennero fuori le falle dei servizi di sicurezza nel sistema aeroportuale
americano, ma venne anche fuori il concetto di “scontro di civiltà”, alimentato dalla propaganda del Presidente
George W. Bush Jr.

Come immediata reazione, gli Stati Uniti attaccarono l’Affghanistan, retto allora dal regime dei talebani, con
l’obiettivo, non realizzato di trovare Osama Bin Laden, l’uomo che si era autoattribuito il merito d’aver provocato
gli attentati.

Nel 2003 gli stessi Stati Uniti promossero la seconda guerra del Golfo, volta a regolare i conti con Saddam
Hussein. A quelle due guerre aderì anche il nostro Paese.

Ma soprattutto, ed è, secondo me questo il lascito più importante di quell’11 settembre, da allora, per opera di
molte persone, alcune in malafede, il musulmano è visto come un potenziale terrorista. Esser di religione islamica
per tanti vuol dire esser dei terroristi, pronti a far del male a noi occidentali.

Per carità, questa linea di pensiero è tutto sommato condivisa dagli stessi integralisti islamici che vedono come
fumo negli occhi concetti come tolleranza, modernità, dialogo interreligioso.

Tutto ciò non toglie che, per me, che mi considero un democratico a 360 gradi è un dovere fare il possibile per
gettare ponti, smorzare i contrasti e valorizzare più ciò che unisce, invece che sottolineare ciò che divide.

Nel calendario, ogni giorno, vengon ricordati santi e beati, molti di costoro a noi non dicono più nulla: se si
potesse scrivere un calendario “laico” nel quale ricordare per ogni giorno fatti accaduti che hanno segnato la
nostra e l’altui vita, la data dell’11 settembre dovrebbe, secondo me esser dedicata alle vittime di Santiago ed a
quelle di New York.

Entrambi questi avvenimenti, a ben guardare, sono uniti dall’odio per la libertà, per la reciproca tolleranza: chi
ha compiuto il golpe in Cile e chi ha messo in atto i terribili attentati alle Torri gemelle odiava di sicuro la
democrazia, il pluralismo delle idee ed il rispetto della personalità di ognuno.

PIER LUIGI GIACOMONI

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