CATTOLICA VINCE IL CONTENZIOSO CON BNL SUI DERIVATI
(6 giugno 2020)
CATTOLICA (RN). Il Comune di Cattolica (Rimini) ha vinto un importante contenzsioso aperto da anni con la BNL: il 12 maggio scorso le sezioni civili riunite della Suprema Corte di cassazione, hanno dato ragione alla municipalità, cancellando con la sentenza N. 8770 tre contratti per strumenti derivati sottoscritti con la BNL tra il maggio 2003 e l’ottobre 2004.
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La Corte ha infatti rilevato in primo luogo che le delibere con cui furono approvati gli accordi non erano state preventivamente approvate dal consiglio comunale, operazione proceduralmente indispensabile giacché i derivati costituiscono debito per le casse municipali.
due dei tre atti amministrativi in questione, infatti, erano stati adottati dalla sola giunta ed il terzo era passato alla firma d’un dirigente amministrativo.
Il Consiglio cittadino era stato solo interpellato a priori per tracciare delle linee d’indirizzo.
«Confermata dunque – scrive Il Sole-24 ore – la decisione della Corte di appello di Bologna che nel 2014 aveva disposto la ripetizione degli importi corrisposti dalla banca al comune fino al 2010 (555mila euro) e soprattutto dal comune alla banca (oltre 1 milione di euro).»
L’amministrazione comunale della città romagnola era in contenzioso con la Banca Nazionale del Lavoro da anni, lamentando che quei prodotti finanziari le avevano causato «enormi differenziali negativi» e il vincolo «era destinato a durare sino al 2025, se non recedendo anzitempo con un costo di uscita pari a diversi milioni di euro».
L’annullamento in autotutela da parte dell’ente dei contratti Interest Rate Swap (IRS) aveva portato a un contenzioso che ammontava circa a 7 milioni di euro. La difesa del Comune «si è fondata sull’irregolarità delle modalità contrattuali all’interno della Pubblica amministrazione». In particolare, fa sapere il Comune, oggi retto da una giunta Cinque stelle «si è sostenuta la tesi della carenza di poteri in capo al dirigente del settore finanziario firmatario del contratto».
Con questa sentenza la Cassazione, che ha respinto il ricorso della banca, «riconosce il principio per cui i contratti che prevedono un “premio di liquidità” da incassare al momento della stipula (up-front) essendo “collegati ex lege” ai rapporti debitori sottostanti, costituiscono una “forma di indebitamento”, e devono quindi essere trattati come tali, sia dal punto di vista delle procedure amministrative, sia dal punto di vista contrattuale».
Inoltre, la nullità viene confermata perché al momento della stipula non era stato determinato il valore dei derivati in questione.
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COSA SONO I DERIVATI?
I derivati sono strumenti finanziari complessi che, per la loro enorme diffusione sui mercati di capitali – consolidatasi nei primi anni dopo il Duemila – hanno finito per acquisire un ruolo di assoluta centralità nell’intera economia globale.
Essi non sono titoli muniti di un proprio valore intrinseco, ma lo derivano da altri prodotti finanziari, ovvero da beni reali alla cui variazione di prezzo essi sono agganciati: il titolo o il bene la cui quotazione imprime il valore al derivato assume il nome di sottostante (in inglese: underlying asset).
In astratto, possono assolvere, tanto ad una funzione protettiva (ossia di copertura) da uno specifico rischio di mercato, quanto ad una finalità meramente speculativa.
Nel concreto, non si può negare che sui mercati finanziari globali i derivati si siano affermati soprattutto quale mezzo di speculazione.
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SCOMMESSA.
Ogni derivato ha ad oggetto una previsione (o, se si vuole, una scommessa) sull’andamento futuro di un particolare indice di prezzo, come ad esempio quotazioni di titoli, tassi d’interesse, tassi di cambio tra valute diverse, prezzi di merci o di materie prime…
Una delle caratteristiche peculiari del derivato è quella di essere uno strumento finanziario acquistabile sui mercati da un numero indefinito di scommettitori che non vantano alcun rapporto diretto col titolo (o col bene) sottostante o che, in altre parole, non sono direttamente coinvolti nell’operazione finanziaria dal cui andamento il derivato trae valore.
