EDITORIALE. AL DI SOPRA DELLA LEGGE
(24 Luglio 2020)
PIACENZA. Quando ci si sente al di sopra della Legge inevitabilmente si commettono abusi. e’ la triste morale che si può trarre dalle tristi notizie che giungono dalla solitamente tranquilla Piacenza, città che di recente è balzata agli onori delle cronache per l’elevato numero di vittime da CoVid-19.
In quella città, c’è una caserma dei carabinieri dove, secondo la procuratrice Capo della Repubblica avvenivano festini a base di stupefacenti, quelli sequestrati durante le operazioni antidroga, escort e botte agli spacciatori che avevano la disavventura di capitare tra le grinfie dei militari.
Costoro, poi, si son trasformati in spacciatori perché, nei mesi del confinamento, quando tutti eravamo chiusi in casa, in seguito all’emanazione dei famosi DPCM, loro inviavano un pusher affinchè si rifornisse di stupefacenti sulla piazza di Milano, per poi rivenderla in cambio di denaro.
Il tutto accadeva in un clima d’omertà mafiosa per cui, chi sapeva, ma magari non partecipava a pestaggi e festini, si guardava bene dall’aprir bocca.
A un certo punto, però, l’incantesimo s’è rotto: un ufficiale dei CC è andato dalla polizia e ha svelato il turpe traffico. Ne sono seguite indagini, col loro corollario d’intercettazioni telefoniche.
Si è scoperto che alcuni dei protagonisti di queste tristi vicende si vantavano del loro operato con parenti e figli, come se fosse qualcosa di cui andar orgogliosi.
Le vicende di Piacenza fanno il paio con altre notizie simili di cronaca: a torino guardie carcerarie picchiavano detenuti, lo stesso accadeva in altre città.
Se, come ha detto il comandante generale dei Carabinieri, quanto è stato reso noto è opera di «alcune mele marce», a Piacenza, a Torino e in chissà quante altre località, ce n’è un intero frutteto.
Come ha notato ieri su La Stampa il senatore Luigi Manconi, sociologo che segue le vicende delle carceri da molti anni, Troppi sono i precedenti per poter derubricare i fatti come casuali o frutto delll’opera di pochi disperati.
In entrambe i casi «la presenza di una rete di complicità, strutturata gerarchicamente, fino a un livello medio-alto di comando capace di assicurare un sistema di impunità fondato sulla connivenza e sulla omertà» è il terreno di coltura di simili abusi.
«Le due vicende hanno tratti comuni. Il primo è rappresentato dalla tipologia di luogo dove si sono consumate le violenze. Carcere e caserma sono istituzioni totali (secondo la sempre valida definizione di Erving Goffman), al cui interno, gli operatori (in questo caso poliziotti penitenziari e carabinieri) vivono un’esistenza fortemente integrata, fatta di rapporti camerateschi e solidarietà virile. Qui è fatale che si creino gerarchie informali tese a misurare il proprio potere – piccolo o grande che sia – nel rapporto di controllo su chi, di quella istituzione, risulta vittima: il cittadino detenuto o quello che – seppure occasionalmente – sia soggetto alla potestà di un funzionario dello Stato. Sono queste, in sintesi, le condizioni che rendono possibili fatti inauditi quali: la riduzione di una caserma dei carabinieri a cellula criminale e la catena di comando che ha messo a tacere le tante denunce fatte dalla garante dei detenuti, Monica Gallo, degli orrori di quel carcere. Poi, certo, pesano le personalità individuali e gli interessi delinquenziali e c’è, soprattutto, la sensazione di un ambiente che garantisce l’impunità. Sensazione non troppo infondata, considerate alcune circostanze: tanti, proprio tanti, sono gli episodi di illegalità che hanno visto coinvolti appartenenti alle forze di polizia e, in particolare, all’Arma dei carabinieri. Quasi mai, forse mai, le denunce sono giunte dall’interno di quei corpi e dai loro vertici.»
Parole pesanti che devono inquietare, perché il cittadino comune può aver il timore che, dovendosi rivolgere alle forze dell’ordine, ne abbia in cambio botte e torture.
Ad esempio, qui al Pilastro si aspetta da anni la costruzione d’una caserma dei Carabinieri a maggior tutela della sicurezza della popolazione. Ma se la presenza della Benemerita diviene fonte di maggior insicurezza, di spaccio, di trattamenti disumani e degradanti?
Se il cittadino ha la sensazione che questi agenti si abbandonino ad evidenti soprusi perché si sentono di godere di totale impunità, d’esser al di sopra della Legge, d’avere, in una parola, pieni poteri, quali rischi d’illegalità può correre l’intera nostra società?
In momenti come questi di profondo smarrimento, vengono in mente alcuni precedenti che hanno contrappuntato la nostra storia:
1. le morti di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi, narrata sugli schermi dal film «sulla mia pelle» del 2018, nonché i pestaggi compiuti a Genova nel 2001 alla scuola Diaz e nel carcere di bolzaneto, con tanto di slogan neofascisti, quella che fu definita durante il processo “macelleria messicana”;
2. i depistaggi, le omissioni, le bugie raccontate da uomini delle forze dell’ordine, anche ai livelli più alti, per impedire di colpire i responsabili di questi assurdi maltrattamenti.
3. la grande determinazione di donne come Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, e Patrizia Moretti, madre di Federico, che hanno tenacemente combattuto per ottenere giustizia da tribunali che avrebbero preferito archiviare la pratica e tirare avanti come se nulla fosse accaduto.
Ecco allora, mentre il cittadino sente vacillare la fiducia in una qualsiasi delle molte polizie che operano nel nostro Paese, che è molto importante che la giustizia faccia rapidamente il suo corso, che si giunga alla condanna dei responsabili di questi abusi, che non avvenga il solito balletto dei depistaggi, degli scaricabarile, delle mezze ammissioni, delle coperture omertose che hanno caratterizzato altre vicende.
Una società complessa ed articolata come la nostra non può far a meno della polizia e dei Carabinieri,ma tutti costoro devono essere consapevoli che non sono al di sopra della Legge, ma anzi ne sono i tutori principali, investiti d’una missione fondamentale: l’alternativa sarebbe il disordine, l’impunità totale dei malfattori, la violenza, l’anarchia, il sopruso indiscriminato.
La nostra letteratura giallistica è piena di commissari e marescialli dal volto umano: vorremmo incontrarli non solo nei libri o al cinema, ma anche nella nostra quotidianità.
PIER LUIGI GIACOMONI