BIRMANIA FINALMENTE ALLE URNE
(6 novembre 2015).
YANGON. In questo fine settimana, la Birmania (Myanmar) va alle urne per eleggere il Presidente della repubblica, il Parlamento e le autorità locali.
Se per molti Paesi questo è un evento di routine, per Myanmar no:
dalla proclamazione dell’indipendenza dalla Gran Bretagna (4 gennaio 1948) gli eventi elettorali sono stati una tale rarità che si può dire che intere generazioni di birmani non hanno mai esercitato il diritto di voto.
In particolare, dal 4 marzo 1962 il Paese è stato retto da una giunta militare che ha esercitato un potere tirannico: isolata per decenni dal resto del mondo per timore che l'”influsso occidentale” potesse traviare le menti del popolo, Myanmar visse sotto un cupo regime oppressivo nel quale ogni forma d’opposizione era schiacciata senza pietà, con strumenti quali l’esilio, i campi di concentramento, le torture, le sparizioni, le esecuzioni extragiudiziali.
Il regime fu per anni in lotta contro movimenti di guerriglia, come il fronte di liberazione Caren che diede a Rangoon parecchio filo da torcere.
Il 1988 parve, per un breve periodo un anno di svolta: un’ondata di manifestazioni popolari sembrò porre fine all’era di Newin, l’uomo forte del Paese.
La giunta, però, reagì alle proteste popolari con la consueta brutalità: centinaia di persone furono uccise, molte altre sparirono per sempre o furono incarcerate.
Tuttavia le immagini della repressione fecero il giro del mondo e l’opinione pubblica internazionale scoprì che la Birmania era un Paese-lager, dove, oltre tutto, l’oligarchia dominante trafficava in stupefacenti.
Le pressioni internazionali costrinsero i militari a convocare delle elezioni per il 27 maggio 1990.
Malgrado tutto il sangue sparso sembravano aprirsi degli spazi di libertà. Lo scrutinio si tenne, la Lega Nazionale per la Democrazia si aggiudicò la maggioranza dei seggi, ma i militari, che nel frattempo avevano otttenuto appoggi internazionali importanti, non riconobbero il risultato del voto e quel parlamento non fu mai convocato.
Anzi, la leader della NLD fu posta agli arresti domiciliari ed isolata da ogni contatto con l’estero.
Eppure la lotta per la libertà continuò passando per una via crucis interminabile fatta d’infinite sofferenze.
Oggi si arriva al voto: cento partiti si sono iscritti per conquistare seggi in Parlamento e nelle amministrazioni locali; Aung Sam Suu Kyi (pr. aun sam su Ci), premio Nobel per la pace, figlia del primo capo di governo post indipendenza, assassinato in un complotto nel luglio 1948, aspira a diventare Presidente del Paese, ma il futuro della Birmania (Myanmar)è incerto, sia per l’ingombrante presenza dei militari, che continueranno a far sentire il loro peso, sia per i problemi di convivenza tra le diverse etnie.
E’, comunque, già importante che dopo anni di dispotismo la parola passi al popolo in un’area geografica, il sud-est asiatico, dove il potere di ristrette oligarchie calpesta i diritti democratici senza tanti scrupoli.
PIERLUIGI GIACOMONI