BALLOTTAGGIO PRESIDENZIALE NELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA
(14 febbraio 2016).
BANGUI. Si è tenuto oggi Nella Repubblica Centrafricana, dopo una serie di rinvii, il ballottaggio per l’elezione del nuovo Capo dello Stato e del Parlamento.
Le elezioni legislative si eran già svolte ad ottobre, ma eran state annullate per gravi irregolarità dalla Commissione elettorale Nazionale Indipendente.
Anche il ballottaggio, in un primo momento previsto per novembre è stato più volte rinviato a causa delle persistenti violenze tra fazioni rivali.
Le prime informazioni che giungono da bangui segnalano che la giornata di oggi è trascorsa nella calma, ma hanno fatto anche registrare una scarsa affluenza ai seggi.
I primi risultati saranno di sponibili fra qualche giorno; per i definitivi occorrerà attendere verosimilmente la metà di marzo.
Ecco come inquadra la situazione il prof. Gian Paolo Calchi Novati, direttore del Dipartimento di studi politici e sociali dell’università di Pavia intervistato nei giorni scorsi dalla Radio Vaticana.
«Domenica prossima si vota per un ballottaggio. Nel primo turno l’elettorato ha dimostrato di essere abbastanza frammentato; ci sono alcuni personaggi politici che hanno fatto parte di governi del passato. Non c’è quindi una vera rottura storica, però questa consisterebbe nell’elezione libera di un presidente.»
Il voto di domenica potrebbe dare un futuro a questo Paese?
«A questo punto si tratta di vedere se specialmente nel ballottaggio testa a testa il risultato sia sufficientemente netto da lasciar cadere i sospetti.
Se il risultato fosse molto contrastato con una vittoria sui decimali c’è da temere che gli sconfitti possano risentirne.»
Tre anni fa un colpo di Stato ha cambiato il corso della storia del Paese. Che cosa è successo in questi tre anni?
«La crisi che si è prodotta nel 2013 è stata abbastanza anomala per la storia della Repubblica centrafricana e ha visto come protagonista ambivalente – per non dire ambiguo – il Ciad che da una parte ha dato l’impressione di voler sostenere un movimento islamico e poi quando questo è diventato pericoloso
ha, in un certo senso, sostenuto una lotta per abrogare il potere politico che questo movimento aveva preso. Da questo momento in poi la Repubblica centrafricana
è stata coinvolta in un contrasto cristiani-musulmani che non faceva parte della sua storia. Da allora risente di questo problema – jihadismo da una parte,
war on terror dall’altra – con epicentri più drammatici nel Mali, nel Niger e recentemente persino nel Burkina Faso.»
Tutto questo si ripercuote ovviamente sulla popolazione. La Repubblica centrafricana conta cinque milioni di abitanti, la metà è a rischio fame. Dal
punto di vista umanitario la comunità internazionale in che modo si muove?
«La crisi che ha tormentato lo Stato negli ultimi tre o quattro anni ovviamente, come purtroppo capita sempre, è stata duramente pagata dalla popolazione.
Gli interventi dei Paesi vicini o lontani inevitabilmente – anche quando fossero ispirati da motivi di stabilizzazione – provocano delle situazioni di
crisi, di emergenza. Ci sono anche delle organizzazioni internazionali che cercano di rimediare agli aspetti più drammatici dell’emergenza, ma sappiamo
che è un Paese lontanissimo da tutte le vie di comunicazione internazionali e quindi pesantemente penalizzato da una situazione di emergenza. “È il cuore
– si diceva una volta –, il cuore malato dell’Africa”. Negli ultimi anni è ritornata questa sua fisionomia decisamente pericolosa per la sopravvivenza
della popolazione.
PIERLUIGI GIACOMONI