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Cacao-costa-d-avorioCACAO. LA COSTA D’AVORIO CONTRO LA CONCORRENZA SLEALE DELLE MULTINAZIONALI AGROALIMENTARI
(28 Aprile 2020)

ABIDJAN. La Costa d’Avorio, principale produttore mondiale di cacao, è contro la concorrenza sleale delle multinazionali del settore agroalimentare che praticano prezzi che strangolano gli esportatori locali dell'”Oro bruno”.

«Colossi come Nestlé e Mondelez – scrive La Stampa – non avranno più la strada spianata nell’acquisto delle fave esportate per l’80% in Europa. Il Governo ivoriano ha deciso di supportare i commercianti locali, con un contributo di 5 centesimi di euro per chilo di cacao, almeno fino al 2022.»

Un’iniziativa che mira ad evitare la bancarotta delle principali società locali d’esportazione che non sono in grado di competere con i prezzi al rialzo imposti dai colossi stranieri come Barry Callebaut, il gruppo svizzero leader mondiale nel cioccolato industriale.

Finora, benché l’autorità governativa abbia imposto il prezzo di 1,38 euro per chilo di cacao, le multinazionali del cioccolato pagavano, attraverso mediatori locali, anche prezzi superiori a 10 centesimi al chilo, mettendo fuori gioco gli esportatori africani.»

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BASTA CON L’INTERMEDIAZIONE.

In sostanza, si vorrebbe da un lato semplificare la filiera, creando una catena di vendita del cacao diretta tra coltivatori ed aziende entro il 2025, eliminando le diverse fasi d’intermediazione e dall’altro giungere un giorno, come fa l’Indonesia, ad esportare meno materia prima e più prodotto già semilavorato: Giakarta in dieci anni ha ridotto dall’80 al 5% l’esportazione di fave (il frutto), iniziando a produrre localmente polvere, pasta e burro di cacao.

A gravare sull’export, però, c’è l’assenza di magazzini di stoccaggio, per cui i coltivatori sono costretti a cedere le fave il prima possibile, per evitare che deperiscano.

L’intervento del governo di Alassane Ouattara, perciò punta a colmare questa lacuna con l’investimento di 380 milioni di euro in infrastrutture necessarie alla lavorazione della materia prima, nel tentativo di aumentare i ricavi di un settore che vale il 10% del PIL.

Malgrado la Costa d’Avorio produca 2 milioni di tonnellate di cacao all’anno, ossia il 40% della disponibilità mondiale, la raffinazione della materia prima è effettuata all’estero, con ovvi vantaggi per chi trasforma il cacao in cioccolato e derivati.

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L’UNIONE FA LA FORZA.

L’iniziativa ivoriana arriva pochi mesi dopo che, insieme al vicino Ghana (da soli forniscono il 60% della produzione mondiale), sono riusciti ad imporre un prezzo minimo bloccato del prodotto grezzo, pari a 2,6 dollari al chilo (stime World Cocoa Producers Organization). Da ottobre 2020, per la prima volta dalla scoperta del cacao nel XVI secolo, saranno – sperano i governi – i grandi Paesi produttori a determinare il prezzo.

E’ Una sorta di cartello che potrebbe coinvolgere anche altri Stati africani vicini come Benin, Nigeria e Camerun: una rivoluzione, dato che fino ad oggi i valori d’acquisto della materia prima erano decisi dalle grandi aziende dolciarie che si spartiscono circa il 70% del mercato. Un giro d’affari in continua crescita che ha raggiunto gli 85 miliardi di dollari e che, secondo un’analisi del centro studi Mintel, supererà i 102 miliardi di dollari nel 2022.

Se è vero infatti che il consumo di cioccolato è in crescita soprattutto in Europa dove la media pro-capite è di 8 chili all’anno, è altrettanto vero che i redditi dei produttori han subìto una pesante decurtazione.

