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BREXIT E VOLONTA’ POPOLARE.
(27 giugno 2016).

LONDRA. La democrazia, diceva più o meno Sir Winston Churchill, è un metodo sgradevole di governo, ma per il momento non ne abbiamo trovato uno migliore.

Perciò, in democrazia, se tu chiami tutto il popolo a prendere una decisione mediante il voto ed il popolo liberamente si esprime in una votazione libera, diretta, onesta e segreta, non puoi dire che si è sbagliato, che non ha capito niente, che bisogna rifare tutto da capo finché il popolo non accetta ciò che vuoi tu.

Questo, anche se durante la campagna elettorale sono state raccontate delle frottole, è stata mistificata la realtà, sono state fatte delle scelte unicamente per rovesciare un Primo Ministro ormai inviso ed aprire la corsa alla leadersip dei due maggiori partiti.

In sostanza, il dado è tratto. Con la Brexit il Regno Unito ha deciso:  vuol lasciare l’Unione europea per intraprendere un cammino fuori da un’organizzazione sociopolitica ed economica che fin dall’inizio ha malsopportato.

Quindi nessuno, nemmeno il Parlamento di Westminster può farci più niente. In queste ore più di tre milioni di persone hanno sottoscritto una petizione rivolta alle Camere per chiedere una ripetizione del voto, stabilendo però un quorum del 75% dei votanti e fissando al 60% la percentuale minima di voti per rendere valido ed obbligatorio il referendum.

In teoria, chiariscono esperti costituzionalisti intervistati dalla BBC, il Parlamento, che è in Gran Bretagna l’autorità che prende in via definitiva le decisioni, potrebbe anche adottare una legge in tal senso e potrebbe persino dichiarare che il referendum del 23 giugno scorso non ha nessun effetto e che, quindi, il Regno Unito non presenta alcuna domanda per uscire dall’UE ai sensi dell’art. 50 del trattato di Lisbona. In realtà, però, di fronte ad un pronunciamento popolare così chiaro è difficile che i Parlamentari se la sentano di prendere a schiaffi in modo così plateale l’opinione pubblica.

Allora, Londra deve trarre velocemente le conseguenze che derivano da questa votazione ed avviare le procedure per il divorzio da Bruxelles.

Sulla base, però, di quanto si legge, pare che a Londra, depositatosi il polverone conseguente al voto di giovedì scorso, non ci sia più tutta questa fretta d’andarsene.

In primo luogo, perché il Capo del Governo David Cameron si è dimesso dalla carica di Leader dei Conservatori e, quindi, si devono convocare i 150 mila iscritti al partito perché scelgano un successore; poi perché, ora dopo ora, stanno emergendo tutte le inquietanti conseguenze economiche che questa deliberazione ha in parte innescato.

In terzo luogo, la stessa Unione europea si trova davanti ad una situazione inedita perché finora nessuno dei 28 stati membri aveva intrapreso la strada per andarsene, anche se il trattato di Lisbona del 2010 la prevedeva.

Di qui, allora, le cautele, le frasi temporeggiatrici, i primi segnali che indicano che il divorzio della Gran Bretagna dall’UE non sarà né breve, né facile.

Questa vicenda che mostra vieppiù la sua complessità deve servire anche da lezione per chi crede nelle scorciatoie: in una società complessa come la nostra non esiste un modo rapido per risolvere problemi intricati.

Dobbiamo imparare tutti a diffidare da chi ci presenta soluzioni pronte all’uso e soprattutto dobbiamo diffidare da chi ha una visione unilaterale e ristretta.

Come reazione alla sempre più rampante globalizzazione, che ha avuto una serie di indubbi meriti, si sono sviluppate due ideologie contrapposte, ma dagli esiti tutto sommato convergenti.

L’ideologia no global di “sinistra” esalta il cibo a chilometro zero, anche quando non lo è o non lo può essere, il consumo locale di ciò che si produce la valorizzazione delle differenze.

L’ideologia no global di destra punta tutto sul recupero delle identità nazionali, religiose, etniche, fisiologiche e mira a creare crescenti barriere alla penetrazione dell’altro.

L’esito di entrambi gli orientamenti è l’autarchia, la chiusura in un piccolo mondo antico che non ha più senso e che ha costantemente il collo rivolto al passato.

In buona misura entrambe le ideologie qui illustrate sono il prodotto d’una società che invecchia, che si rinchiude nei propri miti e riti e che non vuol guardar in faccia alla realtà.

L’identità, disse una volta lo storico Franco Cardini, è un uccello nero che si leva in volo quand’è sera e tutto tramonta.

come si esce da questa situazione? si esce con un rilancio dell’ideale europeo, educando gli europei a sentirsi tali, combattendo in tutti i modi le ideologie neoidentitarie che paiono in questo momento dettare l’agenda degli argomenti da discutere.

La sinistra riformista, i liberali e democratici, i movimenti religiosi non integralisti, l’associazionismo ed altro ancora, hanno un grande ruolo da giocare: l’alternativa è la disintegrazione dell’Unione europea e la riproposizione, prima o poi, degli antichi antagonismi che hanno tragicamente segnato la storia dell’Europa.

PIER LUIGI GIACOMONI

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