CAMERUN. PROVE DI DIALOGO TRA LE COMUNITA’ LINGUISTICHE
(5 Agosto 2019)

Bandiera_del_CamerunYAOUNDE’. A quasi tre anni dall’esplosione del conflitto tra anglofoni e francofoni, in Camerun, stanno decollando prove di dialogo tra le due comunità.

Dopo scontri, brutalità, massacri, col conseguente corollario di profughi, in parte espatriati nella vicina Nigeria, tra le parti in causa ci si è resi conto d’esser in un vicolo cieco e si sta provando ad uscirne con la

mediazione di Svizzera e Canada, due Paesi in cui convivono popolazioni con lingue e tradizioni giuridiche diverse.

Così come in Canada, infatti,anche in Camerun nell’area dove si usa preferibilmente l’inglese vige l’English Common Law, mentre nell’area francofona prevale il codice d’importazione francese.

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UN CONFLITTO DIMENTICATO.

Il conflitto in atto nelle province anglofone del Camerun è quasi passato inosservato: raramente la grande stampa internazionale ne ha dato notizia e questo ha Favorito il suo incancrenirsi. All’inizio, nell’ottobre 2016 la

protesta degli anglofoni era pacifica: scioperi, manifestazioni, cartelloni di protesta, giornate in cui le città delle province interessate erano come morte, con tutte le normali attività interrotte, poi si è passati alla

violenza più cruda: incendi di villaggi, massacri di massa, stupri, espulsioni di profughi. Se in una prima fase le rivendicazioni puntavano alla soluzione d’una serie di contenziosi, come ad esempio la presenza nei tribunali di

giudici in grado di capire l’inglese e d’applicare la Common Law,successivamente lo scontro si è radicalizzato e s’è fatta strada l’ipotesi d’una secessione. In una parola, le voci moderate son state messe a tacere ed è prevalso da una parte e dall’altra l’estremismo che ha prodotto violenza, dolore e morte.

Risultato di tutto ciò: quasi 2mila morti, 500mila sfollati interni,  35mila rifugiati in Nigeria ed 1,3 milioni di persone che han bisogno d’assistenza.

Un quadro, insomma, di vera guerra civile, che ha spinto le Nazioni Unite a rivolgere alle parti un appello per la composizione della vertenza: non un vero proprio monito perché gli Stati africani membri del Consiglio di sicurezza

hanno sostenuto che la vicenda è una questione prettamente africana e va risolta nell’ambito dell’UA, l’organizzazione in cui sono rappresentati tutti gli Stati del continente.    .

In maggio, poi, il Consiglio Norvegese per i Rifugiati, (Norwegian Refugee Council [NRC]), stilando la classifica delle crisi con rifugiati più gravi in atto, ha collocato il Camerun al primo posto della top ten.

In un ponderoso dossier che nel 2018 ha analizzato 36 crisi, basandosi su tre criteri di valutazione, la mancanza di finanziamenti, la lacunosa attenzione da parte dei media internazionali e la negligenza della politica, l’NRC

evidenzia che a 780mila bambini è stata preclusa la possibilità di andare a scuola, 170 villaggi sono stati distrutti e decine di ospedali dati alle fiamme, mentre decine di migliaia di persone si nascondono nella boscaglia prive di aiuti umanitari e sotto la continua minaccia di nuovi attacchi.

Di solito, quando violenti combattimenti costringono all’evacuazione di centinaia di migliaia di civili, scatta l’allarme internazionale, ma questo non è avvenuto in Camerun. Ad oggi, tutti i tentativi di mediazione per trovare

una soluzione alla crisi sono stati vani, soprattutto a causa della scarsa pressione esercitata sulle parti in conflitto per far cessare gli attacchi contro i civili.

Lo studio dell’organizzazione umanitaria non governativa norvegese mette in risalto anche le origini della crisi, alle cui radici c’è molto più che una divisione linguistica, ma rivendicazioni di autonomia che risalgono all’epoca delle spartizioni coloniali e che oggi sono esplose per la grande emarginazione che affligge la popolazione di lingua inglese.

La repressione dei manifestanti scesi in piazza alla fine del 2016 da parte delle forze di sicurezza ha portato a una violenza diffusa. Un anno dopo, i gruppi armati secessionisti nella regione hanno dichiarato ufficialmente l’indipendenza simbolica dal Camerun e questo ha fatto degenerare gli scontri tra l’esercito governativo e i

ribelli. Nonostante l’entità della crisi, pochissimi media internazionali hanno riportato quello che sta accadendo nelle aree interessate dagli scontri. L’Nrc conclude che la mancanza di informazioni e dell’attenzione politica

internazionale hanno in qualche misura alimentato le atrocità commesse da entrambe le parti.