E’ un po’ come se a mille persone fosse concesso di accendere una polizza assicurativa scommettendo sulla possibilità che un medesimo bene reale, di cui essi non sono titolari, vada in deperimento (per furto, incendio o per qualche altra ragione).
Pertanto, nella pratica finanziaria è permesso a chiunque di comprare un derivato il cui valore è collegato al rischio di solvibilità di un altro soggetto (come il titolare di un prestito).
In questo caso, gli acquirenti d’un derivato scommettono sulla capacità del debitore di onorare quel determinato prestito: se l’operazione sottostante va male per gli scommettitori, l’effetto di leva del derivato moltiplica il rischio finanziario fino a fargli assumere una portata sistemica, come è accaduto nel corso della grande crisi del 2007-2008.
A seguito dello scoppio della bolla finanziaria, che provocò tra l’altro il fallimento di Leman Brothers, i protagonisti della finanza internazionale riuscirono, tramite i derivati, a scaricare le conseguenze della crisi sui settori produttivi dell’economia reale (le imprese) e sugli enti pubblici (quindi, in fin dei conti, sulla collettività).
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TIPI DI DERIVATO.
Premesso che esiste un’enorme molteplicità di derivati, nei rapporti tra banche e clienti (imprese ed enti pubblici), si è registrata negli ultimi anni un’imponente diffusione di una ben determinata categoria di prodotti derivati, gli Swap, quasi sempre presentati come utili strumenti di copertura dai rischi di mercato.
Molti problemi però sono sorti poiché la negoziazione dei prodotti swap venduti ai clienti delle banche è avvenuta per la maggior parte al di fuori dei mercati regolamentati (in inglese: Over The Counter).
In sostanza, le banche, in numerosi casi, hanno venduto ai loro clienti dei prodotti derivati privi degli elementi standard definiti dalle autorità di mercato e con delle caratteristiche molto spesso decise unilateralmente dai soli istituti di credito (ad esempio, negoziando strumenti derivati O.T.C., hanno avuto ampio margine nel definire autonomamente elementi quali il sottostante, il moltiplicatore in euro, le scadenze di negoziazione, il movimento minimo di prezzo, i prezzi di chiusura, i prezzi finali per il regolamento…).
In questo contesto, molti clienti (pubblici e privati), essendo privi delle competenze tecniche necessarie per compiere operazioni di tale complessità, hanno inconsapevolmente sottoscritto dei derivati dannosi per il proprio equilibrio finanziario, in cui non si è riscontrata la giusta corrispondenza tra la struttura del prodotto e le finalità che con esso ci si era prefissati di perseguire.
E’ appunto quanto successo per gli enti locali che, per compensare i frequenti tagli subìti dai loro bilanci, hanno pensato di sottoscrivere dei derivati senza comprendere appieno i rischi che nascondevano.
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ALCUNI ESEMPI DI SWAP.
Nel mondo finanziario esistono diverse tipologie di derivati: Swap, Options, Futures, Forwards e altri ancora, ciascuno dei quali presenta una sua peculiarità e comprende a sua volta dei suoi sottoinsiemi.
Qui vediamo soltanto alcune sottotipologie di swap.
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COMMODITY SWAP (CS).
Il commodity swap è un derivato collegato al prezzo di una merce o materia prima.
Le due parti (la banca e il cliente) si accordano per scambiarsi tra loro un prezzo fisso concordato contro un prezzo variabile, da determinarsi sulla base di parametri collegati al costo futuro della merce o materia prima sottostante.
Durante l’efficacia del contratto ed alla fine di ogni periodo di riferimento, si possono presentare due distinte situazioni:
A. il prezzo variabile è più alto del prezzo fisso: la controparte pagatrice del prezzo variabile corrisponderà il differenziale, se positivo, tra prezzo variabile e prezzo fisso moltiplicato per la quantità per il periodo di riferimento.