Si pensi che i quasi 2 milioni di coltivatori ivoriani e ghanesi, uadagnano 2,5 dollari al giorno, secondo stime Fairtrade: su una barra di cioccolato da 100 grammi, il cui costo finale al consumatore può aggirarsi intorno ai 3,5 dollari, all’agricoltore africano vengono versati 15 centesimi.

Sarebbe perciò indispensabile aumentare i prezzi del prodotto finito fino ad un costo di 3,6 dollari al chilo, ossia un dollaro in più rispetto al prezzo pattuito dai due Paesi che detengono la quota maggiore della produzione di cacao.

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LE MALEDIZIONI DEL CACAO: LAVORO MINORILE E DEFORESTAZIONE.

La quasi monocultura del cacao, ha per cominciare un grave risvolto sociale: si calcola che 2,2 milioni di minori siano impiegati in tutta l’Africa occidentale nella raccolta della fava: si tratta di bambini e ragazzi spesso schiavizzati da padroni senza scrupoli.

Inoltre, l’avidità di profitto ha indotto ad abbattere la foresta pluviale: si stima che tra il 1990 ed il 2015 ben l’85% di quest’elemento naturale, importante per il clima e l’assetto idrogeologico del territorio sia stato abbattuto per far posto a piantagioni sempre più estese.

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IL CACAO.

Il cacao (Theobroma cacao L., 1753; dal nahuatl: cacahuatl) è una pianta tropicale diffusa in america Latina, Africa centrale e Sud-Est asiatico, ma è stato impiantato anche in alcune isole del Pacifico prossime all’Equatore.

Il termine “cacao” deriva da parole della lingua azteca: infatti, soprattutto la nobiltà del Messico precolombiano lo beveva, arricchendolo di spezie, durante importanti cerimonie religiose.

I semi di questa pianta erano considerati così preziosi da esser utilizzati come monete.

Gli europei conoscono il cacao con la conquista del Messico ad opera di Hernán cortés (1485 – 1547) che nel 1528 ne porta i semi in dono all’Imperatore Carlo V: Successivamente, nel 1585, cominciano il traffico dal Nuovo al Vecchio continente di navi cariche di semi e fave di cacao.

La Spagna, per un certo periodo è la leader mondiale nella produzione di cioccolato, ma poi, soprattutto nel XVIII secolo, sono gli olandesi a prender il sopravvento.

All’inizio, il cioccolato è soprattutto una bevanda arricchita di vaniglia, anice ed altri aromi per moderarne il gusto amaro, poi l’industria passa alla produzione di dolci, quali cioccolatini, creme spalmabili e tavolette solide.

I centri principali di questa produzione divengono Torino (ancora oggi il Piemonte produce il 40% del cioccolato in Italia), la Svizzera, il Belgio e i Paesi Bassi.

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COLTIVAZIONE E RAFFINAZIONE.

Tuttavia il cacao, prima di diventare commestibile, necessita d’un complesso procedimento di lavorazione che qui possiamo solo riassumere.

Prima di tutto, la coltivazione dell’albero di cacao richiede elevate spese d’impianto e comincia a produrre dal quinto anno, mentre la fruttificazione dura per una trentina d’anni.
La pianta teme l’insolazione diretta e quindi cresce all’ombra di alberi più alti quali palme e banani. Ogni pianta fornisce da 1 a 2 chilogrammi di semi secchi; la fruttificazione è continua ma durante l’anno si hanno due periodi di massima produzione.

Il cacao di piantagione è coltivato tra il 20º parallelo nord e il 20º parallelo sud, ad altitudine più bassa rispetto a quello selvatico, per comodità di raccolta.

Tre le grandi zone dove viene coltivato in grandi quantità:

1. il Cacao americano: i più apprezzati sono quello messicano, il Bahía brasiliano (coltivato in Brasile, Colombia ed Ecuador) e infine il Chuao e Porcelana, coltivati in Venezuela.