Accanto al rapporto dell’NRC, che denuncia che su dieci gravi crisi che comportano l’insorgere  di fughe di massa di profughi, ben sette avvengono in africa, anche Amnesty international e Human Rights Watch denunciano le diffuse pratiche di tortura, detenzioni extragiudiziali e sparizioni.
Ad esempio, uno dei luoghi di reclusione più utilizzato dalle autorità di Yaoundé è una prigione dipendente dal Segretariato di Stato per la Difesa (SED): qui 26 persone sono recluse in totale isolamento, mentre sono accertati 14 casi di tortura e sparizione forzata dal gennaio 2018 al gennaio 2019.

Si dice anche che siano stati fatti sparire dei bambini dai villaggi. I numeri reali, però, potrebbero essere molto più alti, sia perché gli abusi sono stati compiuti in grande segretezza, sia perché molte delle persone che sono riuscite a scamparla rifiutano di parlare per paura di ritorsioni. Solo nel mese di aprile, Hrw ha ricevuto altre testimonianze che fanno capire che le violazioni vanno avanti indisturbate.

Il regime ed il suo apparato repressivo, però, non sono gli unici a macchiarsi di gravi violazioni dei diritti umani: HRW sostiene che anche i separatisti della sedicente Repubblica dell’Ambazonia, l’autoproclamato Stato degli anglofoni camerunesi, hanno compiuto attacchi contro scuole e aziende agricole, omicidi e rapimenti.

«I leader separatisti – scrive l’ONG statunitense – dovrebbero emettere ordini chiari che vietino ai combattenti di attaccare i civili e fare del male alle persone che tengono in ostaggio.» L’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) chiede un investimento di 184 milioni di dollari per intervenire

sull’emergenza migratoria e, un domani, ricondurre i profughi alle proprie abitazioni, una volta ristabilita la normalità.

Fino a poco tempo fa non c’era dialogo tra le parti in conflitto e la situazione era a un punto morto: il Presidente della Repubblica Paul Biya, 86 anni, al potere ininterrottamente dal 1982 non intendeva  aprire alcuna discussione di tipo politico, mentre il leader dei secessionisti, Julius Sisiku Ayuk Tabe, arrestato il 5 gennaio

scorso in un hotel di Abuja (Nigeria), insieme ad altri quadri del movimento, sta boicottando le udienze fissate a suo carico da un tribunale militare:  un processo – ha detto – che si svolgerà senza di loro, fino a quando non verrà riconosciuto a lui ed ai suoi collaboratori lo status di rifugiato.

Vi è un altro corollario della vicenda: il Camerun condivide col vicino occidentale 1.500 km di frontiera: è proprio in Nigeria che molti stanno cercando di scappare dalle violenze, cosa che preoccupa fortemente  le autorità

di Abuja che temono che Boko Haram, il movimento fondamentalista islamico, responsabile di molti eccidi soprattutto negli Stati del Nord-Est nigeriano, sfrutti il flusso di profughi per infiltrarsi nel Paese per compiervi i soliti attentati dinamitardi che spargono il terrore a Maiduguri e zone vicine.

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LE ORIGINI DEL CONFLITTO.

La questione dell’infelice convivenza in Camerun d’una comunità anglofona, minoritaria, accanto ad una francofona,

maggioritaria, trova le sue radici sia nellaspartizione compiuta dalle potenze coloniali dei territori africani,

sia nell’incapacità delle classi dirigenti postcoloniali di gestire la coesistenza di gruppi llinguistici diversi e

nella sussistenza d’una politica di favori, praticata dai dirigenti e dai loro Entourage alle loro regioni ed etnie

d’origine.

fino alla fine della prima guerra mondiale (1914-1918) il Camerun faceva parte dell’impero coloniale tedesco,ma il

trattato di pace di Versailles suddivise il Paese in due entità: la parte del leone la fece la Francia,mentre due

province, il North-West ed il South-West passarono al Regno Unito. Tale situazione fu riconfermata nel 1946 dalle

Nazioni Unite che assegnarono ai due Paesi europei un mandato fiduciario in attesa di concedere al Paese africano

l’indipendenza nazionale.

Negli anni 50 si sviluppò in area francofona un movimento indipendentista d’orientamento socialista: L’Unione dei

Popoli del Camerun (UPC) che fu combattuto dai Francesi che lo misero fuori legge ed assassinarono il suo leader

Ruben Um Nyobé.

L’obiettivo era fiaccare la lotta per la sovranità nazionale promossa soprattutto dai popoli Bassa e Bamiléké, ma

il calcolo si rivelò sbagliato, perché la guerriglia continuò finché il 1° Gennaio 1960 si giunse alla

proclamazione della Repubblica del Camerun.

