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EDITORIALE: L’ANTIPOLITICA SALVA LA CASTA
(5 dicembre 2016)

ROMA. L’antipolitica che da anni ci racconta che in Italia c’è una casta inamovibile, pesante, farraginosa, fatta
di enti inutili, sovrabbondanti doppioni, con costi esagerati per la collettività, ha salvato la casta.

D’ora in poi il primo che si alza e dice che vuole combattere la casta, fare le riforme istituzionali, modernizzare
l’Italia, adeguarla a modelli istituzionali simili a quelli di alcuni paesi a noi vicini, deve sapere che ha
contro di sé il 60% dell’elettorato che maledice i politici, dice che son tutti ladri,ma poi, nel segreto dell’urna
li salva.

Perché? Perché L’elettorato ha respinto col 60% dei voti validamente e liberamente espressi il progetto di legge di
riforma della Costituzione della Repubblica Italiana che prevedeva:
• un forte ridimensionamento dei poteri del Senato
• la trasformazione della Camera alta in una camera delle autonomie;
• una profonda rivisitazione del Titolo V che si occupa interamente delle Regioni, della struttura dell’ente
regione, delle prerogative di questi importanti enti locali e dei loro rapporti con lo stato;
• l’abolizione definitiva delle Province e del CNEL;
• una profonda revisione delle prerogative dei cittadini in rapporto al potere legislativo con la rimodulazione dei
quorum per la validità dei referendum abrogativi, l’introduzione del referendum propositivo ed un adeguamento ai
tempi ed al numero reale degli abitanti delle firme da raccogliere per i progetti di legge d’iniziativa popolare.
• la limitazione della decretazione d’urgenza e del ricorso alla fiducia;
• l’obbligo per il Parlamento di discutere le proposte di legge d’iniziativa popolare;
• la profonda revisione delle modalità d’elezione del Presidente della Repubblica, l’introduzione dei senatori
temporanei…

Questo era il pacchetto offerto dal Parlamento al Paese: con buona pace per chi stanotte ha dichiarato che con la
vittoria del No crescono i diritti popolari, si deve dire forte e chiaro che non è così.
• Camera e Senato continueranno a fare le stesse cose, pur se eletti da elettorati diversi;
• un progetto di legge potrà vedere la luce solo quando le due assemblee l’avranno approvato nello stesso identico
testo;
• per promuovere un referendum popolare occorreranno sempre 500 mila firme e il 50,1% di votanti;
• i progetti di legge d’iniziativa popolare potranno esser presentati corredati da 50 mila firme, ma il Parlamento
non avrà l’obbligo d’occuparsene;
• continueranno e s’accresceranno i contenziosi tra Regioni e Stato, ingolfando il lavoro della corte
Costituzionale;
• sopravvivono le Province, per ora elette in secondo grado, ma un domani potrebbe esser approvata una legge che
reintroduce i consigli provinciali eletti dal popolo, come prima del 2014;
• rimane in vita il CNEL;
• il Presidente della Repubblica continuerà ad esser eletto dalla maggioranza del momento, perché dal quarto
scrutinio in poi basterà la maggioranza assoluta dei voti degli aventi diritto per mandare un tizio al Quirinale;

Com’è noto, non erano in discussione né la prima parte della Costituzione, né il job’s act, nè l’articolo 18, né la
legge sulla buona scuola, né le unioni civili, né un sacco di altre cose che sono state affastellate
indebitamente durante la campagna elettorale.

Il messaggio dirompente che emerge dalle urne è conservatore, provinciale, di rifiuto del cambiamento.

Ha vinto l’Italietta imbelle che ce l’ha coi politici, vuole la pensione a quarant’anni, la lira da svalutarsi
quando conviene, che vuole isolarsi per non subire il contagio degli immigrati, che rimpiange ilbuon tempo
andato, corredato, come direbbe il Gozzano di tante “buone cose di pessimo gusto”.