2. Il Cacao asiatico: proveniente soprattutto da Indonesia e Sri Lanka, ma sono Paesi produttori anche Malaysia, Filippine ed alcune isole del Pacifico meridionale.

3. Il Cacao africano: importante la qualità prodotta in Ghana e anche quelle coltivate in Camerun, Nigeria, Costa d’Avorio e Madagascar.

Le coltivazioni di cacao occupano, secondo la FAO (Food and Agricolture Organisation, agenzia delle Nazioni Unite che si occupa d’agricoltura ed alimentazione) una superficie DI 69.000 km² in tutto il mondo.

I primi venti Paesi produttori, secondo una statistica pubblicata nel 2005 sono:

1. Costa d’Avorio;
2. Ghana;
3. Indonesia;
4. Nigeria;
5. Brasile;
6. Camerun;
7. Ecuador;
8. Colombia;
9. Messico;
10. Papua Nuova Guinea;
11. Malaysia;
12. Repubblica Dominicana;
13. Perù;
14. Venezuela;
15. Sierra Leone;
16. Togo;
17. Argentina;
18. Filippine;
19. Repubblica del Congo (Brazzaville);
20. Isole Salomone.

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DAL CACAO AL CIOCCOLATO.

Il processo di raffinazione dei frutti del cacao prevede,dopo il raccolto,la fermentazione dei semi e la loro tottatura. La fermentazione permette d’eliminare l’umidità che potrebbe provocare delle muffe, la tostatura è indispensabile per determinare la destinazione finale del prodotto. Inoltre, in questo modo si eliminano microrganismi che potrebbero esser nocivi per la salute.

Altre complesse lavorazioni portano alla separazione del burro di cacao dal resto del prodotto: mentre il burro sarà utilizzato dall’industria cosmetica, la polvere sarà la base del nostro cioccolato, utilizzabile sia per gl’infusi che per le tavolette o altri impieghi da parte dell’industria dolciaria.

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PROBLEMI IRRISOLTI.

Rimangono in gran parte irrisolti,come per gran parte dei prodotti d’esportazione d’origine tropicale, tre problemi fondamentali:

1. Una redistribuzione più equa degli enormi guadagni, in modo che anche il coltivatore, che vive nelle aree di produzione possa ricavarne un reddito più accettabile, oggi troppo sbilanciato a favore dei grandi conglomerati del settore dolciario e cosmetico;

Cosa che forse permetterebbe anche di superare il triste fenomeno del lavoro minorile e schiavile che interessa i paesi produttori della materia prima.

2. L’impatto ambientale della diffusione delle piantagioni ed il rischio che per far posto agli alberi di cacao si disboschi la foresta pluviale;

3. Un maggiore coinvolgimento dei Paesi tropicali nella fase di trasformazione del prodotto: come s’è visto, infatti, la maggior parte dei guadagni che si ricavano non vengono tanto dalla coltivazione della pianta, quanto dalla raffinazione dei frutti e dalla loro trasformazione in prodotto finito.

Si vedrà se le classi dirigenti dei Paesi africani e di altre aree saranno in grado di ridimensionare il prepotere delle multinazionali dell’agroalimentare in modo da rendere più equo e solidale il commercio mondiale del cacao e di altri beni alimentari che dalle aree tropicali giungono tutti i giorni sulle nostre tavole.

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IN LIBRERIA.

Sull’argomento qui trattato, segnaliamo il romanzo di Jorge Amado,intitolato appunto “cacao”: lo scrittore fotografa un particolare momento della storia brasiliana, quello in cui i Fazendeiros, nell’ultima fase del XIX secolo, disboscarono la foresta tropicale per creare delle vaste piantagioni di cacao nel Nordeste del Paese. Per acquisire terre, non esitarono ovviamente a farsi la guerra l’un con l’altro, convinti che l’oro bruno li avrebbe resi oltremodo ricchi.

PIER LUIGI GIACOMONI

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