L’anno seguente, anche Nord-ovest e Sud-Ovest, ancora sotto dominazione britannica, dovettero decidere,mediante

referendum, cosa fare: aderire al Camerun o alla Nigeria?

Il N-W optò per far parte dello Stato che allora aveva come capitale lagos mentre il S-W si pronunciò per entrare

nella repubblica che aveva come capitale Yaoundé.

Il primo Capo dello Stato Ahmadou Ahidjo, un Fulani di lingua francese (1961-1982) varò una costituzione che

riconosceva la natura federale del nuovo stato, ma prendendo a pretesto la persistente guerriglia dell’UPC, che non

riconosceva le nuove autorità, nel 1966 mise fuori legge tutti i partiti tranne il suo, Unione Nazionale del

Camerun (CNU) ed attuò unapolitica sempre più dispotica.

Malgrado la successiva sconfitta dell’UPC, Ahidjo non mutò atteggiamento e nel 1972 mise fine al regime federale,

confermò lo stato d’emergenza e proclamò la Repubblica Unita con capitale Yaoundé, accentrando tutti i poteri al

centro.

Nel 1982 Ahidjo rassegnò le dimissioni dalla carica, designando a succedergli Paul Biya, un alto funzionario di

Stato di etnìa Beti-Pahuin, anch’egli francofono.

Questi ristabilì l’antico nome di Repubblica del Camerun,ma la sudditanza degli anglofoni rimase  fino alle

proteste del 2016: Gli anglofoni accusano Yaoundé di non riconoscere le loro specificità, d’inviare nei tribunali

giudici che ignorano l’inglese e la Common Law, sostengono che nelle scuole, mentre i ragazzi devono apprendere il

francese, la stessa cosa non avviene nelle aree francofone, dove non si studia l’inglese.

Inoltre, sebbene la costituzione imponga di scrivere i documenti ufficiali nelle due lingue, in realtà spesso vi si

trovano solo testi nell’idioma di Rabelais.

La prevalenza francofona negli organi statali, nelle scuole, nel mondo del lavoro – ha negli anni provocato quella

rabbia e risentimento che, come una bomba a orologeria, ha finito per esplodere.

A questo si aggiunge il crescente malcontento per il presidente Biya,che malgrado il passaggio  dal regime

monopartitico al pluralismo, impostosi  in quasi tutta l’Africa a fine anni Ottanta si mantiene al potere elezione

dopo elezione, guida indiscussa del partito di governo Rassemblement Démocratique du Peuple Camerounais (RDPC).

Sebbene la salute sia malferma,spesso si trasferisce in Svizzera per curarsi, è previsto che rimanga al  potere

fino al 2025, quando avrà 92 anni.

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IL CAMERUN.

La Repubblica del Camerun si trova nell’Africa Equatoriale: il suo territorio è bagnato dal Golfo di Guinea.

Esteso per una superficie di 475.440  kmq è abitato da 19,6 milioni di persone (2012) di circa 200 etnìe diverse.

E’ molto accentuato anche il pluralismo religioso con la presenza di cristiani,musulmani e seguaci di culti

tradizionali.

L’economia si fonda soprattutto sull’agricoltura e sull’estrazione del petrolio che forniscono un certo reddito,

anche se lo sviluppo del paese è ostacolato  dalla diffusa corruzione, dalla soffocante burocrazia e dalla carenza

di infrastrutture.

sul piano internazionale Yaoundé è un’alleata fidata della Francia e fa parte del gruppo dei paesi che adottano il

Franco CFA: la sua collocazione è sempre stata a fianco dell’Occidente (tra l’altro a fine anni Novanta ha aderito

al Commonwealth insieme a mozambico e Ruanda).

Suo malgrado, è stato inserito in quell’area di conflitto che va dal Mali alla Nigeria, comprendendo burkina faso,

Niger e Ciad dove operano diversi movimenti fondamentalisti islamici, come boko Haram ed al Qaeda per il Maghreb.

Costoro vorrebbero creare uno stato islamico sul modello di quello attivo per alcuni anni in Siria ed iraq. Nel

frattempo, complice la scarsa capacità dei governi locali di controllare i rispettivi territori e la presenza di

traffici di armi, droga e persone, vengono compiuti attacchi contro i non musulmani con numerose vittime in tutta

l’area.

L’incerta situazione geopolitica della regione consiglia sicuramente di risolvere la vertenza tra anglofoni e

francofoni: forse per questo si è fatta strada una maggior ragionevolezza e si sta provando a riavviare un dialogo

tra le due comunità che pareva definitivamente interrotto.

PIER LUIGI GIACOMONI