B. il prezzo variabile è più basso del prezzo fisso: la controparte pagatrice del prezzo fisso corrisponderà il differenziale, se positivo, tra prezzo fisso e prezzo variabile moltiplicato per la quantità nel periodo di riferimento.
La funzione del commodity swap dovrebbe essere quella di garantire il cliente dal rischio di oscillazioni del prezzo di un determinato bene. Questo prodotto può essere funzionale sia a chi agisce su un mercato con funzione di venditore (ad esempio, un produttore di un bene alimentare) e voglia garantirsi dal rischio di eccessivo ribasso del prezzo di una merce e sia a chi agisce come importatore/acquirente di una determinata materia prima (ad esempio, petrolio, rame, cacao, caffè…) e voglia tutelarsi dal rischio di eccessivo rialzo del prezzo della stessa commodity.
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CREDIT DEFAULT SWAP (CDS).
Il Credit Default Swap è una sorta di polizza assicurativa emessa a copertura del rischio di insolvenza creditizia.
Questo il suo schema-base: un venditore di protezione (protection seller) interviene in un rapporto pre-esistente tra un compratore di protezione (protection buyer) ed un terzo soggetto debitore del secondo (ad esempio, l’emittente d’un’obbligazione).
Il compratore di protezione, per evitare di sobbarcarsi (totalmente o solo parzialmente) il rischio di insolvenza del terzo soggetto (definito reference entity) preferisce cedere una quota del rendimento del suo credito (ossia, di solito, una quota dei suoi interessi attivi) a favore del protection seller: quest’ultimo, in cambio di tale beneficio, s’impegna ad accollarsi tutta o una parte dell’eventuale perdita che il compratore di protezione dovesse subire in caso d’insolvenza del terzo soggetto (reference entity).
Di recente, i CDS sono stati emessi in copiosissima quantità in relazione ai titoli del debito pubblico sovrano dei Paesi dell’area-Euro, contribuendo in misura decisiva all’ampliamento dello spread di rendimento tra i titoli dei Paesi relativamente più forti (come la Germania) e quelli dei Paesi più deboli (come la Grecia).
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INTEREST RATE SWAP (IRS).
E’ una delle forme più diffuse di derivato finanziario.
Nel suo caso, l’elemento sottostante è costituito dall’andamento dell’indice di un tasso di interesse.
Le due parti (la banca ed il cliente) si obbligano ad effettuare dei reciproci pagamenti, secondo un piano di scadenze concordate, sulla base di un differenziale tra due tassi di interesse diversi (di solito uno fisso ed uno variabile) entrambi applicati ad un determinato capitale nozionale di riferimento.
In linea teorica, un’impresa può essere interessata a stipulare un contratto IRS per contrastare o eliminare l’incertezza legata ad un debito contratto a tassi variabili, specie in un contesto previsionale di ipotetico rialzo dei tassi: in tal caso, il prodotto dovrebbe assolvere alla cosiddetta funzione di copertura.
Spesso però nella pratica si è riscontrato che le banche abbiano venduto dei prodotti IRS di scarsa o di nessuna utilità per il cliente (impresa o ente pubblico).
Ad esempio, in periodi di tassi in ribasso, molti clienti sono stati paradossalmente penalizzati dal fatto di avere negoziato un IRS che, nonostante il fine dichiarato fosse quello di proteggerli da un rischio di rialzo dei tassi, li ha infine costretti a pagare alle banche dei cospicui differenziali tra il tasso fisso imposto dalla controparte e quello effettivo vigente al momento della scadenza (o delle scadenze) dei singoli flussi.
E’ appunto il tipo di derivato sottoscritto dal Comune di Cattolica che col tempo ha generato un debito alle casse municipali, senz’arrecare quei vantaggi che gli amministratori in carica nel 2003 s’apsettavano.
PIER LUIGI GIACOMONI