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DANIMARCA. SVOLTA A SINISTRA
(15 Giugno 2019)

COPENAGHEN. La Danimarca svolta a sinistra e dà il ben servito al Primo Ministro liberale Lars Lökke Rasmussen che dal 2007 dominava la scena politica nazionale.

La coalizione di centro-sinistra, denominata “blocco rosso”, guidata dai socialdemocratici e composta da altri tre partiti, ha conquistato la maggioranza assoluta al Folketing, l’unica camera del parlamento danese, ottenendo 91 seggi su 179.

Nel dettaglio, l’esito di queste elezioni politiche è più controverso: difatti, i socialdemocratici, pur confermandosi il primo partito del Paese, hanno registrato una lieve flessione, passando dal 26,3% del 2015, quand’erano stati estromessi dal governo, al 25,9 di oggi.

In termini di seggi l’SD guadagna un mandato, ottenendo 48 deputati.

La vittoria della sinistra si deve soprattutto ai partiti minori: radical-liberali e socialpopolari hanno raddoppiato la loro rappresentanza parlamentare, mentre i verdi han perso un seggio.

Clamoroso, sul fronte della coalizione “borghese”, è stato il tracollo del Partito del Popolo danese (DF) che ha perduto i due terzi dei consensi conseguiti quattro anni fa ed ha lasciato sul terreno 21 seggi, vanificando in questo modo i progressi dei Liberali del Venstre, capeggiati dal Premier uscente Lars Lökke Rasmussen, e dei conservatori.

In breve, sconfitta della coalizione borghese che si teneva in piedi soprattutto coi voti del DF ed avvento al potere del “blocco rosso”, nel quale convivono orientamenti diversi a proposito dei migranti in arrivo e degli stranieri che già abitano in Danimarca.

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MITTE FREDERIKSEN.

La persona che potrebbe capeggiare il nuovo esecutivo danese è Mitte Frederiksen, una donna di 41 anni che a 26 era ministro del lavoro e poi della giustizia, divenuta leader dell’SD, ha impresso una svolta profonda nella linea politica del partito: così, nell’ultima legislatura, i deputati SD hanno approvato alcune misure assai controverse, come la confisca dei beni (oro e contanti) ai richiedenti asilo o l’altrettanto criticato provvedimento che raddoppia le pene per reati come furti, scippi o atti di vandalismo, solo però se commessi in alcune zone urbane, ovvero all’interno dei “ghetti” di immigrati. La capitale danese Copenaghen ha censito 22 aree del genere, per un totale di 55 mila abitanti, per lo più immigrati con poca istruzione, alto tasso di criminalità, disoccupati o con bassa retribuzione. Nelle stesse aree vi è stato un boom di gang criminali che hanno aumentato la sensazione d’insicurezza fra i residenti.

Consapevole che i socialdemocratici in questi anni han perso consensi soprattutto nei quartieri operai, Frederiksen ha proposto di fissare un tetto annuale per gli immigrati «non occidentali» e vorrebbe convincere i pensionati stranieri a lasciare il Paese, permettendo loro di conservare la pensione statale. Inoltre, sostenendo che gl’immigrati formano «società parallele» insiste affinché siano eliminati i «ghetti». Nei suoi interventi, Non perde occasione per ribadire che gli stranieri si devono conformare alla cultura dominante. «Facciamo i conti con la realtà  – ha spiegato – ascoltiamo cosa ci dicono e cosa vogliono i cittadini: meglio tenere i richiedenti asilo in campi speciali in Africa; inutile  e dannoso farli arrivare  in Danimarca». Frederiksen non ha mai fatto mistero  di rimodellare il partito  «secondo orizzonti  nuovi, adatti  ai tempi». E pazienza se alle ferree restrizioni in tema di migranti  adottate fino a ieri dai liberali si sovrapporranno quelle imposte dal nuovo esecutivo in via di formazione.

La nuova dirigenza socialdemocratica, in fin dei conti, è terrorizzata dalla possibilità che un domani il Dansk  Folkeparti, oggi penalizzato dalle urne, che ancora detta l’agenda degli argomenti di cui ci si deve occupare, riacquisti forza e teme di far la fine di quei partiti, come il Laburista olandese che nelle ultime elezioni generali sono scesi al 6%.

La candidata Premier è consapevole che l’opinione pubblica danese è terrorizzata dalla prospettiva che il generoso welfare che ha finora garantito alti redditi, un progresso del PIL del 2,2% all’anno ed una disoccupazione del 3,7%, possa sfilacciarsi ulteriormente compromettendo gli standard di vita, inoltre ha messo in pratica la lezione appresa dalle vicende della vicina Svezia, dove la politica di grande accoglienza adottata dai governi socialdemocratici ha spinto verso l’alto i consensi ai Democratici Svedesi e depresso le quotazioni degli schieramenti tradizionali, soprattutto nelle aree più impoverite.

L’obiettivo della Frederiksen in sostanza era quello di sottrarre argomenti alla propaganda del DF e spostare la discussione su altre questioni, come l’ambiente, il riscaldamento globale,i tagli al sistema di welfare, praticati dai governi “borghesi” negli ultimi vent’anni.

Da qui le dichiarazioni decisamente fuori dagli schemi, come ad esempio: «Per me è sempre più evidente che il prezzo di una globalizzazione senza regole, dell’immigrazione di massa e della libertà di movimento dei lavoratori viene pagato dalle classi meno abbienti».  In pratica farà  cose di sinistra su ambiente e Stato sociale e di destra sui migranti (come votare per la requisizione dei gioielli dei richiedenti asilo e il divieto del burqa e del niqab, accarezzando il progetto  di rinchiudere su un isola i profughi colpevoli di reati.

Questo è ciò che pensano oggi i socialdemocratici danesi: una linea ideologica intransigente non condivisa dagli altri partiti del “blocco rosso”, che in teoria dovrebbero entrare nel nuovo Ministero. Frederiksen, prima delle elezioni, in realtà aveva dichiarato che per lei era preferibile formare un gabinetto monocolore SD aperto alla collaborazione in parlamento con tutte le forze disponibili. Nelle prime dichiarazioni a caldo dopo il voto, i leader del Radikale Venstre (liberali progressisti) e dei socialpopolari hanno riproposto un esecutivo di coalizione.

Lars Lökke Rasmussen, dal canto suo, ha proposto,  ricevendo per ora un no, un esecutivo di grande coalizione SD-Venstre.

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IL QUADRO NORDICO.

Dopo anni di governi di destra nei Paesi scandinavi, dove già negli anni Novanta facevano sentire la loro voce i primi partiti sovranisti e xenofobi che poi si sarebbero diffusi in tutta Europa, stanno ritornando i socialdemocratici che sembravano avviati verso un declino inarrestabile.

Da gennaio, in Svezia, è in carica un esecutivo rosso-verde di minoranza guidato da Stefan Löfven, che dopo una crisi lunga quattro mesi è riuscito ad ottenere il via libera dal Parlamento, grazie all’astensione di liberali e centristi. In Finlandia, dopo le elezioni generali di metà aprile si è formato un gabinetto quadripartito a guida socialdemocratica, con la presenza anche di centristi, liberali e partito degli Svedesi.

Rimangono invece a destra gli esecutivi di Norvegia ed Islanda.

PIER LUIGI GIACOMONI

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