L’Italia, di fronte al mondo che cambia, alla globalizzazione che dà senso solo agli Stati continentali, preferisce
tenersi un assetto istituzionale che ha dimostrato in questi settant’anni, ma soprattutto negli ultimi venti, la
propria inadeguatezza.

Il No ha vinto, ma com’è accaduto all’indomani dell’analogo referendum britannico sulla Brexit nessuno sa cosa fare
e cosa farsene.

Renzi. La notte scorsa, reagendo all’esito referendario, Matteo Renzi ha annunciato le sue dimissioni da Primo
Ministro. Era ciò che volevano, in realtà, tutti i suoi avversari: interni ed esterni al PD.

Infatti, ad ascoltarli uno per uno si capisce che questo era il loro reale obiettivo: addirittura in alcuni
editoriali i giornali di destra acclamano alla fine della “dittatura di Renzi”.

Matteo Renzi ha avuto il merito in questi due anni e mezzo di proporre ed attuare un pacchetto enorme di riforme
sociali ed economiche, ha dimostrato una notevole capacità di lavoro e di leadership, all’estero è stato stimato da
Angela Merkel, Barack Obama, François Hollande e molti altri leader mondiali. E’ stato un vero statista che ha
saputo rappresentare l’Italia sulla scena internazionale. Oggi, il suo addio al governo, ci lascia sgomenti perché
abbiamo l’impressione, come dopo un sisma, che il terreno della politica e delle istituzioni sia costellato di
macerie. Magari fra qualche mese dopo le prossime elezioni politiche che paiono imminenti, potrebbe
venire un governo populista, isolazionista, antieuropeo, capace solo di attuare progetti che non hanno senso e non
sono adeguati al momento ed alle nostre reali necessità.

Se da un lato dobbiamo ringraziare Renzi per ciò che ha fatto in questi due anni e mezzo, dall’altro, ora è chiaro che dobbiamo anche fare di tutto perché populisti, isolazionisti, arrabbiati di mestiere, speculatori, mestatori d’odio, demagoghi capaci di raccogliere consensi tra gli infuriati, ma incapaci di governare il malcontento possano avere la meglio.

L’Italia è di fronte ad una sfida importante: speriamo che tutti i veri democratici comprendano qual è la vera
posta in gioco ed agiscano di conseguenza.

La sinistra. La vittoria del No è stata festeggiata stanotte da alcuni esponenti della sinistra che si sono
impegnati, dentro e fuori il PD, per far fallire quest’importante progetto riformatore. Tuttavia, questa sinistra
non è la vera trionfatrice della consultazione plebiscitaria: il suo messaggio è marginale rispetto a quello più
potente della destra e dei grillini.

Da questo risultato non nasceranno né una nuova sinistra, né nuove sorti progressive per il Paese. ancora una volta la sinistra del No a prescindere non ha capito la vera posta in palio, ha preferito battersi per far fuori l’odiato
nemico interno, piuttosto che dimostrare una progettualità alta che sapesse guardare all’interesse del Paese, delle
classi lavoratrici, dei meno abbienti, di chi non ce la fa.

Ha preferito alimentare i suoi miti ed il risultato è che oggi si trova ad essere totalmente subalterna alla destra
ed ai grillini.

Insomma, ciò che abbiamo davanti ai nostri occhi è un quadro sconfortante e che ci inquieta davvero: speriamo che la nebbia presto si alzi e si possa immaginare di costruire un futuro migliore per noi e per chi verrà dopo di noi.
Presto o tardi, questo è sicuro, qualcuno si accorgerà che le riforme istituzionali le dobbiamo davvero fare perché altrimenti per noi l’unica alternativa è il declino inesorabile d’un Paese che visto dalla Cina è veramente minuscolo.

Pur avendo un grande passato dietro le spalle, fatto di meravigliose cattedrali, straordinarie opere d’arte, splendide città, l’Italia ha anche dinanzi a sé un futuro incerto e preoccupante.

PIER LUIGI GIACOMONI

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