EDITORIALE
L’ITALIA SENZA ALTERNATIVA
(18 Marzo 2024)
Si è probabilmente conclusa la vicenda che ha portato alla designazione del candidato ufficiale del centro-sinistra alle elezioni regionali in Basilicata.
La coalizione pare abbia scelto come frontrunner del governatore uscente il presidente della provincia di Matera, ma la vicenda è complessa e non è facile riassumerla in poche righe.
In principio c’era Angelo Chiorazzo, suggerito pare da Roberto Speranza, ex ministro della Sanità quando Giuseppe Conte era a Palazzo Chigi.
Il peccato originale di Chiorazzo era però quello d’avere un passato, essendo, come scrive Paolo Mieli[1] «gran custode della memoria di Giulio Andreotti, amico di Gianni Letta, stimato da papa Francesco.»
Il MoVimento Cinque Stelle però non ci sta: loro preferiscono candidati senza passato e possibilmente senza esperienze politiche pregresse a meno che non sian dei loro.
Alla fine la scelta cade su Domenico Lacerenza, un illustre sconosciuto, primario di oculistica nato a Barletta trasferitosi da anni in Basilicata. Lui apprende della nomination uscendo dalla sala operatoria: «ha rivelato – scrive Mieli[2] – di non aver “mai fatto politica”, ha chiesto tempo per “buttar giù” uno straccio di programma e infine ha detto: “Spero che non mi facciano fare la campagna elettorale”, dal momento che “ho molti impegni in camera operatoria”.»
Insomma, un candidato per caso che infatti dopo pochi giorni si ritira.
Va bene che la politica dovrebbe essere un’attività che uno svolge per un periodo limitato di tempo per poi tornare al suo mestiere originario; va bene che i professionisti delle istituzioni abbian combinato e combinino tuttora guai anche grossi, ma il candidato scelto così casualmente della serie, “conosco uno che potrebbe farlo se solo glielo chiediamo” non sembra un buon metodo di selezione della classe dirigente, ancorché a livello locale.
I Cinque Stelle, del resto, han sempre creduto al mito che un chiunque può diventare Premier, che uno vale uno e così via. Stupisce che ci creda il PD la cui tradizione rimonta ai partiti del XX secolo, fatti di persone che facevan politica professionalmente, partendo dal livello locale per poi giungere a quello nazionale.
E’ vero, naturalmente, che l’attuale segretaria del partito è una che vi ha aderito solo due mesi prima d’esser eletta, ma prima di ciò, ha accumulato una certa esperienza nelle istituzioni come eurodeputata e vicepresidente dell’Emilia-romagna.
Il punto è che il centro-sinistra fa fatica ad esser competitivo rispetto al centro-destra per diversi motivi:
1. il centro-destra è una coalizione che quasi ovunque si presenta costantemente alle elezioni locali e nazionali nello stesso formato: divisioni ne esistono ed è in corso una competizione tra i soggetti politici e personali che la compongono, ma alla fine tutto vien messo da parte.
Il centro-sinistra, invece, appare spesso un’accozzaglia di elementi in eterna competizione e privo d’una coesione politica e programmatica.
2. Il centro-destra riesce a distinguere l’aspetto locale da quello nazionale; il centro-sinistra va in pezzi solo se si solleva uno qualunque dei temi sensibili oggi in circolazione.
In buona sostanza, dà più l’idea dei suoi avversari, d’esser un cartello messo insieme più per provare a vincere, o a limitare i danni, che con qualche idea su cosa fare eventualmente toccasse governare.
Al presente, il C-D regge 14 regioni su 20 mentre otto anni fa era l’opposto.
In queste condizioni è difficile che il C-S possa conquistare la Basilicata (21.22 aprile), il Piemonte (8-9 giugno), dove tra l’altro è già in corso una lotta senza esclusione di colpi per la nomination a governatore e un domani in altre regioni.
Nei giorni scorsi, Romano Prodi ha più volte invitato i partiti che si richiamano alle diverse anime del centro e della sinistra a mettersi insieme, perché l’alternativa sarebbe e verosimilmente sarà, l’egemonia decennale del centro-destra, salvo imprevisti.
Il fatto è che da quando l’ultimo governo da lui stesso presieduto è caduto (gennaio 2008) le divisioni in quel campo non han fatto altro che aumentare.
Prima c’è stato il voto di sfiducia al suo ultimo ministero, poi la diaspora dei 101 che non l’han voluto al Quirinale, poi il sorgere di varie schegge politiche, non proprio partiti, che son usciti dalla sinistra in rivolta contro questo o quel segretario.
Sempre nel 2013, anno chiave della storia politica italiana, fa irruzione sulla scena il MoVimento Cinque Stelle che, malgrado tutti i suoi rivolgimenti e convulsioni, occupa un posto rilevante nel Paese,anche se il suo consenso elettorale subisce scossoni quando si passa dal voto politico a quello locale.
Il PD forse ha creduto o crede di poterne fare un suo satellite; loro speran che a parti invertite accada la stessa cosa. Di qui, la competizione esasperata tra le leadership e i continui strappi che condannan l’Italia a non aver al momento una vera alternativa di governo all’esecutivo Meloni e a coloro che reggon le sorti di molte regioni.
Questa realtà, che l’uomo della strada vede ad occhio nudo, spinge molti lontano dalle urne, come testimonian le basse percentuali d’affluenza che ormai si registran dovunque da Nord a Sud.
PIER LUIGI GIACOMONI
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NOTE:
[1] P. Mieli, Lezioni dai campi lucani, corriere.it, 18 Marzo 2024;
[2] P. Mieli, cit.