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BHUTAN. UN REGNO QUASI FELICE
(25 Maggio 2018)

THIMPHU. Molti Paesi in via di sviluppo hanno come obiettivo quello della crescita economica, dovendo però gestire

una popolazione numerosa, risorse limitate e pressioni internazionali sul piano commerciale e strategico, mentre

incontrano diverse difficoltà  nell’avere un peso reale sul piano globale.

c’è, invece, una realtà, il Bhutan, che respinge tutto questo e, in controtendenza, rispetto al “pensiero unico”

che vede nel PIL e nella sua crescita l’unico dato che conta,  mira a restare per quanto possibile defilato sulle

mappe, avendo come solo obiettivo essere per lungo tempo ancora in cima all’indice di Felicità  nazionale lorda

(Fnl) che, invidiato da molti, ha individuato e utilizzato a partire dal 1972.
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Il FNL. Il Fnl deriva dall’analisi qualitativa e quantitativa di vari indicatori:

• il benessere psicologico;
• l’uso del tempo;
• la diversità  culturale;
• l’economia;
• l’ambiente;
•  la condizione fisica della popolazione;
• il pieno impiego;
• il benessere sociale;
• la situazione politica.

Contrariamente al Prodotto interno lordo di cui si propone come alternativa, l’Indice può essere usato anche per

determinati gruppi di popolazione: incentivando il turismo come forma eco-compatibile di finanziamento e come

legame con il mondo e promuovendo la tutela del paesaggio, le autorità Hanno Arginato con una politica restrittiva

degli ingressi e dei luoghi aperti agli stranieri il rischio di vedere scardinati modo di vita, cultura e

quotidianità.

Perciò si è puntato su voci come “conservazione ambientale”, “sviluppo sostenibile” ed equo”, “conservazione e

promozione della cultura”, “buongoverno”, quali elementi al centro delle politiche per sostenere l’indice di

Felicità  nazionale lorda (FNL).

Oggi, si calcola che 800 milioni di alberi coprano il 70,5% del territorio bhutanese con un manto forestale che è

il più esteso tra i Paesi asiatici, in rapporto alla superficie totale.
Una cifra determinante nel rendere il Bhutan l’unica nazione al mondo con un’impronta di carbonio negativa.
Lo scorso novembre il governo ha lanciato insieme al Wwf la campagna Bhutan for Life, iniziativa sostenuta da un

sito interattivo (http://www.bfl.org.bt/), che in 14 anni vorrebbe portare l’intero pianeta al livello del piccolo

regno asiatico e mantenerlo così nel tempo, consentendo alla stessa natura di assorbire il carbonio in eccesso.
«I problemi che il mondo deve affrontare oggi sfidano tutti noi allo stesso modo e le soluzioni a queste sfide

devono venire da un vero sentimento di preoccupazione e attenzione verso gli altri, per ogni essere senziente e per

le future generazioni», sollecita il 38enne sovrano attraverso Internet.
D’altra parte, come ricorda il Wit Soontaranun, esperto thailandese tra i pochi non-bhutanesi coinvolti nella

definizione e promozione dell’iniziativa, «i gas effetto serra non hanno bisogno di un passaporto per attraversare

le frontiere.
Di conseguenza se risolviamo il problema nel mondo sarà  di beneficio anche per noi.
In Bhutan proteggiamo l’ambiente naturale ma gli alberi ci proteggono con un abbraccio che assorbe ogni anno sei

milioni di tonnellate di diossido di carbonio, quattro volte quanto emesso nel Paese».
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Discriminazioni. Come in tutti i Paesi, anche in Bhutan non tutto funziona bene: prima di tutto non mancano aree di

disagio sociale.

In particolare, il Re Jigme Khesar Namgyel Wangchuck, pur avendo rinunciato ai poteri assoluti di cui disponeva,

autorizzando l’elezione d’un’assemblea nazionale e d’un consiglio dei ministri liberamente eletti, mantiene un

certo controllo sul 25% della popolazione che non è buddista lamaista (principalmente induisti).

Le recenti aperture non hanno reso la pratica religiosa più libera per i cristiani, poche migliaia di persone, che

scontano difficoltà di aggregazione ed ostacoli nella pratica della loro fede, al punto che le visite di alcuni

sacerdoti provenienti dall’India devono svolgersi quasi in clandestinità.
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Dal medioevo all’era tecnologica. Nel Bhutan, che solo dal 2000 ha introdotto la televisione, il veicolo principale

d’informazione sono i giornali, ma Internet è presente così come la telefonia cellulare.

Le due reti di telefonia mobile attive hanno oltre mezzo milione di abbonati su 800mila abitanti e un terzo della

popolazione ha una qualche forma di connessione a Internet.
Un balzo tecnologico quasi interamente dovuto a investimenti e cooperazione stranieri: il Bhutan sta passando

dall’epoca feudale a quella moderna, scavalcando quella industriale.
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Un Paese isolato. Situato in pieno Himalaya, il Bhutan confina con India, cina e Nepal con cui i rapporti son tesi

dopo che il vicino ha espulso senza tanti complimenti 100 mila bhutanesi del sud, stabilitisi da tempo in Nepal,

colpevoli di non aver domandato la cittadinanza nepalese entro il 1953.

Katmandu ha offerto loro, invece dell’agognata integrazione o l’allontanamento volontario o l’espulsione,

garantendo per tutti la segregazione in campi profughi.
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Il Bhutan. Il piccolo Stato himalayano,  che può oggi usufruire di una produzione elettrica abbondante, data la

conformazione del territorio, sta cercando una sua strada verso lo sviluppo che difenda il diritto dei suoi 800

mila sudditi alla felicità e sta provando ad uscire anche dal suo isolamento plurisecolare senza però pregiudicare

il suo ambiente naturale: si tratta insomma d’una piccola realtà moderna in abiti antichi, quelli d’obbligo per

maschi e femmine, rispettivamente il “gho” e la “kira”), con strutture di comunicazione, trasporti, sanità ,

educazione che appaiono pratiche, ma senza eccellenze o fronzoli, inserite in un contesto naturale, architettonico

e in un modo di vita che potrebbe tranquillamente essere collocato all’inizio del XX secolo, quando la dinastia

oggi regnante dei Wangchuk prese il controllo del Paese (1907).

Grande solo 46.500 km² ed abitato da quasi 800 mila persone, ha sempre dovuto barcamenarsi tra grandi potenze.

Mai sottomesso ad alcuna potenza coloniale, il Bhutan dovette tuttavia stipulare un accordo con la Gran Bretagna

che dominava la penisola indiana, riconoscendo nel 1910 al viceré britannico la delega per la gestione delle

relazioni esterne tra il Regno ed il resto del mondo.

Quando nel 1972 il nuovo Re Jigme Singye Wangchuck, salì al trono fu imposta una politica di modernizzazione

graduale, ma anche di recupero delle tradizioni culturali del Paese: ne pagarono in parte il prezzo i Lotshampa,

profughi d’origine nepalese che non accettarono la politica d’omologazione promossa dal nuovo sovrano.

Questi nel 1999 accettò di costituire un governo e nel 2005 annunciò che avrebbe abdicato in favore del Principe

ereditario: così, il 14 dicembre 2006 l’attuale sovrano salì al trono ed indisse per il 2008 le prime elezioni

libere della storia del Paese.

L’economia attualmente si fonda principalmente sull’agricoltura, che si è sviluppata grazie ai terrazzamenti delle

pendici dell’Himalaya: da essa si ricavano cereali, patate e frutta, quest’ultima esportata.

Il settore secondario si fonda principalmente sull’industria tessile, mentre il terziario s’appoggia sul turismo

che è stato fortemente potenziato negli  ultimi decenni.

PIER LUIGI GIACOMONI

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